sabato 30 novembre 2013

La religione cristiana

È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato c’è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c’è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch’è stato intrapreso per leggerezza; piega l’animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pure francamente, tutte le gioie della vocazione. È una strada così fatta che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l’uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d’allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine. [A. Manzoni, I Promessi sposi, Capitolo decimo]

venerdì 29 novembre 2013

Doni dello Spirito Santo

Lo Spirito di Dio guida ognuno in modo differente: l’uno trova pace nella solitudine; nel deserto l’altro prega per gli uomini; un altro è stato chiamato a pascolare il gregge di Cristo; ad un altro è stato dato di predicare o di consolare gli afflitti; un altro serve il prossimo con le sue forze e fatiche e le sue sostanze; e tutti questi sono doni dello Spirito Santo, accordati a ognuno in gradi differenti: ad uno trenta, all’altro sessanta, ad alcuni cento (cfr. Mc 4,20).
Se ci amassimo gli uni gli altri in semplicità di cuore, il Signore, per mezzo dello Spirito Santo, ci mostrerebbe molti miracoli e ci rivelerebbe grandi misteri. [Silvano del Monte Athos, Ho sete di Dio, Gribaudi 2007]

giovedì 28 novembre 2013

Se saremo agnelli…

Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza.

È come se Cristo avesse detto: Non turbatevi per il fatto che, mandandovi tra i lupi, io vi ordino di essere come agnelli e colombe. Avrei potuto dirvi il contrario e risparmiarvi ogni sofferenza, impedirvi di essere esposti come agnelli ai lupi e rendervi più forti dei leoni. Ma è necessario che avvenga così, poiché questo vi rende più gloriosi e manifesta la mia potenza. La stessa cosa diceva a Paolo: «Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesti pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). Sono io dunque che vi ho voluti così miti.

Per questo quando dice: «Vi mando come agnelli» (Lc 10,3), vuol far capire che non devono abbattersi, perché sa bene che con la loro mansuetudine saranno invincibili per tutti.

E volendo poi che i suoi discepoli agiscano spontaneamente, per non sembrare che tutto derivi dalla grazia e non credere di esser premiati senza alcun motivo, aggiunge: «Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt 10,16). Ma cosa può fare la nostra prudenza, ci potrebbero obiettare, in mezzo a tanti pericoli? Come potremo essere prudenti, quando siamo sbattuti da tante tempeste? Cosa potrà fare un agnello con la prudenza quando viene circondato da lupi feroci? Per quanto grande sia la semplicità di una colomba, a che le gioverà quando sarà aggredita dagli avvoltoi? Certo, a quegli animali non serve, ma a voi gioverà moltissimo.

E vediamo che genere di prudenza richieda: quella «del serpente». Come il serpente abbandona tutto, anche il corpo, e non si oppone pur di risparmiare il capo, così anche tu, pur di salvare la fede, abbandona tutto, i beni, il corpo e la stessa vita.

La fede è come il capo e la radice. Conservando questa, anche se perderai tutto, riconquisterai ogni cosa con maggiore abbondanza. Ecco perché non ordina di essere solamente semplici o solamente prudenti, ma unisce queste due qualità, in modo che diventino virtù. Esige la prudenza del serpente, perché tu non riceva delle ferite mortali, e la semplicità della colomba, perché non ti vendichi di chi ti ingiuria e non allontani con la vendetta coloro che ti tendono insidie. A nulla giova la prudenza senza la semplicità.

Nessuno pensi che questi comandamenti non si possano praticare. Cristo conosce meglio di ogni altro la natura delle cose. Sa bene che la violenza non si arrende alla violenza, ma alla mansuetudine. [Dalle Omelie sul vangelo di Matteo di san Giovanni Crisostomo, Liturgia delle ore – Ufficio delle letture]

mercoledì 27 novembre 2013

Il brigante e il Bambino

Una tradizione narra che durante la fuga in Egitto la sacra Famiglia si imbatté lungo la strada in un brigante; ma costui non fece loro alcun male. Quando vide il Bambino, disse che, se Dio si fosse incarnato, non avrebbe potuto essere più bello di quel Bambino; e li lasciò andare in pace. È una cosa stupefacente: un predone, che come una belva non ha pietà di nessuno, non aggredì né fece del male alla sacra Famiglia. L’anima del brigante, quando vide il Bambino e la sua umile Madre, fu commossa e la grazia di Dio lo toccò.

Lo stesso accadeva alle belve feroci che alla vista dei martiri o dei santi si ammansivano e non facevano loro alcun male. Ma anche i demoni temono l’anima umile, che con l’obbedienza, la temperanza e la preghiera li sconfigge.

Ed ecco un altro fatto strano: il brigante ebbe pietà del Bambino-Signore, ma i capi dei sacerdoti e gli anziani lo consegnarono a Pilato perché fosse crocifisso. Questo, perché non pregavano e non chiedevano consiglio a Dio su come e che cosa dovevano fare.

Così spesso i potenti e gli uomini in genere cercano il bene, ma non sanno dov’è questo bene. Non sanno che esso è in Dio e che da Dio è dato a noi.

È necessario pregare sempre che il Signore ci consigli come e che cosa dobbiamo fare, e il Signore non permetterà che cadiamo in errore. [Silvano del Monte Athos, Ho sete di Dio, Gribaudi 2007]

martedì 26 novembre 2013

Fiducia

L’anima che si è abbandonata alla volontà di Dio resta continuamente in Dio e trova in Lui riposo. E nella sua gioia prega che ogni anima conosca il Signore, quanto Egli ci ami e quanto abbondantemente effonda su di noi lo Spirito Santo il quale rallegra l’anima in Dio. E tutto, tutto allora è gradito al cuore, perché tutto è di Dio. [Silvano del Monte Athos, Ho sete di Dio, Gribaudi 2007]

lunedì 25 novembre 2013

P. P. P. P. (Piovosi pensieri di pastorale parrocchiale)

Piove.

E, forse, se non stesse piovendo, non prenderei la penna per scrivere ma sarei in giro per il paese indaffarato in commissioni mattutine.

Considerata la deriva dei miei pensieri, forse sarebbe stato meglio uscire, ma sentivo il dovere di dare voce a una riflessione personale sulla pastorale parrocchiale. Una pastorale fatta di cose semplici, quotidiane, una pastorale fatta preferibilmente di incontri personali, colloqui, confessioni.

La Domenica al termine della messa, avviso che presto comincerà il corso in preparazione al matrimonio, dico che è importante partecipare al catechismo per la formazione umana e spirituale dei ragazzi e per la preparazione ai sacramenti, ricordo che è opportuno partecipare agli eventi diocesani per ragazzi, giovani, adulti, fidanzati, famiglie, anziani,…

Poi, il Lunedì mi fermo a considerare questa quotidianità, questo ordinario, questo andare a messa tutte le Domeniche che interessa a pochi.

Don, siamo stati all’incontro ed eravamo tanti!
Abbiamo partecipato alla festa e c’era un sacco di gente!
Siamo andati in gita e abbiamo riempito due pullman!
Il pellegrinaggio è stato bellissimo e non vediamo l’ora di ripartire!

Già, ripartire

Un evento, una festa, un ritiro, una gita, un pellegrinaggio non sono la vita di tutti i giorni. Ne fanno parte, la ravvivano, la rendono più entusiasmante, simpatica, divertente,… ma non sono il quotidiano. Quel quotidiano caratterizzato dalla fedeltà a piccole cose che si ripetono così da una vita e non hanno niente di eccezionale, entusiasmante, divertente, rivoluzionario,…

Quel quotidiano che è la nostra vita: la sveglia che suona ogni mattina, il lavoro, lo studio, il gioco, la musica, il teatro, il riposo, l’assistenza agli anziani o agli ammalati, l’amicizia, il rispetto dei genitori, l’amore al prossimo, le relazioni, le telefonate, le strette di mano, i sorrisi, la preghiera, la messa feriale, quella domenicale,… le ore, i giorni, i mesi, gli anni.

È in questo ordinario che, come prete, vorrei accompagnare la gente, i fratelli, ogni uomo. In questo ordinario vorrei entrare per evangelizzare e per essere amico, fratello, padre.

Non amo gli eventi di massa se in essi non è possibile offrire una reale occasione di incontro personale, di confronto a piccoli gruppi, di dialogo.

Non sono i numeri a segnare il successo di un evento cristiano, ma l’aver reso possibile l’incontro con il Signore, Colui che ciascuno di noi desidera vedere (Gv 12,20-21: «Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: Signore, vogliamo vedere Gesù»).

Un evento può essere l’inizio di un cammino, ma non può essere un’esperienza unica nel suo genere. Altrimenti, tornando a casa, l’entusiasmo cede il posto alla nostalgia, alla malinconia e alla noia per la solita vita.

Com’è bello, invece, soffermarsi quotidianamente sul Vangelo, ragionarci un po’ insieme ai fratelli e lasciare che ciascuno con semplicità e libertà possa condividere intuizioni, sfumature e parole che più lo hanno toccato!

Com’è bello lasciare che il Signore passeggi per le nostre vie, ci accompagni non solo quando procediamo in ginocchio o a piedi scalzi, quando digiuniamo o facciamo penitenze, ma anche quando camminiamo leggeri!

Com’è bello lasciare che il Signore sia con noi nelle cose di ogni giorno, ci aiuti a santificare il quotidiano e a riconoscerlo presente nell’oggi che viviamo! [dGL]

domenica 24 novembre 2013

Se il ladrone...

Se il ladrone non fosse stato crocifisso...
... forse non avrebbe mai incontrato Gesù, forse non sarebbe diventato il buon ladrone, forse non si sarebbe salvato...
... magari avrebbe anche continuato la sua attività di malfattore per lungo tempo...

Mentre rileggo il Vangelo di questa domenica di Cristo Re, mi lascio trasportare dai pensieri. Quella croce per uno dei due ladroni è occasione di incontro con Gesù, occasione per lasciarsi salvare dalla Sua misericordia.

Penso alle nostre croci, quelle che normalmente fuggiamo: a nessuno piace andare in croce, nessuno vuole soffrire, tutti desideriamo stare bene ed evitare la sofferenza e il dolore.

Nella vita, però ci sono delle croci che non possiamo evitare. Il ladrone del Vangelo non può evitare la crocifissione; è stato condannato e per lui ormai non c’è via di scampo. Gli resta solo un po’ di tempo, davvero poco tempo,...

Non è la croce in sé a salvarlo. A fargli guadagnare il paradiso è, invece, la sua fede in Gesù. La croce, quella croce che fa bestemmiare il suo compagno, quella croce che è occasione di derisione per i capi dei giudei e per i soldati romani, è per il buon ladrone luogo di incontro con Dio. Egli, infatti, si accorge che al suo fianco c’è Dio e non un Dio indifferente, ma un Dio che è condannato alla sua stessa pena (Lc 23,40).

Dio è lì con lui e, come lui, è inchiodato su una croce!

Fissare lo sguardo su Gesù e vederlo capace di amore e di perdono (Lc 23,34) anche in quell’ora così estrema, gli fa pronunciare una bellissima preghiera di affidamento: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). Ormai gli resta poco da vivere, non conta più il giudizio degli uomini, il successo, la forza, la furbizia, il denaro.

Che Dio si ricordi di lui, questo in quell’ora ha un’importanza vitale.

E Gesù ascolta questa preghiera che viene dal cuore e apre a quell’uomo le porte del paradiso: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). [dGL]

sabato 23 novembre 2013

Venga il tuo regno

«Venga il tuo regno», noi preghiamo, e sia più intenso delle lacrime, e sia più bello dei sogni di chi visse e morì nella notte per costruirlo. Un regno che è di Dio, che è per l’uomo. Ed è come ripetere le parole del ladro pentito.

Pregare ogni giorno: «Venga il tuo regno» significa credere che il mondo cambierà; e non per i segni che riesco a scorgere dentro il groviglio dolente della cronaca, ma perché Dio si è impegnato con la croce.

Dire: «Venga il tuo regno» è affermare che la speranza è più forte dell’evidenza, l’innocenza più forte del male, che il mondo appartiene non a chi lo possiede ma a chi lo rende migliore.

Dire: «Venga il tuo regno» è invocare per noi un amore di una qualità simile a quella del Crocifisso, che muore ostinatamente amando, preoccupandosi di chi gli muore accanto, dimenticandosi di sé.

Il regno di Dio verrà quando nascerà, nel cuore nuovo delle creature, l’ostinazione dell’amore, e quando questa ostinazione avanzerà dalle periferie della storia fino a occupare il centro della città degli uomini. Solo questo capovolgerà la nostra cronaca amara in storia finalmente sacra.

[p. Ermes Ronchi, Respirare Cristo. Commento ai vangeli festivi. Anno C]

venerdì 22 novembre 2013

Preghiera e azione

«Se il Signore non costruisce la casa,
invano si affaticano i costruttori.» (Sal 127,1).

Affannarsi e affrettarsi per fare cose, risolvere problemi, pianificare tutto,… e poi, alla fine di una giornata faticosa, trovarsi a considerare vittorie e sconfitte, fallimenti e successi, guadagni e perdite alla luce di un salmo (127) che saggiamente ci ridimensiona ma, allo stesso tempo, ci rasserena.

Ci ridimensiona perché a volte dimentichiamo di essere uomini e viviamo i nostri giorni come se tutto dipendesse da noi, come se fossimo onnipotenti. E questo, se a prima vista ci può sembrare un bene, in realtà è causa di una continua inquietudine; desideriamo avere il controllo di ogni situazione e quando, inevitabilmente, qualcosa ci sfugge di mano, rimaniamo sconvolti e bloccati da una paura che appare invincibile.

Ci rasserena, invece, confrontarci con i nostri limiti, accettare pacificamente la nostra condizione umana e da cristiani riconoscere la paternità di Dio e aver fede nel Suo amore per ciascuno di noi (Mt 6,7-13)!

L’agire di noi cristiani, infatti, deve scaturire dalla nostra amicizia con Dio, dall’ascolto della Sua Parola, dalla preghiera e dall’incontro con Lui nell’Eucaristia, negli altri Sacramenti e nel nostro prossimo (Lc 10,25-42).

Noi cristiani non dovremmo avere difficoltà a riconoscere che senza Dio non possiamo fare nulla (Gv 15,5)! Così la vita sarà per noi una continua occasione per testimoniare l’amore di Dio e il nostro vivere per Lui. [dGL]

giovedì 21 novembre 2013

Preghiera

Dio misericordioso, Tu conosci la nostra fragilità. Io ti domando di darmi uno spirito umile, poiché nella Tua misericordia, Tu doni all’anima umile la forza di vivere secondo la Tua volontà. Tu le riveli tutti i tuoi misteri, Tu le doni di conoscerTi e di comprendere di quale infinito amore Tu ci ami. [Silvano del Monte Athos, Ho sete di Dio, Gribaudi 2007]

mercoledì 20 novembre 2013

La via più breve

Ecco la via più breve e facile per giungere alla salvezza: «Sii obbediente, sobrio, non giudicare e preserva la mente e il cuore dai cattivi pensieri». Pensa che tutti gli uomini sono buoni e che il Signore li ama. Per questi pensieri umili la grazia dello Spirito Santo abiterà nel tuo cuore, e tu dirai: «Misericordioso è il Signore!». Se invece giudicherai gli altri e sarai maldicente, se vorrai fare la tua volontà, allora, anche se preghi molto, la tua anima si impoverirà e dirai: «Il Signore mi ha abbandonato!». Ma non è il Signore che ti ha abbandonato: sei tu che hai deviato dal cammino dell’umiltà e quindi la grazia di Dio non rimane nella tua anima. La Madre di Dio fu «la più umile di tutti gli uomini che sono sulla terra» e per questo è glorificata in cielo e sulla terra. E anche ogni uomo che si umilia sarà glorificato da Dio e vedrà la gloria del Signore. [Silvano del Monte Athos, Ho sete di Dio, Gribaudi 2007]

martedì 19 novembre 2013

La fedeltà del prete

Nel cuore dello scorso inverno, il piccolo giardino dell’episcopio di Campobasso, città piuttosto freddina perché posta a 700 metri sul livello del mare, era sommerso di neve. Ma in un angoletto, meglio soleggiato, la timida forza del sole aveva teneramente fatto germogliare una fragile ma verdissima pianticella di viole. Raccolgo una violetta profumatissima e la porto a mia madre inferma. Dagli occhi suoi, di donna che ha sempre vissuto nella campagna tra i monti del Trentino, in Val di Non, quel gesto si fa speranza straordinaria nell’affrontare una brutta caduta che la teneva inferma a novant’anni. Ecco, la fedeltà del prete è come quella violetta spuntata nel cuore dell’inverno. Quando tutto attorno sembra gelido, spento, arido… quando la fatica è grande e sei circondato anche dalla ingratitudine o sei attaccato ingiustamente… proprio allora la tua fedeltà si fa violetta fra i ghiacci. [G. Bregantini, Lettera ai sacerdoti, Paoline 2010]

lunedì 18 novembre 2013

Che io Ti veda!

«Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Lc 18,41).

La domanda di Gesù al cieco sulla strada per Gerico risuona oggi per me.
Passa Gesù il Nazareno e si ferma per ascoltarmi.
È un’occasione da non perdere; ma che cosa chiedere?

«Signore, che io veda di nuovo!» (Lc 18,41), che io abbia occhi per vederti presente nella storia dell’uomo, nella mia storia!
Perché altrimenti non riesco a muovermi, non posso camminare, non posso seguirti!

E allora, Signore, che io veda di nuovo!
Che io Ti veda per fissare bene in me il Tuo volto e, facendone continua memoria, non perderti più! [dGL]

domenica 17 novembre 2013

Noi sulla via del Signore…

«Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza» (Lc 21,12-13).

Ascoltando il Vangelo di oggi, mi sono soffermato su questi due versetti in cui Gesù ci dice che cammineremo sulla Sua stessa strada condividendo la Sua vita.

Metteranno le mani su di noi,
come le misero su di Lui nell’orto degli Ulivi (Lc 22,54);
ci consegneranno alle sinagoghe e alle prigioni,
come condussero Lui davanti al sinedrio per essere giudicato (Lc 22,66);
ci trascineranno davanti a re e governatori,
come condussero Lui davanti al re Erode e al governatore Ponzio Pilato (Lc 23,1-12).

Infine, come Lui avremo occasione di dare testimonianza;
testimonianza di un amore fino alla fine (Gv 13,1), fino al dono totale della Sua vita per la nostra salvezza;
testimonianza di obbedienza al Padre: «non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42);
testimonianza di fiducia nel Padre anche nel momento della morte in croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

Signore, concedici di camminare con fede, speranza e carità sulla Tua via, la via del Vangelo! [dGL]

sabato 16 novembre 2013

Mondo piccolo

«Don Camillo, l’arciprete di Ponteratto, era un gran brav’uomo. Però uno di quei tipi che non hanno peli sulla lingua e, la volta che in paese era successo…»(Guareschi, don Camillo).

Qualcuno nei giorni passati ha paragonato la vicenda del monastero delle Passioniste di Ripatransone a un racconto di Guareschi. L’accostamento mi ha fatto sorridere, perché don Camillo è stato un mio compagno di viaggio fin da bambino.

Vivendo in prima persona gli eventi, però, ho dovuto prendere atto con rammarico che la vicenda del monastero non somiglia alle storie di Guareschi e non solo perché nel nostro caso don Camillo e Peppone stavano lavorando fianco a fianco per raggiungere lo stesso obiettivo!

Non siamo dentro una storia di Guareschi perché forse quelle storie non corrispondono più alla realtà che viviamo.

In un racconto di Guareschi, probabilmente, le monache, salite buone buone su un’auto mandata dal monastero di Tarquinia, in realtà non si sarebbero mosse da Ripa perché l’auto appena revisionata avrebbe avuto problemi ad accendersi e nessun meccanico del paese sarebbe stato disponibile a ripararla.

E in fondo era bene che la storia finisse così, perché una conclusione di questo tipo avrebbe pacificato gli animi più accesi e indignati, proprio come siamo tranquilli noi dopo aver visto un film di don Camillo con gli indimenticabili Fernandel e Gino Cervi!

Un finale alla don Camillo ci avrebbe lasciati sereni; infatti ci rasserena vedere che oggi vincono ancora i buoni sentimenti e la sincerità, ci rassicura sapere che i semplici sono ascoltati e amati, ci migliora toccare con mano che l’economia non conta più niente, quando c’è in gioco la vita di uomini e donne di carne, ci fa bene ritrovarci uniti e solidali a difendere un pezzetto della nostra storia, del nostro paese,…

Le monache sono rimaste a Ripatransone grazie all’intervento del Vescovo, ma la tensione c’è ancora perché la sospensione dell’ordine di trasferimento non è definitiva.

La realtà è diversa da un racconto o da un film, ma questo non ci impedisce oggi di guardare con fede quanto sta accadendo e continuare a sperare in un mondo nuovo! [dGL]

sabato 2 novembre 2013

Preghiera...

Dacci oggi il nostro pane quotidiano... 
Solo quel pane che basta per oggi. 
Così domani torneremo a pregare 
e non cominceremo a pensare di bastare a noi stessi! [dGL]