Mattinata sempre molto intensa quella del 2 novembre e non solo
per la Commemorazione di tutti i defunti, ma anche per quello che ascolti nel
silenzio della chiesa o del cimitero, o per gli incontri che ti capita di fare,
per le parole che doni e per quelle che ricevi in dono.
Il 1 e il 2 novembre sono due giorni bellissimi per noi cristiani.
Stamattina ho ascoltato la bellissima omelia di don Dino che ci ha
fatto gustare la gioia del Vangelo ricordandoci la comunione dei Santi, la
comunione con i nostri fratelli e sorelle defunti, il nostro pregare con loro,
l’amore che ci hanno donato e quello che possiamo donare noi nel tempo di
questa vita, un amore che resta per l’eternità, anche quando sarà svanito il
ricordo di noi su questa terra.
In Paradiso io ci sto andando così: ascoltando tutto contento chi
mi parla del Paradiso!
Il giorno di tutti i Santi noi preti raccomandiamo alla gente di
partecipare alla Messa del 2 novembre e di far visita ai propri cari al
cimitero, o almeno di volgere loro un pensiero d’affetto e di gratitudine
durante la giornata. Lo raccomandiamo perché sappiamo che ne abbiamo bisogno:
abbiamo bisogno di guardare il cielo, la Gerusalemme celeste! Abbiamo bisogno
di ricordare l’amore che abbiamo ricevuto da Dio, dai Santi, dai nostri cari
defunti per essere trasfigurati da quell’amore e portare Paradiso in ogni luogo
che abitiamo!
Alle 11.00 anch’io ho celebrato la Messa e, ascoltando le letture del
terzo formulario, ho pensato intensamente a Gerusalemme, al pianto di Gesù alla
vista della città (Lc 19, 41) e alle sue parole, pronunciate qualche tempo
prima del Suo ingresso: «Gerusalemme,
Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a
te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi
pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!» (Lc 13, 34).
La seconda lettura ci fa vedere la Gerusalemme nuova, la città
santa, «la tenda di Dio con gli uomini»
(Apocalisse 21, 3), e allora mi sono immaginato il Paradiso così: un luogo in
cui finalmente tutti saremo pulcini che si lasciano raccogliere sotto le ali
della chioccia. I pulcini non fanno paura: anche i bambini tranquillamente li
prendono nelle loro mani. Il loro becco non è ancora una minaccia, le loro
zampe non possono ancora ferire. Sarebbe bellissimo se tutti volessimo essere
pulcini…
«… e voi non
avete voluto!» (Lc 13, 34).
La santità sta tutta qui: accettare già nel tempo di questa vita
di essere pulcini che tutto ricevono da Dio e che vedono nell’altro un loro
simile, figlio dello stesso Dio, ugualmente indifeso e ugualmente bisognoso di
tutto. Essere pulcini, essere agnelli non significa arrendersi alla prepotenza,
non significa rassegnarsi al male, non significa assumere uno stile passivo. Essere
pulcini significa vivere la vita di Cristo Gesù, vivere la vita delle
beatitudini, confidare in Dio e scegliere con mitezza e amore di rispondere al
male con il bene!
Quando
mancano cinquantadue giorni a Natale, chiedo a Dio la grazia di essere un
pulcino sotto le Sue ali!
Mi piace leggere ciò che scrivi
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