Sa
come di “Tutto è compiuto”.
E
mi avvio per le strade semi-deserte per una breve passeggiata. È l’ultima sera
in “zona arancione” e per le vie m’accompagna il silenzio, interrotto soltanto
dal rumore di motori più o meno chiassosi.
“Come
profumano i fiori a primavera!”, penso mentre passo davanti al cancello di una
casa coperto di tanti fiori colorati!
A
primavera è così sempre, ma quest’anno pare tutto nuovo, tutto come se lo
vedessi e lo sentissi per la prima volta. Forse è uno dei segni che ci sta
lasciando addosso la pandemia quello di essere più attenti ai particolari, alle
piccole cose, anche a quelle che si ripetono apparentemente tutte uguali.
Chissà
Cammino
e mi riposo.
Alla
sera, chiusa la porta della chiesa, torno a essere semplicemente un figlio.
Finalmente,
dopo una giornata trascorsa a predicare, consigliare, prendere decisioni, dire “sì”
o “no”, indirizzare, pensare, progettare,… posso stare in silenzio: a quest’ora
nessuno pretende più nulla, a quest’ora dal prete ci si aspetta solo la
preghiera.
Sarebbe
bello educarsi tutti alla gratuità, abbandonando quei toni da mercato o da
centro commerciale che hanno invaso anche le nostre chiese, dove a volte il
prete sembra un impiegato che non deve in nessun modo contrariare il cliente...
Perché
non proviamo a riconoscere che a farci vivere è il dono gratuito e non la
compravendita?
La
sera è il momento in cui nessuno si aspetta più nulla da te e tutto appare
gratuito.
Il
sole tramonta. Lo guardo con una certa soddisfazione: è passato un altro giorno
di pandemia. Forse non dovrei farlo, ma ogni giorno che passa mi dico che è un
giorno in meno di pandemia da affrontare. Così m’addormento quasi sollevato, immaginando
quante persone sono guarite durante la giornata e quante hanno ricevuto il
vaccino.
S’è
compiuto un anno, l’undicesimo anno da prete, un anno molto significativo, anche
se non il più significativo.
Il
più significativo anno da prete è stato il quarto anno di Seminario, quando
ancora non ero prete. È l’anno che mi ha fatto conoscere e gustare lo stile del
prete.
Spesso
penso ai doni ricevuti in quell’anno; potrei sintetizzarli con una parola di
Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).
In
quel tempo ero di servizio all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone. Il Seminario
ci aveva mandato in tre e avevamo il compito di stare con i Frati Cappuccini a
cui era affidata l’assistenza spirituale di tutti i ragazzi ospiti della casa. La
casa era in realtà un grande quartiere in cui abitavano persone affette da
diverse malattie e c’erano reparti per pazienti di tutte le età, dai bimbi
appena nati alle persone anziane.
In
quei pomeriggi entravamo in un reparto per accompagnare tre ragazzi a prendere
una boccata d’aria. Erano affetti da patologie molto gravi e anche comunicare
con loro era difficilissimo.
Molte
volte quest’anno mi è capitato di tornare con il pensiero in quel reparto a
trovare quegli uomini. Ci sono tornato perché ho trascorso molto tempo in casa,
le uscite quotidiane sono state abbastanza rare e la mia condizione mi ha
ricordato quegli uomini e la vita, non solo la loro vita, ma anche la mia. Questo
tempo di pandemia è vita, come il tempo di quegli uomini nel reparto è vita;
eppure non uscivano quasi mai, eppure erano sempre lì a fare i conti con la
loro malattia, eppure vedevano quasi esclusivamente personale medico e altri
pazienti come loro, eppure i giorni si susseguivano e sembravano tutti uguali,
eppure...
Ogni
tanto bisogna fermarsi a riconoscere il valore senza misura della vita: noi
cristiani sappiamo che Cristo per la nostra vita ha offerto tutta la Sua vita.
Quanto
vale ogni vita!!!
Vale
tutta la vita di Dio!!!
Se
cadiamo nell’errore di credere che siamo noi a stabilire il valore della vita,
la noia e la tristezza ci porteranno a non considerare vita tantissime
situazioni che viviamo dalla mattina alla sera e, a lungo andare, nulla avrà
più senso per noi: ci ritroveremo a essere insoddisfatti di tutto il tempo che
abbiamo.
La
vita di quegli uomini vale quanto la mia: ogni vita è unica e preziosissima,
anche quella che alcuni giudicano non essere vita. Prendevamo quei ragazzi e,
quando era possibile, li portavamo fuori per un’oretta di passeggiata. Per loro
non eravamo seminaristi che si stavano preparando a diventare preti, eravamo
semplicemente Andrea, Matteo e Gian Luca, tre uomini che ogni settimana li
accompagnavano per una camminata. Loro ci sembravano contenti. E noi pure
eravamo contenti.
I
frati, poi, erano fenomenali!
Riuscivano
ad animare anche il sabato pomeriggio più grigio.
E
la messa della domenica mattina?
Era
una vera festa: da tutti i reparti, accompagnati dai volontari, gli ammalati
che potevano uscire si recavano nella chiesa, cuore vivo dell’Istituto, per
celebrare l’Eucaristia. Era bellissimo essere un solo corpo: tutte le membra del
corpo di Cristo riunite lì per celebrare l’Eucaristia, anche le membra più
sofferenti.
Le
vedevi quelle membra e le sentivi pregare e cantare con gioia. In quelle
celebrazioni toccavi la grazia del Sacramento e vedevi i volti illuminarsi
ricevendo l’Eucaristia. Un entusiasmo e una gioia che non è possibile
spiegarsi, se non con la Risurrezione e la Presenza viva del Cristo in mezzo a
noi!
Quest’anno,
l’undicesimo, somiglia molto a quello: il desiderio di vivere la gratuità nella
comunità cristiana s’è fatto fortissimo in me, ha preso il sopravvento e tante pretese
mie e degli altri non le comprendo più.
Il
sabato, entrando in Istituto, incontravamo sempre Livio e altri che facevano un
circoletto in una piccola piazzetta. Appena ci vedevano, ci chiamavano e ci
coinvolgevano nei loro discorsi, come se ci conoscessimo da sempre. I loro
sorrisi e la calorosa accoglienza ci liberavano di tutte le pretese e le attese
che avevamo prima di entrare. Ogni volta facevamo esperienza di com’è bello
poter essere semplici tra semplici.
Forse la
pandemia ci ha aiutato a prendere coscienza di tante complicazioni costruite da
noi o imposte a noi dal consumismo: non c’era mai tempo di annusare un fiore,
di guardare un’alba o un tramonto, di visitare un anziano o un ammalato, di
giocare coi figli,… d’essere se stessi, d’essere gratis per qualcuno o
addirittura per tutti, come quei Frati Cappuccini, discepoli di San Francesco…