lunedì 25 dicembre 2023

Il Natale


«Dicono che il Natale sia la giornata più religiosa.
È vero. Perché si può anche non vedere il Natale; non ricordare o ricordare a nostro modo ciò che ci piace; fare l’albero o il presepio con o senza il Bambino o con un Bambino di carta, di legno, di celluloide, con un Bambino che pare una bambola per i sentimentali, un mito per gli uomini forti.
Che l’incanto del Natale rimanga, per carità, che il pur tenue filo di poesia o di fede o di bontà rimanga! Io non voglio tagliarlo; sarei un sacrilego. Ma se penso che a forza di mettere insieme Gesubambini di cartapesta non vediamo più i bambini di carne; che possiamo far patire la fame a non so quanti milioni di bambini, quasi fossero di cartapesta anch’essi; che possiamo sparare, buttare giù bombe di due, quattro tonnellate, perché gli uomini sono di cartapesta; minacciare l’uso dell’atomica, perché gli uomini sono materiale umano; allora, io mi chiedo se è buona cosa questo incantamento che ci procuriamo per distaccarci il cuore di carne dal cuore di carne del Natale.
«E il Verbo si è fatto carne».
Una Parola che è tutto, per essere riconosciuta, ritrovata e adorata dall’uomo, chiede di farsi uomo, ha bisogno di farsi carne.
Molti trovano più comodo contemplare il Verbo, invece di soccorrere, baciare, adorare il Verbo fatto carne in ogni povera carne.
Ed ecco che questo Bambino nasce ogni giorno in una grotta di Cutro o di Melissa, in uno scantinato di Roma o di Milano, sotto i bombardamenti di Corea…
Lì dobbiamo fare il presepio, lì inginocchiarci, lì cantare la ninnananna, mentre fuori crepita il mitra, scoppia la bomba, e c’è la fame, l’agguato, la donna perduta, l’emarginato, il senza-casa, il ladro…
[…] Comincio a intravvedere le abissali proporzioni del mio presepio, la novità senza fine di una religione, che questa notte mi mette in ascolto del lamento di ogni creatura, la quale ha diritto di venire consolata in Colui che viene» (da “Un Bambino piange” (1959), di don Primo Mazzolari, in Il Natale, ed. La locusta, Vicenza).

domenica 24 dicembre 2023

0 giorni a Natale


Tra poche ore sarà Natale.
Dopo sessantacinque giorni di cammino, sono arrivato in prossimità di Betlemme! Il viaggio è stato bellissimo: ho incontrato persone, ho ascoltato storie, ho visto accadere grazie, ho raccontato e testimoniato la gioia del Vangelo e la viva presenza di Cristo risorto nella mia vita!
Oggi, mentre sento suonare le campane a festa, contemplo la natività e prego con queste parole di don Primo Mazzolari:
 
«Gesù viene.
E con Lui viene la gioia.
Se lo vuoi ti è vicino;
anche se non lo vuoi, ti è vicino.
Ti parla anche se non gli parli;
se non lo ami egli ti ama ancor di più.
Se ti perdi, viene a cercarti;
se non sai camminare, ti porta.
Se tu piangi, sei beato perché Lui ti consola.
Se sei povero, hai assicurato il Regno dei cieli.
Così entra nel mondo la gioia.
Attraverso un bambino che non ha niente». [don Primo Mazzolari]
 
Buon Natale!

sabato 23 dicembre 2023

1 giorno a Natale



Il Natale di Gesù lo guardo e lo riguardo come guardo e riguardo quel goal di Roberto Baggio che mi è capitato di vedere per la prima volta qualche giorno fa. È un Napoli-Fiorentina del 1989. Non potevo ricordarmelo perché avevo solo sette anni, ma ora non mi stanco di vederlo e rivederlo meravigliandomi ogni volta: Baggio riceve palla da un compagno qualche metro oltre l’area di rigore della Fiorentina e corre palla al piede per tutto il campo scartando gli uomini che cercano di interrompere la sua azione. Ormai è in area e gli resta solo il portiere da battere e lui lo dribbla e mette la palla in rete. Ed esultano Baggio e i suoi compagni! Ed esultano i tifosi della Fiorentina, ma esultano pure quelli del Napoli perché hanno visto qualcosa di meraviglioso e, pur vedendo ogni Domenica le prodezze di Maradona, alla bellezza non ci si abitua mai! Ed esulto anch’io, dopo tanti anni, saltando sulla sedia e dicendo: «Incredibile! Che meraviglia!».
 
Non mi stanco mai di guardare il Natale di Gesù e sembra che non si stanchino nemmeno molti altri, vista la grande quantità di presepi che trovo nelle chiese, ma anche nelle case!
Il Natale di Gesù è un fatto che rallegra.
È un fatto che riempie di stupore.
È un fatto che non importa se quella volta non l’hai visto, perché non c’eri o eri troppo piccolo, oggi appena ne senti parlare o appena ti fermi a guardarlo, ti attrae, ti prende il cuore, ti mette di buonumore, t’ispira pensieri, parole e opere d’amore!
Nasce Gesù bambino e mi somiglia.
Lui somiglia a me! Io somiglio a Lui!
Lo guardo e lo riguardo senza stancarmi mai.
E così alla fine lo conosco e lo riconosco. E comincio a vederlo in mia madre e in mio padre, nei miei fratelli, negli amici e nei nemici, nei vicini e nei lontani,… Tutti noi somigliamo a Lui!
 
Così il Natale di Gesù mi fa pensare a quel goal di Roberto Baggio perché, come quel goal e molto più di quel goal, il Natale di Gesù è per me fonte inestinguibile di gioia e meraviglia!



venerdì 22 dicembre 2023

2 giorni a Natale


A volte don Domenico, durante il pranzo, raccontava a me e a padre Aro episodi della vita dei santi. Me n’è rimasto impresso particolarmente uno.
Non ricordo chi era il santo, ma si trattava di un uomo che viveva al servizio dei poveri e trascorreva le sue giornate a fare la carità. Don Domenico diceva che questo santo credeva nella Provvidenza di Dio a tal punto che la sera gettava dalla finestra di casa tutti i soldi e i beni che gli erano avanzati, dopo la giornata trascorsa a fare la carità.
Il giorno dopo riprendeva la sua opera con i beni che la Provvidenza gli metteva nuovamente a disposizione e non con quello che gli era avanzato il giorno prima.
E ogni giorno la Provvidenza di Dio lo provvedeva del necessario per aiutare i poveri che incontrava.
 
Quando mancano due giorni a Natale, ti chiedo, Signore, la grazia di imparare a fidarmi della Tua Provvidenza!

giovedì 21 dicembre 2023

3 giorni a Natale – Un panino con la frittata?


«Arianna cominciò a ridere come mai. Un panino con la frittata? Ma non era possibile fare un panino con la frittata. Il nonno insisteva e le diceva che era buonissimo, ma proprio eccezionale e che non si faceva più perché adesso tutte le cose dovevano essere veloci e invece un panino con la frittata ci vuole del tempo per farlo. Molto tempo e una cura particolare. […]
“Una rosetta con la frittata?”. La nonna fu presa dall’entusiasmo. Era seduta in salotto. Carlotta e Domitilla continuavano a giocare nella stanza dei nipoti e lei stava facendo un lavoro mentre alla radio suonava musica classica. “Facciamola insieme dai”. Arianna si entusiasmò. Tutti le dicevano che era sbadata e impulsiva e che faceva le cose senza pensarci e si dimenticava i pezzi e correva e insomma si concentrava poco, invece la nonna le diceva sempre: fallo, dai, vedrai che ti viene bene. Questo la entusiasmava e le metteva una grande felicità. Aprì il frigorifero e prese due uova. Le ruppe in una scodellina e con la forchetta cominciò a girare per sbattere l’uovo.
Fu una rosetta magnifica, trionfale. Il pane croccante insieme alla frittata tiepida. Carlotta e Domitilla arrivarono di corsa e ne vollero assaggiare. Anche il nonno ne chiese una e insomma per parecchio tempo non fecero altro che sbattere uova e far frittate e lei pensava di essere diventata veramente brava, ormai, a far frittate» (Matteo Nucci, Sono difficili le cose belle, Harper Collins, pp. 134-136).
 
Immerso nella lettura di un bel romanzo, mi ritrovo a ricordare l’atmosfera di quei pomeriggi trascorsi a casa coi miei fratelli e coi nonni dopo la scuola. Si usciva poco a quei tempi durante la settimana e la casa era il luogo in cui giocare, leggere, divertirsi e ridere insieme, imparare guardando o ascoltando i nonni, riposarsi, invitare gli amici. Si stava insieme grandi e piccoli senza chiudere le porte, senza avere spazi segreti e inaccessibili, senza nascondersi, se non per giocare a nascondino. Così capitava di guardare nonna mentre, fatta una montagnola di farina su una tavola di legno, vi versava al centro i tuorli delle uova e iniziava a impastare, oppure di vedere nonno che puliva il pesce o lavorava a piccoli modellini di barche a vela, oppure capitava di accompagnare i nonni nel giardino, o in campagna a cogliere i pomodori, o a prendere le uova nel pollaio,… Si cresceva insieme, si imparava insieme, si superavano gli ostacoli insieme, si gustavano le cose buone insieme: che profumi che uscivano dal forno o dalle pentole quando cucinavano il pranzo o la cena! Che gusto il pane con l’olio e il pomodoro! E che sapore indimenticabile il panino con la frittata!

Quando mancano tre giorni a Natale, ricordo che fin dalla mia nascita c’è sempre stato qualcuno al mio fianco che s’è preso cura di me, mi ha insegnato, m’ha dato fiducia e m’ha incoraggiato a provare e riprovare, a non arrendermi, qualcuno che m’ha accompagnato a cercare, a fare la fatica di imparare, a fare il bene! Chi sarei oggi se m’avessero lasciato crescere da solo?

mercoledì 20 dicembre 2023

4 giorni a Natale – Il vecchietto e la sua Bibbia


Un vecchietto venne a trascorrere alcune settimane di convalescenza nell’Istituto delle Suore Teresiane di Ripatransone, dopo un brutto infortunio che gli era capitato mentre lavorava nella sua campagna. Le suore si prendevano cura di lui e lo assistevano. Lo incontravo tutti i giorni uscendo dal refettorio dove mangiavo con don Domenico e padre Aro. Lo salutavo e lui cordialmente rispondeva al mio saluto. Finché, un giorno, mentre eravamo in cortile, forse incoraggiati dal sole primaverile, cominciammo a parlare e – non ricordo perché – l’argomento cadde sul libro di Tobia. Mai avrei immaginato di trovarmi a parlare della Bibbia con un vecchietto incontrato quasi per caso; un vecchietto che non era stato catechista e nemmeno seminarista, ma leggeva la Bibbia. Quel giorno nel cortile delle suore si era messo a raccontarmi la speranza e la forza che la Sacra Scrittura gli aveva comunicato nei diversi momenti e situazioni della sua vita. La Bibbia aveva assunto un’importanza fondamentale per lui: era come se avesse riconosciuto una sorta di parallelismo tra la sua vita e quello che leggeva. In particolare amava il libro di Tobia con il protagonista che deve mettersi in viaggio per compiere la sua vocazione e trova una guida sicura nell’angelo Raffaele e un aiuto continuo da parte della Provvidenza di Dio, anche nei momenti in cui tutto sembra perduto e uno rischia di abbandonarsi alla disperazione.
 
Oggi mi è tornato in mente quel vecchietto, di cui non ricordo il nome, perché in questi giorni sto incontrando persone adulte e anziane che mi raccontano la loro storia e spesso sono racconti di speranza, di fiducia, di perdono, di guerra e di pace. E nell’ascoltarli mi vengono in mente Abramo e Sara, Giacobbe e Labano, Giuseppe e i suoi fratelli, Mosè e Aronne, Tobia e Sara, Giobbe, Elia ed Eliseo, Zaccaria ed Elisabetta, Simeone, Anna,… Giuseppe e Maria, Gesù e gli apostoli,… i profeti, i santi,… e le loro vite caratterizzate dalla speranza, dalla fede e dalla fiducia, dall’amore, dal perdono e dalla pace ricevuti e donati in viaggi, litigi, imprevisti, guerre, deportazioni, carestie, liberazioni e ritorni, vittorie e sconfitte, feste e funerali,…
 
Cosa resta di una vita e di una storia? Cosa resta più impresso di quello che uno ha vissuto? Tutti raccontano la pace, cercata e trovata, donata e ricevuta, perduta e ritrovata! Tutti, anche mostrando le ferite e le piaghe per dolori, tradimenti, malattie, sofferenze, delusioni, tutti fissano lo sguardo sul bene cercato e trovato, ricevuto e donato, perduto e finalmente ritrovato!

Quando mancano quattro giorni a Natale, mi conquista un forte senso di fiducia e di speranza, mi conquista la certezza della tua buona Provvidenza, o mio Signore!

martedì 19 dicembre 2023

5 giorni a Natale

Mancano cinque giorni a Natale e penso alla piccola Vittoria che sta cominciando a parlare e tra qualche mese mi chiederà: «Perché, Zio?».

E i «perché» possono essere infiniti: «Perché hai la barba lunga? Perché abiti in una chiesa? Perché non hai una famiglia? Perché non stai con noi? Perché ti vesti così? Perché spesso parli di Gesù? Perché…?».
Immagino le domande di mia nipote e mi sembra di riascoltare il Vangelo di Domenica: «Tu, chi sei? Chi sei, dunque? Sei tu Elia? Sei tu il profeta? Chi sei? Che cosa dici di te stesso? Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?» (Gv 1,6-8.19-28).
L’incontro con Giovanni Battista non lascia indifferenti. Trovarsi di fronte un uomo che è «vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi» (Mc 1, 6), venire a sapere che mangia cavallette e miele selvatico (Mc 1, 6), sentirlo predicare e vederlo diventare «voce» (Gv 1, 23), sentirlo annunciare uno più forte di lui (Mc 1, 7), suscita infinite domande. Ancora oggi!
E io? Quando incontro un Giovanni Battista sulla mia strada, mi meraviglio o passo oltre? Mi chiedo «Perché?», o resto indifferente?
Oggi Giovanni Battista è quell’uomo che fa la volontà di Dio e si ostina sulla via del bene. Diventa per me un segno? Diventa per me una luce? Oppure lascio che la sua testimonianza si perda tra le tante che incontro?
Giovanni è quel prete che col suo celibato mi dice che tutti viviamo per il Regno dei cieli. Giovanni è quel frate o quella suora che con i voti di povertà, castità, obbedienza mi ricorda che i beni di questo mondo non danno la vita, né la felicità, che essere liberi non significa fare quello che ci pare, ma obbedire a Dio, che amare è sempre servire e mai possedere.
Giovanni è quella coppia di sposi che si accoglie e riaccoglie rinnovando le promesse del matrimonio: «Io accolgo te come mia sposa. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita».
Giovanni è quella famiglia in cui si respira carità e condivisione!
Giovanni è quel ragazzo che va a fare volontariato all’oratorio o all’UNITALSI e mi dice che la gioia è farsi prossimi di qualcun altro.
Giovanni è quella missionaria che parte per un Paese lontano e con la sua vita di cura e servizio al prossimo mi dice che quell’uomo che io incontro nel mio Paese e sulla mia strada non è uno straniero ma un fratello da onorare, rispettare e servire per amore di Cristo, perché Cristo per lui e per me dona tutta la Sua vita!
Giovanni è quella donna che dice che la parrocchia le è molto cara perché lì ha imparato a distinguere cos’è bene e cos’è male.
Giovanni è quel bambino che, stupendosi di ogni cosa, mi ricorda di non dare per scontata nemmeno una cosa!
Giovanni è quel piccolo che, avendo bisogno di ogni cura, mi costringe a essere attento anche alla più piccola cosa! Giovanni sono anch’io quando distolgo lo sguardo dal mio “Io” per tenerlo fisso su Gesù Cristo, diventando segno di Cristo, annuncio di Cristo, voce di Cristo, memoria di Cristo!

lunedì 18 dicembre 2023

6 giorni a Natale


Un mio amico prete ha pubblicato su facebook una vignetta di Fabio Magnasciutti in cui è raffigurata la stella cometa in un cielo grigio, vuoto di stelle ma pieno di missili grigi diretti contro una parte o contro l’altra.

La stella cometa, gialla e tutta sola nel cielo grigio, sembra un pesce fuor d’acqua in mezzo a tutti quei missili e si chiede: «ma, dico io, ci sarà pure una via alternativa, no?».
 
L’immagine mi suggerisce che nella vita si può scegliere se essere “contro” o semplicemente essere “con” e far splendere la propria luce perché illumini tutto e tutti! Così è il sole, così sono la luna e le stelle, così è Gesù luce del mondo, così è chi, nel nome di Gesù, vive e offre la fraternità, così è chi vive da servo per amore. E non importa quanti scelgano la via alternativa, la via della stella cometa, la via del Vangelo, l’importante è che la scelga io e che la indichi a tutti quelli che incontro!

Quando mancano sei giorni a Natale, ti chiedo Signore di vivere e annunciare la nuova ed eterna alleanza, offrendo a tutti gli uomini l’amore e la fraternità, frutto del Vangelo che mi è stato annunciato!

domenica 17 dicembre 2023

7 giorni a Natale

 

«Chissà se quest’anno gli scout verranno a portare la luce della pace di Betlemme?», mi chiedevo qualche giorno fa, vista la guerra che sta martoriando quelle zone.
A rispondere alla mia domanda, è arrivata puntuale la telefonata di un capo-scout del gruppo S. Benedetto1: «Sabato sera (16 dicembre) veniamo a portare la luce della pace!».
Che gioia veder entrare gli scout con quella fiammella accesa dentro una lanterna rossa! Che gioia immaginare quel simbolo di pace percorrere la terra portato da tanti operatori di pace! Che gioia sentire che, anche se ancora non c’è pace, fortissima è la speranza di pace, fortissima è la certezza che trionferà la pace!
 
Ci mettiamo davanti al tabernacolo e uno scout legge un messaggio che lui e i suoi compagni hanno composto per l’occasione:
«Nella chiesa della Natività a Betlemme c’è una lampada a olio che arde perennemente da moltissimi secoli, alimentata dall’olio donato a turno da tutte le nazioni cristiane della terra.
A dicembre, ogni anno, da quella fiamma ne vengono accese altre e vengono diffuse su tutto il pianeta come simbolo di pace e fratellanza tra i popoli. Il motto scelto per quest’anno è “Fare Pace rende felici”.
Anche quest’anno gli scout hanno voluto rinnovare questa tradizione. Ci siamo recati in stazione e da lì abbiamo acceso le nostre lanterne per diffondere, tramite questo simbolo, il messaggio di pace.
Riportiamo qui il messaggio del Papa: “Preghiamo per la pace senza stancarci; bussiamo, con spirito umile e insistente, alla porta sempre aperta del cuore di Dio e alle porte degli uomini”».

Quando mancano sette giorni a Natale, guardo i volti, sereni e contenti, di chi ci ha portato la luce della pace e si rafforza in me la certezza che “Fare pace rende felici”! Signore, il Tuo Natale sia per tutti luce di pace!

sabato 16 dicembre 2023

La mia anima esulta nel mio Dio


Brano su cui pregare: Isaia 61, 1-2.10-11
1Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, 2a promulgare l'anno di grazia del Signore.
10Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. 11Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti.
 
Grazia da chiedere
Chiedo al Signore la grazia di vivere nella gioia l’attesa del Salvatore che viene.
 
INTRODUZIONE ALLA PREGHIERA
Si tratta del brano che Gesù legge nella sinagoga di Nazaret (Lc 4, 14-21): «Nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”» (Lc 4, 20-21).
Con Gesù inizia un tempo nuovo che è un tempo di grazia. Sapere che quello che sto vivendo è un tempo di grazia, mi mette nella condizione di cercare la grazia, di riconoscere la grazia, di vivere la grazia, di annunciare la grazia.
Mi sono accorto che trovo solo quello che cerco.
Se vado in giro senza cercare niente, mi accontento delle prime cose che incontro. Ma se, sulla Parola di Dio, vado in giro cercando Dio, io trovo Dio, riconosco la Sua grazia: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta!» (Mt 6, 33).
Che tempo è questo per il mondo?
Forse per il mondo è tempo di guerra e di violenza, è tempo di individualismo, egoismo, superbia e prepotenza, è tempo di ipocrisia, è tempo di odio, è tempo di male, è tempo di distruzione, è tempo di morte, è tempo di disperazione. Tutte queste cose, che incontro nel mondo, mi colpiscono, mi fanno male, mi rattristano e, se non vado in giro forte della Parola di Dio, rischiano di nascondere ai miei occhi la grazia di Dio, rischiano di convincermi dell’assenza di Dio o della Sua indifferenza alla mia vita, alla vita del mio prossimo, alla vita del mondo.
Che tempo è questo per me che sono cristiano?
È tempo di grazia, è tempo favorevole (2Cor 6,1-2), è tempo giusto per fare la volontà di Dio come mi viene annunciata dal profeta Isaia, come viene compiuta dal Signore Gesù: «mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di grazia del Signore» (Is 61, 1-2). Ed è tempo di grazia sia che mi trovi in pace, sia che mi trovi in mezzo a una guerra; sia che mi trovi nella libertà, sia che mi trovi in carcere; sia che mi trovi nella gioia, sia che mi trovi nella tribolazione: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,…» (Is 61, 10).
          Leggo e rileggo, allora, le parole di San Paolo ai Corinzi sentendole destinate a me e guardandomi, in compagnia di Dio e forte della Sua grazia, in tutte le situazioni elencate dall’apostolo:
 

«Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti:

Al momento favorevole ti ho esaudito
e nel giorno della salvezza ti ho soccorso.

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità, con amore sincero, con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2Cor 6, 1-10).

 

INDICAZIONI PER LA PREGHIERA

-        Ora rileggi il brano biblico; cerca di capirlo, soprattutto per come ti è stato spiegato: cosa dice il brano in sé?

 

-        Fai presente la tua vita quotidiana, le tue situazioni, quello che sei…; rivedi tutto a partire dal brano biblico: cosa dice a te?
 
-        COME TI TOCCA quello che comprendi? Quale sentimento ti suscita?

Dialoga con il Signore ed esprimi ciò che desideri dirgli

8 giorni a Natale


Durante una catechesi sul settimo comandamento («Non rubare») mi ritrovo a leggere alcuni brani tratti dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta di testi che mettono in evidenza la differenza cristiana nel modo di abitare questo mondo: c’è, infatti, uno stile di vita tipicamente cristiano che ci fa diversi da tutti gli altri.
 
Faccio riferimento ai numeri dal 2401 al 2406 e in particolare al numero 2403: «“L’uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri” (Gaudium et spes, 69). La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza; deve perciò farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti».
 
Le cose esteriori che legittimamente possiedo non devo considerarle solo come mie, ma anche come comuni. Quindi essere proprietario di qualcosa non mi legittima a fare di quel bene che possiedo quello che voglio, né mi mette in una posizione di superiorità rispetto a chi non possiede quel bene, ma sempre in una posizione di servizio: essere proprietario di un bene fa di me un amministratore della provvidenza.

Quando mancano otto giorni a Natale, scopro che sono un amministratore della buona provvidenza di Dio e sono contento di far fruttificare i beni che possiedo e di spartirne i frutti con gli altri!

venerdì 15 dicembre 2023

9 giorni a Natale


Il giorno di Santa Lucia è nato al cielo Antonio Capriotti, poeta di Ripatransone e nostro parrocchiano qui a Cristo Re. L’ho conosciuto anni fa leggendo una bellissima raccolta di sue poesie intitolata “Da dietro la siepe”.
Oggi riprendo quel libro in mano e rileggo i suoi versi così luminosi ed evocativi.
Mi soffermo su una poesia che si intitola “Lontani Natali”:
 
Inobliabili Natali lontani: così semplici
e strani, così freddi alle mani
e caldi nel cuore. Così lontani ch’era festa
pur senza luminarie né TV, e nella Notte cercavi
lassù, ferma nel tuo cielo la coda viaggiante
della Stella – agli alari già bruciava
il ceppo grande per Maria. Che mistero!
E a tavola dicevi la poesia
studiata per la mancia di papà.
Oh quei Natali
con il dolce ai fichi secchi, le noci, le mandorle
e l’uvetta; con la neve a mucchi
in strada e sopra i tetti, arabescata alle finestre
– agli usci tramontana e là fuori saltellanti
i passeri, ingobbiti. E tu pensavi
ai poverelli intirizziti e muti attorno a tavole
di fame: che tristezza! Un attimo soltanto
– guardavi là nell’angolo il presepio
di cartone – e subito sereno
giocavi a tomboletta. Cari
inobliabili Natali: così semplici e strani, così freddi
alle mani e caldi nel cuore. Così lontani.
 
Quando mancano nove giorni a Natale, ringrazio Dio per il dono dei poeti, che mi aiutano a vedere le meraviglie di cui brilla la vita!
Ringrazio Dio per Antonio che ha condiviso con tutti quello che lui vedeva, amava e sentiva e stamattina voglio pregare con le sue parole:

«Fa’, Signore, che la promessa Tua

di luce vera
irradi quotidiana fin dall’alba
il mio cammino»
(dalla poesia “Risveglio” contenuta nella raccolta “Da dietro la siepe”).



giovedì 14 dicembre 2023

10 giorni a Natale


«Il 28 settembre, «febbricitante, accompagnato da un giovane e cavalcando un muletto che era stato condotto da Ubeda a la Peñuela il giorno prima, Giovanni parte alla volta di quell’importante cittadina».
Lungo il cammino, i due viandanti si fermano sotto un ponte del Guadalimar per riposarsi un po’.
Il giovane che l’accompagna chiede per l’ennesima volta a Giovanni se desidera mangiare qualche cosa. E ancora una volta riceve risposta negativa. Ma dopo un po’: «Degli asparagi, se ci fossero», dice Giovanni. Il giovane esprime il suo stupore per l’insolita richiesta, perché la fine di settembre non è stagione di asparagi. Tuttavia si guarda attorno, e vede «sopra un sasso nel greto del fiume proprio un mazzetto di asparagi. “Vai a prenderli”, gli dice Giovanni, e metti al loro posto quattro maravedìs» per non defraudare il proprietario. Quindi ripartono per Ubeda…» (Contardo Zorzin, Giovanni della Croce. L’uomo dell’essenziale, ed. Paoline, pp. 137-138).
 
Qualche settimana dopo, il 14 dicembre 1591 a mezzanotte Giovanni della Croce muore a Ubeda. Ha quarantanove anni.
Nell’episodio che ho citato, mi colpisce la normalità del suo agire, particolare che a volte nella vita di un santo rischia di perdersi. Il santo si riposa un po’. Il santo mangia. Il santo chiede: «Degli asparagi, se ci fossero». Il santo ha cura del suo prossimo: «metti al loro posto quattro maravedìs» (moneta spagnola di quel tempo).
Questa indicazione di Giovanni al suo giovane compagno mi fa pensare che la santità è aver cura delle persone anche in loro assenza; la santità è tener sempre presente il prossimo, anche quando non lo vedo o non è ancora arrivato; la santità è vivere sapendo che non si è mai soli, ma sempre in presenza di qualcuno con cui si condivide vita, spazio, tempo, risorse, beni. Perciò la santità è aprire e chiudere una porta con dolcezza, entrare in chiesa senza far rumore, spegnere il telefono prima della preghiera, abitare gli spazi comuni lasciandoli puliti e in ordine, parlare a bassa voce di notte per non svegliare chi dorme, rispettare il codice della strada,… dare il giusto salario all’operaio,… mettere al posto di un mazzetto di asparagi quattro maravedìs per non defraudare il proprietario,...

Quando mancano dieci giorni a Natale, chiedo al Signore per intercessione di San Giovanni della Croce, che la cura del prossimo non sia qualcosa di eccezionale, ma lo stile con cui compio ogni azione, anche la più ordinaria e abituale!

mercoledì 13 dicembre 2023

11 giorni a Natale – Facciamo la pace


Ieri mattina ascoltavo Giorgio Zanchini su Rai Radio 1 mentre leggeva un articolo di Gideon Levy pubblicato sul Sole 24 Ore. L’articolo inizia così: «Un padre in lutto, il cui figlio di otto anni è stato ucciso dai soldati, questa settimana si è fermato all’ingresso della sua casa al confine con il campo profughi di Jenin e ha affermato una semplice verità: “Questi bambini non perdoneranno mai i soldati. State crescendo un’altra generazione di resistenza. Ora i nostri figli vogliono che anche i bambini israeliani vengano uccisi”».
 
Sono parole disarmanti: basterebbe ascoltarle per far cadere le armi, per far cessare definitivamente il fuoco in ogni parte del mondo. Bambini innocenti nascono e muoiono sotto le bombe. Bambini innocenti iniziano a odiare quando i loro coetanei, in tante altre parti del mondo, fanno amicizia e giocano spensierati nelle loro case o all’asilo. Bambini innocenti sono costretti a vivere la guerra, la morte violenta, la distruzione, lo sfollamento,…
Mentre ascolto la lettura dell’articolo, che si intitola “Israele e Hamas, odio che chiama altro odio”, mi tornano in mente le parole del Papa nell’intervista al TG1: «Nella guerra uno schiaffo provoca l’altro. Uno forte e l’altro più forte ancora e così si va avanti».
Mi torna in mente anche il pensiero scritto da un ragazzo sul tema della pace; dice pressappoco così: «Se l’umanità non metterà fine alla guerra, la guerra metterà fine all’umanità». È stato scritto qualche anno fa, ma il messaggio è sempre attuale: l’odio distrugge l’umanità.
 
E il giornalista israeliano continua: «Dall’altra parte dei regni “occupati”, i bambini vengono uccisi a migliaia. Le recenti immagini da Jabalya hanno dimostrato che né Dio né l’Idf hanno pietà dei bambini. Ogni 15 minuti, un bambino viene ucciso a Gaza. Ogni pochi minuti, un bambino viene portato di corsa in ciò che resta di un ospedale, gettato sul pavimento sudicio, a volte senza che nessuno lo accompagni. A volte nessuno sa se è rimasto qualcuno vivo in famiglia, e il bambino lancia uno sguardo incomprensibile e vitreo a ciò che sta accadendo attorno a lui. Il suo corpo e il suo viso sono coperti di polvere. È stato estratto dalle rovine…» (Gideon Levy su Il Sole 24 Ore di martedì 12 dicembre 2023, p. 9).

Sento su di me gli occhi di quel bambino…

 
Davanti alla chiesa vedo i genitori che portano all’asilo i figli o li accompagnano a prendere il pulmino che li porterà a scuola. Sono bambini uguali a quelli che anche oggi vivranno nel terrore sotto i bombardamenti e i colpi d’arma da fuoco in Ucraina, in Israele, a Gaza e in tutti i luoghi in cui c’è una guerra. Sono bambini uguali a quelli che moriranno o che rimarranno orfani nelle zone di guerra o nelle zone in cui si muore per mancanza di cibo o per le malattie o per il freddo…
 
Celebro la Messa e li porto tutti con me a Gesù!
E nel Vangelo trovo una parola che mi conforta e allo stesso tempo mi obbliga: «Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda» (Mt 18, 14).
Il conforto viene dal sapere che il Padre è Padre di tutti, ha pietà di tutti e li salva tutti!
L’obbligo è il dovere mio e di ciascun cristiano di partecipare con tutta la vita e tutte le forze al compimento della volontà di Dio, perciò fa la volontà di Dio chi fa tutto il possibile perché neanche uno dei piccoli si perda!
Non ho la possibilità di partecipare alla soluzione dei conflitti internazionali, ma certamente posso vivere con meno superficialità i tanti “minuti” di cui è composta la mia giornata, posso vivere con più serietà le relazioni e gli incontri, posso scegliere di agire sempre per il bene comune, posso fare la pace, posso custodire e mantenere la pace coi vicini e coi lontani, posso vigilare perché l’odio non entri a ridurre in macerie la mia umanità!

Quando mancano undici giorni a Natale, penso a tutti i piccoli e al loro diritto alla pace!

martedì 12 dicembre 2023

12 giorni a Natale – Hai visto il presepe?


«Ho fatto il presepe!» mi avvisa babbo appena rientro a casa.
Distrattamente appoggio la giacca su una sedia e mi metto ad apparecchiare. Dopo cena salgo in camera, metto nel borsone qualche vestito, scendo e passo di fronte al presepe. Vado di fretta e non mi fermo.
 
Rientro in cucina e babbo mi fa: «Allora? Hai visto il presepe?».
 
Mi rammarico per la distrazione e torno indietro.
Accendo la luce delle scale e a Betlemme sorge il sole.
Nel silenzio di una semplice capanna di vimini, tutti guardano verso una mangiatoia coperta da un candido fazzoletto ricamato.
Contemplo la scena per un momento, poi, curioso, non posso fare a meno di spostare il velo sottile. Lo faccio scivolare con delicatezza.
Appare un bambino, che fa tenerezza. È circondato da chi gli vuole bene e apre le braccia per accogliere anche me, pellegrino in cerca di verità.
 
Di fronte a Lui mi presento così come sono: un uomo; un uomo che tenta di mantenere in vita i suoi sogni, anche se il mondo si impegna in tutti i modi per spegnerli, un viandante in cerca di una casa dove riposare, un innamorato che gradualmente comprende che non si può amare se non si è disposti a dare la vita, a offrirla per amore di Dio e del prossimo.
 
Grazie, Signore Gesù, per il dono della fede!
Grazie per chi mi ha trasmesso il dono della fede!
Grazie per i tanti testimoni che, nell’anonimato e nella ripetitività della vita quotidiana, prendono in silenzio la croce e Ti seguono.
Grazie per la preghiera e la fede di tanti uomini e donne!
Grazie per il dono della fraternità!
 
Improvvisa scende la sera su Betlemme. Le tenebre mi avvolgono e sento arrivare la prova: responsabilità, impegni, limiti, scale che sembrano difficili da affrontare, resistenze, incomprensioni, falsità, tentazioni, peccati,…
 
Io, però, sono sempre di fronte a Te, Gesù.
Tutto è immerso nel buio, ma Tu sei qui, con Maria, Giuseppe, il bue, l’asinello, i pastori, le pecorelle, gli angeli, i santi e tutti noi, uomini e donne che Tu ami!
Vedo brillare la luce dell’Amore e non ho più timore.
 
È allora che una preghiera sale fiduciosa dal profondo del mio cuore:

«Concedi al tuo servo un cuore docile,

perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male» (1Re 3, 9).
«Fa’ che sia sempre fedele alla tua legge
e non sia mai separato da Te»,
che trovi in Te la costanza e la forza
per combattere la buona battaglia,
l’umiltà e la mitezza che mi fanno somigliare a Te,
la speranza che mi consente di sognare,
l’amore che libera e trasforma il cuore. Amen.

lunedì 11 dicembre 2023

13 giorni a Natale


Il Battesimo di tre bambini, Edoardo, Damiano e Pietro, mi ha fatto tornare in mente l’incontro del Papa coi cresimandi a San Siro (25 marzo 2017).
Il Papa in quell’occasione ha invitato i ragazzi a cercare i loro punti di riferimento nei nonni, nei genitori, nei catechisti, negli adulti e nei buoni amici; allo stesso tempo ha invitato nonni, genitori, catechisti e adulti a essere buoni punti di riferimento per i ragazzi.
 
Mentre battezzavo Damiano, Edoardo e Pietro pensavo alla necessità che l’uomo ha di rielaborare le esperienze che vive. Non basta all’uomo fare esperienze: deve sempre metterle in relazione al passato, al presente e al futuro, confrontarle con le esperienze già vissute e anche con le esperienze che gli sono state raccontate da altri, considerare se sono state buone o cattive esperienze. E questo fin dalla nascita. C’è sempre bisogno di qualcuno che custodisca il bambino e che lo aiuti a capire cosa è buono per la sua vita e cosa, invece, gli è nocivo.
Durante il battesimo, quando il padrino accende la candela dal cero pasquale, spesso il bambino si mette a fissare curiosamente la fiamma che arde e subito tende la mano per toccarla. Se non ci fossero lì i genitori a tenerlo lontano dalla fiamma, il bambino la toccherebbe e imparerebbe che fa male toccare il fuoco. Ma si brucerebbe la mano. Quindi non tutto nella vita si impara facendo esperienze dirette e alcune esperienze dirette potrebbero danneggiarci in modo permanente. Molte istruzioni per la vita le impariamo dall’esperienza di altri, che troviamo accanto a noi al momento della nostra nascita: tutti nasciamo nudi, ma nessuno nasce da solo, ho letto in un libro qualche anno fa.
E nessuno vive da solo, ma sempre in relazione!
 
Nell’incontro coi cresimandi, c’è un passaggio in cui il Papa racconta come si insegna la solidarietà. Sono convinto che anche Pietro, Edoardo e Damiano la impareranno così dai loro genitori, dai nonni, dal padrino e dalla madrina: «… vi racconterò una cosa che io ho conosciuto a Buenos Aires. Una mamma era a pranzo con i tre figli, di sei, quattro e mezzo e tre anni; poi ne ha avuti altri due. Il marito era al lavoro. Erano a pranzo e mangiavano proprio cotolette alla milanese, sì, perché lei me l’ha detto, e ognuno dei bambini ne aveva una nel piatto. Bussano alla porta. Il più grande va, apre la porta, vede, torna e dice: “Mamma, è un povero, chiede da mangiare”. E la mamma, saggia, fa la domanda: “Cosa facciamo? Diamo o non diamo?” – “Sì, mamma, diamo, diamo!”. C’erano altre cotolette, lì. La mamma disse: “Ah, benissimo: facciamo due panini: ognuno taglia a metà la propria e facciamo due panini” – “Mamma, ma ci sono quelle!” – “No, quelle sono per la cena”. E la mamma ha insegnato loro la solidarietà, ma quella che costa, non quella che avanza! Per l’esempio basterebbe questo, ma vi farà ridere sapere come è finita la storia. La settimana dopo, la mamma è dovuta andare a fare la spesa, il pomeriggio, verso le quattro, e ha lasciato tutti e tre i bambini da soli, erano buoni, per un’oretta. È andata. Quando torna la mamma, non erano tre, erano quattro! C’erano i tre figli e un barbone che aveva chiesto l’elemosina e lo hanno fatto entrare, e stavano bevendo insieme caffelatte… Ma questo è un finale per ridere un po’… Educare alla solidarietà, cioè alle opere di misericordia. Grazie» (Papa Francesco, Incontro coi cresimandi a San Siro, 25 marzo 2017: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/march/documents/papa-francesco_20170325_milano-ragazzi-cresima.html).
 
Quando mancano tredici giorni a Natale, mi rasserena pensare che per essere cristiano non occorre che vada a evangelizzare la Luna o Marte, ma basta che evangelizzi il mio prossimo, il più vicino a me; mi rasserena pensare che per essere cristiano basta spezzare il pane col mio prossimo, basta leggere un libro a un bambino, basta raccontare Gesù con la mia semplice vita, basta insegnare le preghiere ai più piccoli, amarli e prendersene cura, basta aver rispetto del lavoro degli altri, basta custodire e promuovere la dignità dell’altro, basta insegnare a leggere e scrivere, basta fare bene il proprio lavoro, vivere la propria vocazione,…; mi rasserena pensare che per essere cristiano basta far memoria dell’amore più grande, far memoria del bene ricevuto, essere grati a chi ci ama, basta dare gratuitamente quel che siamo!
 
Il video del Papa a San Siro