sabato 31 ottobre 2015
giovedì 29 ottobre 2015
A uomo
L’idea mi viene suggerita dalla
calcistica marcatura a uomo, ma, come
tutte le idee, non ha la pretesa di coincidere con la realtà che descrive. Vorrebbe
essere, invece, il tentativo di sintetizzare un modo di evangelizzare.
Scherzosamente mi propongo una pastorale
a uomo. La propongo a me e a voi lettori perché mi sembra che il tema possa
avere ulteriori sviluppi grazie alla corresponsabilità di tutto il popolo di
Dio (sono molto graditi eventuali commenti e contributi alla riflessione; se
volete, potete postarli qui sul blog). Dicendo pastorale a uomo intendo esprimere il farsi prossimo del pastore
alle sue pecorelle. Un farsi prossimo che comporta, come dice Papa Francesco,
la disponibilità a prendere l’odore delle pecore. Per far questo, il pastore è
sempre in ascolto della voce del Buon Pastore e della voce del gregge che gli è
stato affidato.
Egli non deve aver paura dei lupi, ma
non deve aver paura neanche delle pecore, delle loro domande, dei loro dubbi,
delle loro contestazioni, delle loro malattie e sofferenze, delle loro gioie,
dei loro peccati, delle loro stranezze,…
Chi sta in ascolto non ha già le
risposte confezionate e, di fronte a certe situazioni, ha il coraggio di
ammettere che è necessario un paziente discernimento e che lo schema va rivisto
o addirittura strappato e riscritto da capo.
Chi sta in ascolto dell’uomo e lo ama,
cammina con lui e quando prende altre strade e si allontana, lo va a cercare,
gli si fa vicino, riprende con lui il filo del discorso che un giorno si è
interrotto per qualche motivo.
Penso alla catechesi parrocchiale.
Nei primi anni le stanze sono piene di
bambini e l’entusiasmo da parte loro è alle stelle: fioccano i complimenti dei
genitori ai catechisti, agli educatori e al parroco per le belle iniziative e
per l’ora di catechesi così interessante e coinvolgente.
Poi i bambini diventano ragazzi e già
l’impianto comincia a scricchiolare: i primi dubbi, l’adolescenza, il desiderio
di tempo libero da trascorrere con gli amici, l’idea che diventando grandi, non
c’è più bisogno della compagnia di Dio,…
Poi i ragazzi diventano giovani e
progressivamente cominciano a confrontarsi col mondo, con la cultura, con
opinioni di persone distanti dalla fede, con una informazione che li considera
come individui da educare alla logica del consumo, con la proposta di una vita
spensierata, legata alle mode del momento.
E noi cristiani dove siamo?
Potremmo essere lì a dialogare con loro:
a parlare di Nietzsche e Marx, di Kierkegaard e Pascal, a guardare insieme un
quadro di Caravaggio o un dipinto di Fra’ Ugolino da Belluno, ad ascoltare una
canzone o una poesia, a pregare con loro il salmo 103 (104) in riva al mare
mentre fa giorno o prima di affrontare un sentiero di montagna,…
Potremmo provare a rassicurarli quando
sono spaventati dagli scandali e dalle contro testimonianze che noi grandi diamo quando stacchiamo il
Vangelo dalla nostra vita e, vestiti da buoni cristiani, viviamo come se Dio
non esistesse.
Potremmo prenderli per mano quando,
impauriti e sfiduciati, non sono più capaci di muovere un passo e si siedono o
si stendono paralizzati sul bordo della strada immersi nei social o in una
qualche realtà virtuale.
Potremmo chiederci perché preferiscono
uscire di notte, quando le nostre piazze sono vuote e i ben pensanti dormono
sonni beati e non possono guardarli male e giudicarli.
Potremmo lasciare la porta del nostro
cuore aperta perché non si sentano in difficoltà a entrare per trovare conforto
e un po’ di ristoro.
E quando dico potremmo, non parlo solo
di noi preti, ma di tutto il popolo di Dio: i genitori, i nonni, gli amici, i
maestri, i professori, i datori di lavoro, i politici, i cristiani tutti sono
missionari e ogni giorno si fanno prossimi agli uomini per camminare con loro,
per aiutarci a vicenda a camminare verso il Paradiso!
Insomma, quando mi propongo una pastorale a uomo, intendo provare con
l’aiuto di Dio a essere tutto questo! [dGL]
mercoledì 28 ottobre 2015
In vista dell'Anno giubilare...
La misericordia mi
piacerebbe praticarla e non solo predicarla. [dGL]
martedì 27 ottobre 2015
lunedì 26 ottobre 2015
Differenza
I santi erano convinti
d'esser peccatori, noi, invece, il più delle volte siamo convinti d'esser
santi! [dGL]
sabato 24 ottobre 2015
Talenti
La benevolenza nei
confronti dell’altro inizia quando riconosco che il suo talento non sminuisce
il mio e che i nostri due talenti insieme ci fanno più credibili nell’annuncio
del Vangelo! [dGL]
venerdì 23 ottobre 2015
Mi piacerebbe…
Quella sera don Placido scrisse sul suo
diario:
«Mi piacerebbe bussare alla porta dei
miei parrocchiani senza un motivo preciso, semplicemente per andarli a trovare
là dove stanno, tra le loro cose. Probabilmente si aprirebbero tutte le porte,
anche quelle dei più lontani e farebbe l’effetto della visita di Gesù a Zaccheo
o delle telefonate a sorpresa da parte del Papa. Perché, normalmente, i
parrocchiani si aspettano la visita del prete per la benedizione della casa,
per la comunione e l’unzione agli infermi, per chiedere i motivi della poca
presenza a messa o all’incontro di catechesi,… ma non si aspettano che il
pastore li vada a trovare per sapere come stanno e stare un po’ insieme. E
quando capita, è qualcosa di eccezionale di cui si parla ai vicini con
meraviglia e orgoglio: «Il curato è
entrato in casa mia! Ha voluto sapere come stavo! Mi è venuto a cercare!».
Fa questo effetto la Chiesa che trova il modo e il tempo di entrarti in casa.
Ti fa piacere, perché la senti vicina, la vedi presente!
Mi piacerebbe bussare così alla porta
dei miei parrocchiani,
ma poi penso che potrei metterli in imbarazzo,
che dovrei progettare bene l’iniziativa specificando le ragioni che me l’hanno
suggerita, gli obiettivi da raggiungere, i tempi di attuazione e le strategie;
penso che a fine anno dovrei procedere alla verifica di quanto ho fatto, che l’impegno
potrebbe non portare frutti, che scegliendo la pastorale a uomo, trascurerei la pastorale a zona,…
… e mi passa la voglia di provare.
Però quanto mi piacerebbe!». [dGL]
mercoledì 7 ottobre 2015
Se i giornali diventano social…
La riunione dell’equipe acr è finita tardi e quando accendo la macchina per tornare
a casa, il rosario di papa Benedetto su Radio Maria è iniziato da qualche
minuto. «Meno male», mi dico mentre
faccio manovra per uscire dal parcheggio. Può sembrare strano, ma quel pregare
tranquillo mi dice tanto: mi ricorda che la Chiesa sono tante persone miti come
papa Francesco, il papa emerito Benedetto, molti vescovi, preti, diaconi,
suore, laici che, nel nascondimento e nella semplicità, pregano ogni giorno,
senza stancarsi, senza scoraggiarsi; pregano per fare la volontà di Dio là dove
si trovano, là dove gli viene chiesto di stare o di rimanere. Di questo hanno
paura il diavolo e i suoi collaboratori e si sforzano di presentare al pubblico
una Chiesa ricca di scandali e di infedeltà.
Il tragitto verso casa è lungo e il papa
emerito ha tempo di terminare la preghiera. Finito il rosario, cambio stazione
e su Radio Uno trovo un programma in cui si parla della Chiesa: l’obiettivo è
puntato sul Sinodo sulla famiglia e su alcune interviste a preti andati a
cercare (o che si sono fatti trovare) dai giornali o dalle TV per fare notizia,
più che per fare buona informazione. Le parole di Marco Tarquinio, direttore di
Avvenire e ospite della trasmissione, sono come una boccata d’ossigeno o come
la luce accesa a diradare le tenebre: finalmente una persona equilibrata e
competente a parlare di Chiesa! Ma soprattutto un vero giornalista! Che bello
quando le persone fanno bene il loro lavoro, ci mettono passione e affrontano
in modo serio e responsabile le questioni!
Serietà e responsabilità che non sempre
in questi giorni ho riscontrato negli articoli apparsi sui giornali locali a
seguito degli spostamenti dei sacerdoti decisi dal Vescovo della mia Diocesi.
Mi chiedo come sia possibile scrivere di
temi tanto delicati e sputare sentenze, giudizi, sospetti su persone e
decisioni senza conoscere minimamente la Chiesa, quella universale e quella
locale. Si va dall’errore legato all’età di uno dei sacerdoti interessati,
all’errore grave di ragionare e indurre a ragionare come se la Chiesa fosse un’organizzazione
in cui è normale aspirare a far carriera o a occupare i posti di maggior
prestigio. Leggendo ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a un vero e
proprio minestrone di chiacchiere, raccolte qua e là, mescolate e servite ai
lettori col solo intento di creare confusione e magari scatenare sui social o sui giornali online una pioggia
di commenti e condivisioni.
Eppure i giornalisti avrebbero avuto
tanto da scrivere!
Avrebbero potuto scrivere dello stupore
della gente che non si aspettava tali avvicendamenti, dell’affetto dei
parrocchiani che si sono commossi domenica 4 ottobre quando in chiesa è stato
dato l’annuncio, del loro normale dispiacere per la partenza di una persona
apprezzata e divenuta cara, ma anche
della loro gioia.
Sì. Ho detto gioia!
Credo che il cristiano che va a messa
per Gesù Cristo e non per don Tizio o don Caio (nomi di fantasia), abbia molti
motivi per passare dall’iniziale tristezza alla gioia.
Gioia perché il parroco (o il
vice-parroco) tanto amato e stimato, che si è speso generosamente per anni al
servizio della sua parrocchia, ora va a incontrare una nuova comunità, va a
offrire il suo sorriso anche ad altre persone!
Gioia perché il parroco (o il vice-parroco)
tanto amato e stimato, ha dato prova di docilità e di fede nell’obbedire a
Cristo che lo ha chiamato, attraverso la voce del Vescovo, a recarsi in
un’altra parrocchia. E l’obbedienza costa: chiede di lasciare amici,
collaboratori, attività ben avviate, abitudini, sicurezze,… chiede di partire
portandosi dietro solo l’essenziale.
Gioia perché si accoglie un nuovo
pastore che sarà sicuramente diverso dal precedente, ma viene nel nome dello
stesso Cristo, viene a predicare lo stesso Vangelo, viene a continuare l’opera
del suo predecessore.
Gioia perché si è pieni di gratitudine a
Dio che non fa mancare alla sua Chiesa tanti pastori che offrono la vita per il
bene del gregge.
Gioia perché col nostro essere comunità
parrocchiale, avremo tanto da ricevere dai nuovi pastori, ma avremo anche la
bella possibilità di donare loro il nostro aiuto, il nostro affetto, la nostra
disponibilità a seguirli e a essere, come loro, obbedienti a Gesù Cristo e alla
Sua Chiesa!
Gioia, infine, perché c’è un Vescovo che
fa discernimento sulla Diocesi che gli è affidata e, libero da condizionamenti
esterni e dai nostri inevitabili particolarismi, simpatie e campanilismi,
prende decisioni per il bene del gregge. Decisioni che da tutti noi fedeli
vanno accolte con fiducia e disponibilità a collaborare!
Ecco. Se non si è in grado di scrivere tutto
questo, se non si prova un minimo di questa gioia, penso sia meglio tacere e
rispettare persone e fatti di cui non si comprende nulla! [dGL]
martedì 6 ottobre 2015
Nel calcio, ma anche nella vita…
«…
il tifo è così, vagante fra la condanna e l’apoteosi; così anche la critica,
talvolta. Così il calcio, sempre. Basta non farci caso e lavorare, lavorare,
lavorare. Come Sarri»
(da un articolo di Italo Cucci su Avvenire, 6 ottobre 2015).
Ti ringrazio, Italo, per la tua
riflessione.
Ne faccio tesoro e spero di imparare
anch’io a «non farci caso e lavorare,
lavorare, lavorare»! [dGL]
venerdì 2 ottobre 2015
La confessione della guida
Nel museo dove lavoro come guida, ci
sono tre grandi ambienti da visitare: il padiglione della «chiesa antica», quello della «chiesa
contemporanea» e quello della «chiesa
del futuro».
Pastori e pecorelle, come turisti, vi si
aggirano meravigliandosi di ciò che vedono.
Nel padiglione della «chiesa antica» fanno bella mostra di sé
tutti i ricordi delle iniziative che, almeno a detta di un nostalgico, «una volta funzionavano così bene e oggi,
inspiegabilmente, non si usano più».
Nel padiglione della «chiesa contemporanea», sono raccolte
tradizioni provenienti da un passato prossimo; si tratta di tutte quelle cose
che stanno passando di moda, ma in alcuni luoghi sono ancora in uso. Qui i
turisti sono presi dai ricordi dell’infanzia o della giovinezza e si vede
qualche lacrima di commozione.
Nel padiglione della «chiesa del futuro» sono esposte le
nuove teorie, quelle suggerite dalla necessità di aggiornamento, dagli
entusiasmi e dalle mode del momento. Di solito a questo punto della visita
guidata, i turisti si accendono di entusiasmo e le esclamazioni si susseguono: «Finalmente!», «Era ora!», «Lo dicevo io che
bisognava adeguarsi ai tempi moderni!», «Questo è quello che ci vuole per far
tornare i giovani!», ...
Accompagno visite guidate da molti anni.
È bello fare il giro dei padiglioni con
gruppi di tutte le età ed estrazioni sociali. Mi piace ascoltare ciò che dicono
i visitatori mentre passiamo davanti a pezzi di storia più o meno vicini a
loro. Mi piace guardare i loro volti stupiti quando troviamo, già custodita in
museo, l’iniziativa pastorale che, solo qualche giorno prima, il parroco aveva
presentato ai suoi collaboratori come «un’idea
originale e attuale, al passo coi tempi».
Però, il momento che mi piace di più è
quello dell’uscita, quando si torna a camminare per le vie del mondo, quando
non si ha più a che fare con manichini, ma con uomini veri, quando la sicurezza
di una teca allarmata viene sostituita dall’incertezza e dalla complessità
delle relazioni, quando si torna a fare la storia.
A volte l’aria fresca non basta a
svegliare i turisti e alcuni pare proprio che restino come incantati, pare che
respirino un’aria perennemente condizionata, incapaci di vivere la fede come
qualcosa che coinvolge tutto e non solo gli occhi: sentono, guardano, parlano,
ammirano, ma non partecipano. Forse hanno paura che suoni l’allarme!
Altri escono dal museo contenti di aver trovato
finalmente la soluzione: nei padiglioni del museo non è vietato fare le foto e
così, una volta usciti, subito corrono a imitare, copiare, riproporre schemi,
modelli, idee,… Forse a condizionarli è la paura di ascoltare la viva realtà: arrivano
con la risposta pronta e, se qualcuno gli fa notare che essa non è aderente
alla domanda, fanno in modo di adattare la domanda alla risposta.
Per fortuna, molti visitatori non hanno alcuna
intenzione di vivere in un museo. Essi vi entrano mossi da un sincero desiderio
di conoscenza, ma non si sognerebbero mai di abbandonare la dinamicità del
presente per la staticità del passato.
È per questo genere di visitatori che continuo a
fare il mio mestiere, convinto che il compito della storia sia quello di
incoraggiare l’uomo a coinvolgersi veramente nel suo presente! [dGL]
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