giovedì 29 ottobre 2015

A uomo

L’idea mi viene suggerita dalla calcistica marcatura a uomo, ma, come tutte le idee, non ha la pretesa di coincidere con la realtà che descrive. Vorrebbe essere, invece, il tentativo di sintetizzare un modo di evangelizzare. Scherzosamente mi propongo una pastorale a uomo. La propongo a me e a voi lettori perché mi sembra che il tema possa avere ulteriori sviluppi grazie alla corresponsabilità di tutto il popolo di Dio (sono molto graditi eventuali commenti e contributi alla riflessione; se volete, potete postarli qui sul blog). Dicendo pastorale a uomo intendo esprimere il farsi prossimo del pastore alle sue pecorelle. Un farsi prossimo che comporta, come dice Papa Francesco, la disponibilità a prendere l’odore delle pecore. Per far questo, il pastore è sempre in ascolto della voce del Buon Pastore e della voce del gregge che gli è stato affidato.

Egli non deve aver paura dei lupi, ma non deve aver paura neanche delle pecore, delle loro domande, dei loro dubbi, delle loro contestazioni, delle loro malattie e sofferenze, delle loro gioie, dei loro peccati, delle loro stranezze,…

Chi sta in ascolto non ha già le risposte confezionate e, di fronte a certe situazioni, ha il coraggio di ammettere che è necessario un paziente discernimento e che lo schema va rivisto o addirittura strappato e riscritto da capo.

Chi sta in ascolto dell’uomo e lo ama, cammina con lui e quando prende altre strade e si allontana, lo va a cercare, gli si fa vicino, riprende con lui il filo del discorso che un giorno si è interrotto per qualche motivo.

Penso alla catechesi parrocchiale.

Nei primi anni le stanze sono piene di bambini e l’entusiasmo da parte loro è alle stelle: fioccano i complimenti dei genitori ai catechisti, agli educatori e al parroco per le belle iniziative e per l’ora di catechesi così interessante e coinvolgente.

Poi i bambini diventano ragazzi e già l’impianto comincia a scricchiolare: i primi dubbi, l’adolescenza, il desiderio di tempo libero da trascorrere con gli amici, l’idea che diventando grandi, non c’è più bisogno della compagnia di Dio,…

Poi i ragazzi diventano giovani e progressivamente cominciano a confrontarsi col mondo, con la cultura, con opinioni di persone distanti dalla fede, con una informazione che li considera come individui da educare alla logica del consumo, con la proposta di una vita spensierata, legata alle mode del momento.

E noi cristiani dove siamo?

Potremmo essere lì a dialogare con loro: a parlare di Nietzsche e Marx, di Kierkegaard e Pascal, a guardare insieme un quadro di Caravaggio o un dipinto di Fra’ Ugolino da Belluno, ad ascoltare una canzone o una poesia, a pregare con loro il salmo 103 (104) in riva al mare mentre fa giorno o prima di affrontare un sentiero di montagna,…

Potremmo provare a rassicurarli quando sono spaventati dagli scandali e dalle contro testimonianze che noi grandi diamo quando stacchiamo il Vangelo dalla nostra vita e, vestiti da buoni cristiani, viviamo come se Dio non esistesse.

Potremmo prenderli per mano quando, impauriti e sfiduciati, non sono più capaci di muovere un passo e si siedono o si stendono paralizzati sul bordo della strada immersi nei social o in una qualche realtà virtuale.

Potremmo chiederci perché preferiscono uscire di notte, quando le nostre piazze sono vuote e i ben pensanti dormono sonni beati e non possono guardarli male e giudicarli.

Potremmo lasciare la porta del nostro cuore aperta perché non si sentano in difficoltà a entrare per trovare conforto e un po’ di ristoro.

E quando dico potremmo, non parlo solo di noi preti, ma di tutto il popolo di Dio: i genitori, i nonni, gli amici, i maestri, i professori, i datori di lavoro, i politici, i cristiani tutti sono missionari e ogni giorno si fanno prossimi agli uomini per camminare con loro, per aiutarci a vicenda a camminare verso il Paradiso!

Insomma, quando mi propongo una pastorale a uomo, intendo provare con l’aiuto di Dio a essere tutto questo! [dGL]

martedì 27 ottobre 2015

lunedì 26 ottobre 2015

Differenza

I santi erano convinti d'esser peccatori, noi, invece, il più delle volte siamo convinti d'esser santi! [dGL]

sabato 24 ottobre 2015

Talenti

La benevolenza nei confronti dell’altro inizia quando riconosco che il suo talento non sminuisce il mio e che i nostri due talenti insieme ci fanno più credibili nell’annuncio del Vangelo! [dGL]

venerdì 23 ottobre 2015

Mi piacerebbe…

Quella sera don Placido scrisse sul suo diario:

«Mi piacerebbe bussare alla porta dei miei parrocchiani senza un motivo preciso, semplicemente per andarli a trovare là dove stanno, tra le loro cose. Probabilmente si aprirebbero tutte le porte, anche quelle dei più lontani e farebbe l’effetto della visita di Gesù a Zaccheo o delle telefonate a sorpresa da parte del Papa. Perché, normalmente, i parrocchiani si aspettano la visita del prete per la benedizione della casa, per la comunione e l’unzione agli infermi, per chiedere i motivi della poca presenza a messa o all’incontro di catechesi,… ma non si aspettano che il pastore li vada a trovare per sapere come stanno e stare un po’ insieme. E quando capita, è qualcosa di eccezionale di cui si parla ai vicini con meraviglia e orgoglio: «Il curato è entrato in casa mia! Ha voluto sapere come stavo! Mi è venuto a cercare!». Fa questo effetto la Chiesa che trova il modo e il tempo di entrarti in casa. Ti fa piacere, perché la senti vicina, la vedi presente!

Mi piacerebbe bussare così alla porta dei miei parrocchiani,
ma poi penso che potrei metterli in imbarazzo, che dovrei progettare bene l’iniziativa specificando le ragioni che me l’hanno suggerita, gli obiettivi da raggiungere, i tempi di attuazione e le strategie; penso che a fine anno dovrei procedere alla verifica di quanto ho fatto, che l’impegno potrebbe non portare frutti, che scegliendo la pastorale a uomo, trascurerei la pastorale a zona,…
… e mi passa la voglia di provare.

Però quanto mi piacerebbe!». [dGL]

mercoledì 7 ottobre 2015

Se i giornali diventano social…

La riunione dell’equipe acr è finita tardi e quando accendo la macchina per tornare a casa, il rosario di papa Benedetto su Radio Maria è iniziato da qualche minuto. «Meno male», mi dico mentre faccio manovra per uscire dal parcheggio. Può sembrare strano, ma quel pregare tranquillo mi dice tanto: mi ricorda che la Chiesa sono tante persone miti come papa Francesco, il papa emerito Benedetto, molti vescovi, preti, diaconi, suore, laici che, nel nascondimento e nella semplicità, pregano ogni giorno, senza stancarsi, senza scoraggiarsi; pregano per fare la volontà di Dio là dove si trovano, là dove gli viene chiesto di stare o di rimanere. Di questo hanno paura il diavolo e i suoi collaboratori e si sforzano di presentare al pubblico una Chiesa ricca di scandali e di infedeltà.

Il tragitto verso casa è lungo e il papa emerito ha tempo di terminare la preghiera. Finito il rosario, cambio stazione e su Radio Uno trovo un programma in cui si parla della Chiesa: l’obiettivo è puntato sul Sinodo sulla famiglia e su alcune interviste a preti andati a cercare (o che si sono fatti trovare) dai giornali o dalle TV per fare notizia, più che per fare buona informazione. Le parole di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire e ospite della trasmissione, sono come una boccata d’ossigeno o come la luce accesa a diradare le tenebre: finalmente una persona equilibrata e competente a parlare di Chiesa! Ma soprattutto un vero giornalista! Che bello quando le persone fanno bene il loro lavoro, ci mettono passione e affrontano in modo serio e responsabile le questioni!

Serietà e responsabilità che non sempre in questi giorni ho riscontrato negli articoli apparsi sui giornali locali a seguito degli spostamenti dei sacerdoti decisi dal Vescovo della mia Diocesi.

Mi chiedo come sia possibile scrivere di temi tanto delicati e sputare sentenze, giudizi, sospetti su persone e decisioni senza conoscere minimamente la Chiesa, quella universale e quella locale. Si va dall’errore legato all’età di uno dei sacerdoti interessati, all’errore grave di ragionare e indurre a ragionare come se la Chiesa fosse un’organizzazione in cui è normale aspirare a far carriera o a occupare i posti di maggior prestigio. Leggendo ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a un vero e proprio minestrone di chiacchiere, raccolte qua e là, mescolate e servite ai lettori col solo intento di creare confusione e magari scatenare sui social o sui giornali online una pioggia di commenti e condivisioni.

Eppure i giornalisti avrebbero avuto tanto da scrivere!

Avrebbero potuto scrivere dello stupore della gente che non si aspettava tali avvicendamenti, dell’affetto dei parrocchiani che si sono commossi domenica 4 ottobre quando in chiesa è stato dato l’annuncio, del loro normale dispiacere per la partenza di una persona apprezzata e divenuta cara, ma anche della loro gioia.

Sì. Ho detto gioia!

Credo che il cristiano che va a messa per Gesù Cristo e non per don Tizio o don Caio (nomi di fantasia), abbia molti motivi per passare dall’iniziale tristezza alla gioia.

Gioia perché il parroco (o il vice-parroco) tanto amato e stimato, che si è speso generosamente per anni al servizio della sua parrocchia, ora va a incontrare una nuova comunità, va a offrire il suo sorriso anche ad altre persone!

Gioia perché il parroco (o il vice-parroco) tanto amato e stimato, ha dato prova di docilità e di fede nell’obbedire a Cristo che lo ha chiamato, attraverso la voce del Vescovo, a recarsi in un’altra parrocchia. E l’obbedienza costa: chiede di lasciare amici, collaboratori, attività ben avviate, abitudini, sicurezze,… chiede di partire portandosi dietro solo l’essenziale.

Gioia perché si accoglie un nuovo pastore che sarà sicuramente diverso dal precedente, ma viene nel nome dello stesso Cristo, viene a predicare lo stesso Vangelo, viene a continuare l’opera del suo predecessore.

Gioia perché si è pieni di gratitudine a Dio che non fa mancare alla sua Chiesa tanti pastori che offrono la vita per il bene del gregge.

Gioia perché col nostro essere comunità parrocchiale, avremo tanto da ricevere dai nuovi pastori, ma avremo anche la bella possibilità di donare loro il nostro aiuto, il nostro affetto, la nostra disponibilità a seguirli e a essere, come loro, obbedienti a Gesù Cristo e alla Sua Chiesa!

Gioia, infine, perché c’è un Vescovo che fa discernimento sulla Diocesi che gli è affidata e, libero da condizionamenti esterni e dai nostri inevitabili particolarismi, simpatie e campanilismi, prende decisioni per il bene del gregge. Decisioni che da tutti noi fedeli vanno accolte con fiducia e disponibilità a collaborare!

Ecco. Se non si è in grado di scrivere tutto questo, se non si prova un minimo di questa gioia, penso sia meglio tacere e rispettare persone e fatti di cui non si comprende nulla! [dGL]

martedì 6 ottobre 2015

Nel calcio, ma anche nella vita…

«… il tifo è così, vagante fra la condanna e l’apoteosi; così anche la critica, talvolta. Così il calcio, sempre. Basta non farci caso e lavorare, lavorare, lavorare. Come Sarri» (da un articolo di Italo Cucci su Avvenire, 6 ottobre 2015).

Ti ringrazio, Italo, per la tua riflessione.
Ne faccio tesoro e spero di imparare anch’io a «non farci caso e lavorare, lavorare, lavorare»! [dGL]

venerdì 2 ottobre 2015

La confessione della guida

Nel museo dove lavoro come guida, ci sono tre grandi ambienti da visitare: il padiglione della «chiesa antica», quello della «chiesa contemporanea» e quello della «chiesa del futuro».

Pastori e pecorelle, come turisti, vi si aggirano meravigliandosi di ciò che vedono.

Nel padiglione della «chiesa antica» fanno bella mostra di sé tutti i ricordi delle iniziative che, almeno a detta di un nostalgico, «una volta funzionavano così bene e oggi, inspiegabilmente, non si usano più».

Nel padiglione della «chiesa contemporanea», sono raccolte tradizioni provenienti da un passato prossimo; si tratta di tutte quelle cose che stanno passando di moda, ma in alcuni luoghi sono ancora in uso. Qui i turisti sono presi dai ricordi dell’infanzia o della giovinezza e si vede qualche lacrima di commozione.

Nel padiglione della «chiesa del futuro» sono esposte le nuove teorie, quelle suggerite dalla necessità di aggiornamento, dagli entusiasmi e dalle mode del momento. Di solito a questo punto della visita guidata, i turisti si accendono di entusiasmo e le esclamazioni si susseguono: «Finalmente!», «Era ora!», «Lo dicevo io che bisognava adeguarsi ai tempi moderni!», «Questo è quello che ci vuole per far tornare i giovani!», ...

Accompagno visite guidate da molti anni.
È bello fare il giro dei padiglioni con gruppi di tutte le età ed estrazioni sociali. Mi piace ascoltare ciò che dicono i visitatori mentre passiamo davanti a pezzi di storia più o meno vicini a loro. Mi piace guardare i loro volti stupiti quando troviamo, già custodita in museo, l’iniziativa pastorale che, solo qualche giorno prima, il parroco aveva presentato ai suoi collaboratori come «un’idea originale e attuale, al passo coi tempi».

Però, il momento che mi piace di più è quello dell’uscita, quando si torna a camminare per le vie del mondo, quando non si ha più a che fare con manichini, ma con uomini veri, quando la sicurezza di una teca allarmata viene sostituita dall’incertezza e dalla complessità delle relazioni, quando si torna a fare la storia.

A volte l’aria fresca non basta a svegliare i turisti e alcuni pare proprio che restino come incantati, pare che respirino un’aria perennemente condizionata, incapaci di vivere la fede come qualcosa che coinvolge tutto e non solo gli occhi: sentono, guardano, parlano, ammirano, ma non partecipano. Forse hanno paura che suoni l’allarme!

Altri escono dal museo contenti di aver trovato finalmente la soluzione: nei padiglioni del museo non è vietato fare le foto e così, una volta usciti, subito corrono a imitare, copiare, riproporre schemi, modelli, idee,… Forse a condizionarli è la paura di ascoltare la viva realtà: arrivano con la risposta pronta e, se qualcuno gli fa notare che essa non è aderente alla domanda, fanno in modo di adattare la domanda alla risposta.

Per fortuna, molti visitatori non hanno alcuna intenzione di vivere in un museo. Essi vi entrano mossi da un sincero desiderio di conoscenza, ma non si sognerebbero mai di abbandonare la dinamicità del presente per la staticità del passato.

È per questo genere di visitatori che continuo a fare il mio mestiere, convinto che il compito della storia sia quello di incoraggiare l’uomo a coinvolgersi veramente nel suo presente! [dGL]