giovedì 27 novembre 2014

Il buon contadino

Nel giardino di casa del piccolo Nerino, c’era una quercia di grandissime dimensioni.
Il bimbo amava stare alla sua ombra ascoltando l’allegro canto degli uccelli tra le fronde.

Una mattina Nerino vide sotto l’albero tante ghiande e pensò di piantarne una. Cercò il nonno nell’orto dietro casa e gli chiese un vasetto e un po’ di terra buona per la sua ghianda. Poi, tutto contento, sotterrò il seme e bagnò la terra con l’acqua.

Mise il vaso nella sua cameretta, vicino alla finestra in un luogo ben visibile perché non voleva perdersi la nascita della sua quercia. Già immaginava il fusto che sarebbe diventato sempre più robusto e i rami pieni di foglie verdi; nel vaso sul suo comodino, Nerino sognava una quercia come quella che c’era in giardino.

I giorni passavano e dalla terra cominciò a spuntare un germoglio, poi un fusto verde con qualche fogliolina.

Nerino era felice: la rapidità di quei primi passi lo faceva ben sperare in tempi brevi per la crescita della sua quercia. Piano piano, però, il processo sembrò rallentare fino ad arrestarsi e nel vaso non si notavano cambiamenti; sembrava tutto fermo, eppure la piantina era verde e, quindi, viva.

Sulle prime, Nerino divenne impaziente: «Ma quanto ci mette!», sbuffava infastidito passando davanti al vaso. Poi pensò di aggiungere all’acqua un concime, ma non ottenne l’effetto sperato. Spostò la pianticella in un luogo più luminoso, ma non ci furono miglioramenti. Infine, prese il vaso e scese in giardino.

Chiese al nonno una piccola paletta, di quelle che si usano per il giardinaggio, e andò sotto la grande quercia. Il nonno, incuriosito, lo guardava da lontano.

Nerino cominciò a scavare e quando gli sembrava che la buca fosse abbastanza grande, si mise a estrarre dal vasetto la sua quercia, tirandola delicatamente per il fusto.

Fu allora che il nonno gli si avvicinò e gli chiese: «Che fai, Nerino?».
Il bambino gli rispose con aria seria: «La mia piantina non sta bene nel vaso; adesso la pianto sotto la sua mamma, così crescerà forte e grande come lei!».
Il nonno sorrise con tenerezza al nipote e gli disse: «Nerino, questa quercia era già molto grande quando io ero bambino; la natura ha i suoi tempi e il buon contadino non è quello che pretende di vedere subito i frutti, ma quello che sa attendere custodendo ciò che ha piantato. La tua piccola quercia è viva e sta bene! A te custodirla e aspettare che cresca a suo tempo!».

Nerino ci pensò un momento, e poi cominciò a ricoprire la buca.
«Ho deciso che la tengo!», disse al nonno avviandosi verso casa con in braccio la sua piccola quercia. [dGL]

domenica 23 novembre 2014

Belli e gagliardi

Da poco il fischio finale ha decretato la fine della partita di esordio della squadra di calcio a 5 parrocchiale nel campionato provinciale del CSI, categoria Under 16.

È stata un’ora di bel gioco e da spettatore mi sono divertito apprezzando i dodici goal, ma anche tante azioni degne di nota. La partita è stata intensa e divertente.

Nonostante la sconfitta, sono tornato a casa contento perché ho visto due squadre di ragazzi belli e gagliardi.

In questi due giorni ho visto così tante persone belle e gagliarde, che questa sera mi sento come se avessi preso una boccata d’aria buona. Il mondo intorno a noi non è così scuro come lo dipingono giornali e mezzi di informazione.

Se viviamo un po’ la parrocchia e non le concediamo soltanto lo spazio di una messa, possiamo prendere atto che esiste una realtà giovanile che desidera esprimersi e farsi apprezzare per buone azioni e non per atti di bullismo; esiste una realtà giovanile che coltiva sogni e progetti; esiste una realtà giovanile che si sacrifica per raggiungere un obiettivo; esiste una realtà giovanile che chiede a noi adulti di essere dei punti di riferimento coerenti e credibili.

Ne ho viste tante di belle notizie in questo fine settimana; ne elenco alcune: i catechisti giovani e adulti che ce la mettono tutta per coinvolgere i ragazzi nelle attività parrocchiali e aiutarli a incontrare Gesù, i giovani che da Settembre si riuniscono ogni sabato, con l’aiuto di qualche educatore, per progettare e allestire il presepe parrocchiale, la corale cittadina che offre a tutti un concerto in onore di santa Cecilia, i musicisti della banda che festeggiano santa Cecilia, rallegrando con la musica i concittadini; infine, i ragazzi delle due squadre di calcio a 5 che mostrano un impegno e una determinazione sorprendenti, guidati dai rispettivi allenatori!

Oggi pomeriggio è iniziato il campionato con la partita tra Polisportiva Gagliarda e Real Ripatransone. I nostri ragazzi (Real Ripatransone) hanno finalmente debuttato in quel campionato per cui hanno cercato un allenatore e un luogo in cui allenarsi, hanno studiato i regolamenti, hanno cercato sponsor, hanno scelto i colori delle magliette e il nome della squadra, hanno fatto un sito internet, hanno giocato amichevoli e imparato il gioco di squadra. Non è finita con i tre punti a nostro favore, come spesso capita ai nostri cugini del Real Madrid, ma anche noi abbiamo espresso buon gioco, ci abbiamo creduto fino alla fine e abbiamo fatto divertire i nostri tifosi!

Ecco perché, anche se la mia squadra è stata sconfitta, stasera sono contento: ho visto che giovani e adulti possono camminare insieme e costruire sogni, bei sogni!

A fine giornata, mi rimane negli occhi l’intera partita, giocata con il sorriso e senza cattiverie, senza scorrettezze e parolacce. Un match in cui il fischio finale non è stato il momento del disimpegno, ma del riconoscersi parte di una stessa grande squadra, con la stretta di mano tra giocatori, arbitro e allenatori. [dGL]

sabato 22 novembre 2014

Dubbio e fede [citazione tratta da Introduzione al cristianesimo, J. Ratzinger]

… A questo punto potrà forse risultare opportuno ascoltare un racconto ebraico, riportatoci da Martin Buber, nel quale il dilemma dell’esistenza umana sopra enunciato affiora in tutta la sua evidenza.

«Uno degli illuministi, uomo assai erudito che aveva sentito parlare del rabbi di Berditchev, andò a fargli visita, per disputare come il suo solito anche con lui, nell’intento di fare scempio delle retrive prove da lui apportate per dimostrare la verità della sua fede. Entrando nella stanza dello Zaddik, lo vide passeggiare innanzi e indietro con un libro in mano, immerso in profonda meditazione. Il saggio non prestò alcuna attenzione al visitatore. Finalmente si arrestò, lo guardò di sfuggita, e sbottò fuori a dire: “Chissà, forse è proprio vero”. L’erudito chiamò invano a raccolta tutto il suo orgoglio: gli tremavano le ginocchia, tanto era imponente lo Zaddik da vedere, tanto tremenda la sua sentenza da udire. Il rabbino Levi Jizchak si volse però completamente a lui, rivolgendogli in tutta calma le seguenti parole: “Figlio mio, i grandi della Torah, con i quali tu hai polemizzato, hanno sciupato inutilmente le loro parole con te; quando te ne sei andato, ci hai riso sopra. Essi non sono stati in grado di porgerti Dio e il suo regno; ora, neppur io sono in grado di farlo. Ma pensaci, figlio mio, perché forse è vero”. L’illuminista fece appello a tutte le sue energie interiori, per ribattere; ma quel tremendo ‘forse’, che risuonava ripetutamente scandito ai suoi orecchi, aveva spezzato ogni sua velleità di opposizione» (M. Buber, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, 273).

Penso che qui – nonostante la stranezza della veste esteriore – sia descritta con molta precisione la situazione dell’uomo di fronte al problema di Dio. Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il suo regno, nemmeno il credente a se stesso. Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l’incredulità, a essa resta sempre appiccicata addosso l’inquietudine del «forse però è vero». Il ‘forse’ è l’ineluttabile tentazione alla quale l’uomo non può assolutamente sottrarsi, nella quale anche rifiutando la fede egli deve sperimentarne l’irrefutabilità. In altri termini: tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza. Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio. È la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza. E chissà mai che proprio il dubbio, il quale preserva tanto l’uno quanto l’altro dalla chiusura nel proprio isolazionismo, non divenga il luogo della comunicazione. Esso, infatti, impedisce ad ambedue gli interlocutori di barricarsi completamente in se stessi, portando il credente a rompere il ghiaccio col dubbioso e il dubbioso ad aprirsi col credente; per il primo rappresenta una partecipazione al destino dell’incredulo, per il secondo una forma sotto cui la fede resta – nonostante tutto – una provocazione permanente. [J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 38-39]

venerdì 21 novembre 2014

Libri improbabili

Nell’era dell’I… (Iphone, Ipad, Ipod, Ibreviary,…), la carta stampata sembra aver fatto il suo tempo. Ma il professor Johannes de Silentio non è di questo avviso e ha pensato di dedicarsi alla recensione di alcuni libri, a suo dire, di particolare interesse e attualità.
Il tempo di una vita non ci permetterebbe di leggere tutto ciò che viene pubblicato e da soli rischieremmo di perderci tra gli scaffali delle librerie, attratti da questa o quella copertina. È stato il pensiero rivolto a noi lettori, smarriti di fronte a tante svariate pubblicazioni, a spingere il professor Johannes, animato da una inguaribile passione educativa, a prendere carta e penna per indicarci quei libri che non possono mancare nelle nostre biblioteche, sulle nostre scrivanie o sui nostri comodini.
Non trovando spazio, però, all’interno dei giornali cartacei, il professore mi ha chiesto gentilmente di lanciare in esclusiva sulle pagine di Se il chicco di grano… la sua prima recensione.
Buona lettura! [dGL]

a cura di Johannes de Silentio

Le schede di lettura saranno composte dai dati essenziali (titolo, autore, editore, numero di pagine), da un tweet dedicato al libro (per le persone che non riescono a leggere ciò che supera i 140 caratteri) e da una sintetica recensione.

Titolo: Storie di barba! Milleuno buoni motivi per non tagliarla.
Autore: Tonsor Foltabarba
Editore: Ockham, 2014
Numero di pagine: 1003

Il libro in un TWEET:
1001 meraviglie tra le forbici di #tonsor. Finalmente la #barba nelle pagine di un libro!

La recensione:
Il signor Tonsor è un barbiere di mezza età con l’hobby della scrittura. Nel corso della sua esperienza lavorativa, ha avuto modo di prendersi cura di barbe di tutti i tipi e di tutte le lunghezze. Il libro raccoglie le storie che dietro quelle barbe si nascondono: c’è chi si è fatto crescere la barba per un voto, chi per fare penitenza, chi per nascondere cicatrici, chi per fare il filosofo, chi per protestare contro le fabbriche di rasoi, chi per lanciare un nuovo stile, chi per sembrare più anziano, chi per interpretare un personaggio nel presepe vivente del suo paese, chi per fare il rivoluzionario,… e chi semplicemente perché non aveva voglia di tagliarla.
Nel suo negozio passano ogni giorno le storie più curiose, come quella di Guglielmo che, essendo allergico alla lana, s’è fatto crescere una lunghissima barba e d’inverno la usa come sciarpa; o quella di Luigi che, somigliando a un personaggio famoso, ha scelto di non tagliare più la barba per non essere importunato dai numerosi fan in cerca di autografi.
Il signor Tonsor, con leggerezza e ironia, ci aiuta a non affrontare con superficialità le barbe che incontriamo, liquidandole con uno scontato: «Perché non ti tagli quella barba?».
Una curiosità: il titolo promette 1001 buoni motivi, ma il libro è composto di 1003 pagine. Le due pagine in più sono l’indice e la dedica dell’autore: «Alla barba che non ho ancora tagliato».




Nota bene: il libro e la recensione sono frutto di fantasia.

domenica 16 novembre 2014

«Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mc 6,50)

Gesù cammina sulle acque (vv. 45-52)
45E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsaida, finché non avesse congedato la folla. 46Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. 47Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. 48Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. 49Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, 50perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 51E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, 52perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.


Partiamo dalla bicicletta.

La bicicletta è un mezzo di trasporto che ci permette di andare a una buona andatura: né troppo lenti, come quando ci muoviamo a piedi, né troppo veloci, come quando ci muoviamo in macchina o con lo scooter.

La bicicletta ci permette di salutare chi incontriamo e anche di ammirare il paesaggio che ci circonda. 

E poi, la bicicletta alla nostra età l’abbiamo già usata tutti, almeno una volta.

Partiamo dalla bicicletta proprio per questo motivo: è un’esperienza a noi comune, come per i discepoli era un’esperienza comune andare in barca e remare,… Pochi di noi possono dire di essere andati in barca, meno ancora sono quelli che, qui in sala, possono dire di essere stati in barca col vento contrario o nel bel mezzo di una tempesta, come quella vista nel video appena proiettato.

Pochi di noi, dunque, sono stati in barca, ma tutti siamo andati in bicicletta.

Chi va in bicicletta deve imparare a mantenere l’equilibrio e sperimenta, almeno le prime volte, una sensazione di instabilità come quella data dalle onde sul mare.

Chi va in bicicletta deve pedalare e quindi compiere un lavoro, una fatica – più o meno agevolata dalle marce. Sappiamo bene che questa fatica non è sempre uguale: c’è la pianura, la salita, la discesa; ci sono l’accelerazione e la frenata.

Chi va in bicicletta deve aver fede nella sua capacità di guidare, ma anche nell’attenzione degli altri che incontra sulla strada.

Infine, c’è un'altra esperienza che tutti abbiamo più o meno sperimentato in bicicletta: il vento contrario. Quanta fatica quando il vento è contrario e che sollievo quando possiamo sfruttare la scia di qualcuno, riparandoci dietro le sue spalle!

Pedalando da soli con il vento contrario, anche noi, come i discepoli in barca, abbiamo fatto esperienza di una fatica grande, ma quasi improduttiva, talmente improduttiva da scoraggiarci fino al punto che, se non finisce questo vento, giro e torno a casa!

Se andiamo in bicicletta di notte e la strada non è ben illuminata, alla luce del nostro piccolo faro rischiamo di vedere soltanto ombre poco definite e di non riconoscere gli amici che incontriamo. Una notte, su una strada di campagna ho incontrato un istrice che attraversava. Alla luce dei fari della macchina, da lontano, sembrava uno strano oggetto luminoso che si muoveva. Solo avvicinandomi mi sono accorto che erano i suoi aculei a riflettere la luce creando un effetto quasi spettrale.

Un po’ per la fatica, un po’ per il buio, accade ai discepoli di non riconoscere una figura che si avvicina nel vento, camminando sul mare. Lo spavento è tanto grande da farli gridare; sono convinti di vedere un fantasma.

Hanno bisogno come noi di una luce, di un segno, di una voce che li aiuti a riconoscere in quella figura il loro amico: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mc 6,50).

E Gesù, l’Amico, l’Amato, colui che ha moltiplicato i pani e calmato la tempesta, sale a bordo e il vento cessa, le paure scompaiono, il cuore è confortato.

Questo pomeriggio sarà una vera festa se incontreremo Gesù e cominceremo a fidarci di Lui e degli amici che Egli mette al nostro fianco! [dGL]

(Riflessione proposta sabato 15 novembre 2014 durante l’incontro dei ragazzi 12-14 nella parrocchia Cristo Re – Porto d’Ascoli, Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto) 

venerdì 14 novembre 2014

Giochi pericolosi

«Il fumo uccide», leggo su un sacchetto di tabacco abbandonato, solo e vuoto, in mezzo a una via. Una frase che intende scoraggiare o almeno responsabilizzare il consumatore che non dovrebbe comprare qualcosa che gli si presenta come un veleno.

Ma c’è un altro tipo di fumo, più nocivo, che si veste bene, ha colori brillanti e invitanti, viene pubblicizzato da uomini e donne giovani, sorridenti mentre ostentano un successo facile, raggiunto proprio grazie a quel fumo. È un fumo molto denso che annebbia completamente chi ne fa uso, rendendolo via via più incapace di smettere, sempre più dipendente.

È il fumo del gioco d’azzardo.

Se la realtà plastificata della televisione o dei biglietti della lotteria o del gratta e vinci, ci offre il miraggio di vincite favolose, la realtà quotidiana è ben diversa. Non riesco più a togliermi dalla mente un’immagine che, qualche anno fa, mi ha ferito. Entrando in un bar, sono passato a fianco a un uomo seduto davanti a un video-poker; sembrava un automa incapace di smettere di perdere, ma incapace anche di alzarsi smettendo di giocare. Continuava in modo meccanico a buttare i suoi soldi dentro la macchinetta.

La scena mi ha talmente impressionato che ora ogni spot sulle scommesse mi fa venire voglia di cambiare canale o di spegnere la televisione, anche se sto guardando un programma interessante. E non venite a raccontarmi che si può giocare in modo responsabile o che c’è un vaccino contro la dipendenza, perché non mi convincerete mai!

Un proverbio della tradizione popolare recita più o meno così: «Chi gioca e spera di vince', si leva li panni e si mette le cence», avvertendo che, il più delle volte, col gioco d’azzardo non si guadagna nulla e si fa fatica a non perdere niente.

Penso sia arrivato il momento per noi cristiani di dare un segno forte al mondo!
Se non possiamo direttamente porre fine a questo inquinamento mortale perché gli interessi in gioco sono troppi, possiamo, però, boicottare ogni forma di gioco d’azzardo. Si può smettere di giocare al lotto, di comprare i biglietti della lotteria, di giocare al gratta e vinci, di compilare schedine del superenalotto e di scommettere sulle partite o sugli eventi sportivi.

E non facciamolo solo per protestare contro la falsità di chi vende fumo per arrosto, approfittando dell’ingenuità o del bisogno dei consumatori; facciamolo per solidarietà con tutti i malati di ludopatia, con tutti i familiari di chi si è indebitato all’inverosimile, con tutti quei bambini e ragazzi costretti a mendicare il pane a causa degli azzardi dei loro genitori.

Noi cristiani non possiamo rimanere indifferenti! [dGL]

martedì 11 novembre 2014

Noi presepe

Non è presto per cominciare a preparare il presepe.

Non è presto, perché un presepe per essere vivente dovrebbe coinvolgere chi lo prepara e nascere dal cuore; ogni statuina, infatti, ha la sua storia e i suoi motivi per essere collocata proprio lì, ha una sua posa, vuole suscitare in chi si ferma a guardare un sentimento, un’emozione, magari una riflessione.

La mia città ricorda un presepe e, a ben vedere, non sono solo la disposizione delle case e i bei mattoni a vista a dare questo effetto. I comignoli fumanti e le luci accese comunicano il calore della vita, degli affetti, dei ricordi e delle speranze; raccontano le stesse attese della gente nella notte di Betlemme,…

Pian piano davanti ai miei occhi prende forma un meraviglioso presepe che si compone sulle nostre strade, nelle nostre chiese, nei nostri ambienti di lavoro, nei nostri vicoli e nelle nostre case.

Ci siamo tutti: accoglienti e indifferenti, vigilanti e dormienti, amici e nemici, piccoli e potenti, umili e superbi, pii ed empi, sazi e affamati, pazienti e impazienti, tristi e allegri, generosi e avari, altruisti ed egoisti, caritatevoli e insensibili, pieni di speranza e disperati, curiosi e annoiati, poveri e ricchi, taciturni e chiacchieroni, tranquilli e inquieti, scontrosi e cordiali, pastori e re,…

Incamminandomi verso la mangiatoia, mi accorgo che non è mai troppo presto per un presepe così, perché ci aiuterebbe ogni giorno a fare memoria dell’Incarnazione di Gesù, del suo venire ad abitare in mezzo a noi, del suo stare con noi e sarebbe un continuo invito a riconoscerci fratelli accomunati da una stessa attesa di gioia e di pace! [dGL]

sabato 8 novembre 2014

Lo specchio

Ieri mi è capitato di passare davanti allo specchio e di dare un’occhiata, prima di sfuggita, poi più attenta all’immagine riflessa. Nello specchio c’era l’amministratore del Vangelo di Luca (16,1-8).

A farmelo riconoscere non è stata la barba nera, l’evangelista infatti non si sofferma su questo particolare poco rilevante ai fini del Vangelo, ma la condizione di vita. Essa ci accomuna: abbiamo entrambi ricevuto qualcosa da amministrare e un giorno dovremo rendere conto della buona o cattiva amministrazione di quanto ci è stato affidato. Durante il tempo della nostra amministrazione, ci sono cose a cui ci aggrappiamo nella convinzione che possano darci una qualche stabilità. Il più delle volte si tratta di cose mondane: un lavoro sicuro, la giovinezza, una posizione o un ruolo sociale, una buona fama, le ricchezze, il successo, il potere, la bellezza,… ma di tutte queste cose, prima o poi, sperimentiamo il limite trovandoci in una situazione di forte crisi: «Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare» (Lc 16,2). È allora che l’amministratore e io ci troviamo a fare i conti, a considerare le più convenienti vie d’uscita: «Che cosa farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione?» (Lc 16,3).

Un’altra somiglianza tra me e l’immagine riflessa è che la via di salvezza è a portata di mano. L’amministratore non deve intraprendere chissà quale azione finanziaria; gli basta utilizzare il potere che ancora possiede per provare a guadagnarsi qualche amico che si ricordi di lui quando sarà nel bisogno. Essere accolto in casa di qualcuno gli eviterà di trovarsi disperato a mendicare un pasto o un vestito. Anche io ho tutti i mezzi necessari per imboccare la via della vita. È alla mia portata rispondere positivamente alla chiamata di Gesù e seguirlo sempre, non soltanto nella celebrazione dell’Eucaristia o nella preghiera quotidiana. Gesù va seguito anche quando porge l’altra guancia, anche quando ha compassione della folla, anche quando perdona i nemici, anche quando lavora nel nascondimento a Nazaret, anche quando si fa prossimo, anche quando, disprezzato, continua ad amare e a donare la vita, anche quando risorge dai morti ed è gioia per i discepoli, anche quando…

Potrebbe esserci, infine, una terza somiglianza tra me e l’amministratore, ma al momento non so ancora dire se la mia scaltrezza nel lasciare tutto e abbracciare il Vangelo sarà simile alla sua! [dGL]