martedì 29 aprile 2014

Dal tesoro del seminario…

Una riflessione personale su Mc 10, 23-31

«Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10, 15).
«Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!» (Mc 10, 23).

Provo a immaginare il quadro descritto nel vangelo. Gesù ha chiamato un uomo alla sequela, a divenire suo discepolo e l’ha chiamato rispondendo a un desiderio che l’uomo aveva nel cuore, l’ha chiamato per donargli una vita piena, gioiosa, ricca di relazioni, una vita di carità.

L’uomo ha ascoltato la proposta di Gesù. Possiamo pensare a cosa avremmo fatto noi nella stessa situazione. Se Gesù l’avesse detto a me, come avrei risposto? L’uomo avrà sicuramente valutato l’invito di Gesù, l’avrà preso in considerazione seriamente perché costituiva la risposta a una domanda di vitale importanza. Le ricchezze, i suoi beni, gli impediscono di decidersi per qualcosa di più radicale: «Se ne andò afflitto perché aveva molti beni» (Mc 10, 22).

L’uomo ricco esce di scena. Gesù si guarda attorno e si rivolge ai suoi discepoli.
Sono lì anche i discepoli. Che ruolo hanno? Quale sarà stata la loro testimonianza di uomini che hanno lasciato qualcosa per seguire Gesù? E noi? Che discepoli siamo? Chi ci vede, vede Cristo? Siamo capaci di condurre altri uomini a Lui? Gesù afferma: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!».

Immaginate la reazione dei presenti dopo un’affermazione così forte. I discepoli sono stupefatti ma Gesù continua: «… è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». L’evangelista Marco ci dice che i discepoli a questo punto sono sbigottiti. Chissà quali commenti avranno fatto tra loro!
Perché tanto stupore? E cosa sono queste ricchezze se tutti si sentono chiamati in causa?

Abbiamo visto come il giovane sia condizionato fortemente dalle sue ricchezze. Potremmo leggere a questo proposito un brano di Luca in cui Gesù mostra chiaramente le esigenze della vita apostolica a chi vuole seguirlo. In Lc 9, 57-62 Gesù insegna che nulla può essere anteposto all’annuncio del regno di Dio. Nel vangelo di Matteo, inoltre, risuona chiaro l’invito ad abbandonarsi alla Provvidenza e a concentrarsi nella ricerca del regno di Dio e della sua giustizia (Mt 6, 25-34).
Questo è quindi un discorso che riguarda solo i ricchi o tutti noi? Gesù mi chiede di valutare il mio rapporto con le persone e con le cose: sono libero? Rispetto la libertà dei fratelli o li considero un mio possesso? Riesco a servirmi delle cose stando attento ai bisogni degli altri? Il mio cuore è libero o attaccato ai beni terreni, alle mie sicurezze, alle mie relazioni? Cosa conta per me? Qual è il mio tesoro? È sufficiente donare tutto ai poveri?

Leggendo un libro di E. Wiesel mi sono imbattuto in una riflessione interessante: «Tzedakà tatzil mimavet. La carità vi salverà dalla Morte. Che idea stramba. Supponiamo che un uomo si metta in testa di distribuire la sua fortuna ai bisognosi, supponiamo che faccia la carità giorno dopo giorno, e anche di notte, vuol dire che non morirà mai? Ma no. Questa invocazione significa un’altra cosa: aiutando i poveri, guardando, ascoltando coloro che hanno bisogno di noi, abbiamo semplicemente il privilegio di vivere la nostra vita, di viverla pienamente. Ecco il senso della formula: la carità salva l’uomo dalla morte… prima della morte» (da E. Wiesel, Il testamento di un poeta ebreo assassinato, pp. 79-80).

In questi anni di seminario mi viene donata la grazia di ampi spazi per la riflessione personale e sono aiutato a conoscermi meglio. Quando ci si conosce emergono anche difetti, limiti, fragilità e può insinuarsi la tentazione di dire: “Non ce la farò mai, non riuscirò a cambiare”. È difficile accettarsi e volersi bene per come si è. Gesù ci ama così come siamo. La bella preghiera di P. Claudel esprime proprio questo amore che Egli ha per ciascuno di noi e il nostro affidamento a Lui: «Signore che tutto puoi, tu puoi anche con me. Se ti occorrono dei martiri e delle vergini, se ti occorrono dei coraggiosi, se ci sono uomini ai quali per essere cristiani le parole non sono bastate, e che hanno saputo che è bello seguirti se ne va della vita: ecco Lorenzo e Maurizio, Cecilia e Agata, Francesco e Teresina. Ma se per caso hai bisogno di un pigro e ti occorresse un orgoglioso, un po’ vile, se ti occorresse un ingrato e un impuro, un uomo il cui cuore è tentato di chiudersi – e comunque non i giusti sei venuto a salvare – quando tu ne mancassi ovunque ti resterò pur sempre io, in quel giorno dei tuoi regali». Gesù non mi ama come sarò ma così come sono ora. Egli amò quel giovane e continuò ad amarlo anche dopo.

Di fronte allo stupore dei discepoli, Gesù risponde con una rassicurazione: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio!...» (Mc 10, 27). La chiave sta nell’affidarsi a Dio come un bambino si affida a suo padre e a sua madre (Mc 10, 13-16). Il neonato non ha sicurezze, è indifeso, debole, bisognoso di cure e d’amore. Gesù ci indica la strada: Fidatevi del Padre! Lasciate che Egli entri nella vostra vita, che conquisti e plasmi il vostro cuore.
Allora la nostra vita sarà piena e le reti saranno insufficienti per la grande abbondanza dei pesci (Lc 5, 1-11).

Il racconto continua con le parole di Pietro (Mc 10, 28). Quante volte anch’io mi sono fermato a considerare la mia vita e ho constatato, dopo un esame approfondito, la sproporzione tra ciò che ho lasciato e ciò che mi viene donato ogni giorno! Può capitare nella vita di essere talmente presi dalle cose da fare e dalle preoccupazioni, da non avere tempo per considerare ciò che di buono riceviamo gratuitamente nelle nostre giornate. Si rischia di essere scontenti pur avendo motivo per gioire! È importante per questo avere memoria di ciò che viviamo, ringraziare il Signore e chiedere un cuore libero da preoccupazioni e desideri inutili.
Possiamo continuare la riflessione rileggendo il racconto della pesca miracolosa (Lc 5, 1-11) o i racconti del ritorno dei discepoli dalla missione (Mc 6, 30-33). Fermiamoci a considerare la cura che Gesù ha per noi e la pienezza di vita concessa a chi sulla Sua parola getta le reti.

Gesù ci svela il volto del Padre! Conoscendo Gesù conosciamo il Padre. Dio è Padre misericordioso che accoglie con gioia i Suoi figli e li ricolma di ogni bene.
La vita del cristiano non sarà una vita in cui tutto procede bene, senza difficoltà e sofferenze. Esse saranno presenti e andranno vissute nell’affidamento a Dio che non ci lascia mai soli e sostiene costantemente il nostro cammino con il dono del Suo Spirito. [dGL]

mercoledì 16 aprile 2014

L’arte di amare secondo il Vangelo [C. Lubich]

«E com’è questo amore umano-divino, questo “amore evangelico”? Come si fa, in pratica, ad amare secondo Gesù?
Qui è proprio necessario fermare la nostra attenzione, per apprendere quella che, in certo modo può dirsi l’arte di amare evangelico.
Essa è esigente.
È un amore che ama tutti.
È un amore che ama per primo.
È un amore che ama sempre, che non finisce mai.
È un amore che entra nella realtà dell’altro, che sa farsi uno con l’altro.
È infine, un amore che nell’altro, in chiunque altro, vede e ama Gesù, secondo le sue parole “…l’avete fatto a me” (Mt 25,40)».
[C. Lubich, VIVERE la Parola che rinnova,Città Nuova]

mercoledì 9 aprile 2014

Bellissima pagina di don Tonino Bello

Il parcheggio del Calvario

Collocazione provvisoria

«Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. L’ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria.
La scritta, che in un primo tempo avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo.
Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non angosciarti, tu che per un tracollo improvviso vedi i tuoi beni pignorati, i tuoi progetti in frantumi, le tue fatiche distrutte. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra.
Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre «collocazione provvisoria». Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio.
Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce.
C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. «Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra». Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo.
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio.
Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovrumana. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà, finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra assurdo.
Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga». (don Tonino Bello, Alla finestra la speranza, San Paolo)

martedì 8 aprile 2014

Vivere la Parola

«Ecco alcuni frutti della Parola. Ma tutti i frutti qui elencati hanno la loro origine in un fatto. Come si sa, la Parola di Dio non è come le altre, essa non solo può essere ascoltata, ma ha anche il potere di operare quanto dice. La Parola, che è una presenza di Cristo, genera Cristo nella nostra anima e nelle anime altrui. È vero: anche prima di vivere la Parola con impegno, se si è cristiani, c’è la vita di Cristo in noi e con essa abbiamo senz’altro luce di Dio e anche amore; essi però sono spesso un po’ chiusi come in una crisalide. Vivendo il Vangelo l’amore sprigiona luce e la luce accresce l’amore: la crisalide comincia a muoversi, finché ne esce la farfalla. La farfalla è il piccolo Cristo che inizia a prendere posto in noi e poi a crescere sempre di più, sempre di più… così da renderci sempre più pieni di lui. C’è una magnifica descrizione di Paolo VI su quel che produce la Parola: “Come si fa presente Gesù nelle anime? Attraverso il veicolo e la comunicazione della Parola (…) passa il pensiero divino, passa il Verbo, il Figlio di Dio fatto Uomo. Si potrebbe asserire che il Signore si incarna dentro di noi, quando noi accettiamo che la sua Parola venga (…) a vivere dentro di noi” (Paolo VI, Discorso alla parrocchia di sant’Eusebio)». [C. Lubich, VIVERE la Parola che rinnova,Città Nuova]

lunedì 7 aprile 2014

Comprendere

«Altro è avere facilità d’eloquio e splendore di parola, altro è entrare nelle vene e nelle midolla delle parole celesti (…): questa cosa non la potrà dare in nessun modo né la dottrina, né l’erudizione del mondo; la darà solo la purezza della mente attraverso l’erudizione dello Spirito Santo». [Sant’Anselmo, Tractatus asceticus]

venerdì 4 aprile 2014

Via Crucis

Mentre percorro le stazioni della Via Crucis con la comunità parrocchiale, penso alla passione di Gesù e alla Sua misericordia che davvero è per tutti: nello sguardo di Gesù ciascuno può sentirsi a casa, anche il più incallito peccatore.

E il problema di chi si ritiene giusto e lo condanna, non sta nella durezza delle parole di Gesù che tenta di scuoterlo, di convincerlo che è ancora possibile cambiare, di persuaderlo che Lui è venuto proprio per questo; anche quelle sono parole cariche d’amore.

Il problema di chi si ritiene giusto sta nell’accettare la propria condizione di uomo sempre bisognoso di redenzione: più egli sta vicino a Gesù e più sente il peso di una tradizione fatta di forme, di una giustizia sterile, che indurisce anziché ammorbidire, che riduce a uno schema anche la persona del fratello, del prossimo, dell’amico,…

... gli pare troppo rischioso seguire Gesù, troppo faticoso e doloroso abbracciare la Sua croce, troppo difficile vivere nel Suo perdono, nella Sua Risurrezione,…

Eppure Gesù sta ancora lì e lo chiama, e mi chiama!

E a lui e a me con la Sua grazia ricorda che a Dio tutto è possibile! [dGL]

mercoledì 2 aprile 2014

La tenda

La tenda sta sulla via per accogliere chi è di passaggio e sente di doversi fermare.

Entrarvi non è qualcosa di automatico: richiede una decisione da parte del pellegrino che deve valutare quanto dista la meta e se è opportuno effettuare una sosta.

Nella tenda il pellegrino può trovare il ristoro per il cammino percorso e la speranza per quello ancora da iniziare. Egli non vi entra solo per riposare, ma anche per incontrare, ascoltare e parlare, condividere storie, pensieri, esperienze, donare e ricevere,…

La tenda è luogo di passaggio ma, allo stesso tempo, è luogo da vivere.

La facilità con cui essa può essere smontata e spostata ricorda all’uomo il suo essere cittadino del mondo, la possibilità di abitare ogni relazione, la meraviglia di poter essere tenda per ogni prossimo,… [dGL]

martedì 1 aprile 2014

La virtù (da un testo di Romano Guardini)

La virtù percorre l’intera esistenza come un accordo che la stringe in unità. Allo stesso modo essa sale fino a Dio, o meglio, discende da Lui.
Già Platone lo sapeva quando creò per Dio il nome di agathòn, di “Bene”. Dall’eterna bontà di Dio deriva nello spirito dell’uomo disponibile l’illuminazione morale. Essa comunica ai diversi caratteri di volta in volta la loro specifica disposizione per il bene. Nella fede cristiana questa intuizione platonica perviene alla sua completezza. Pensiamo alla misteriosa immagine dell’Apocalisse in cui la quintessenza dell’ordine, la città santa, discende da Dio verso l’uomo (21, 10 ss.).
Ci sarebbe in proposito da dire più di quanto lo spazio qui ci consente. Indicheremo qualche nozione di fondo.

C’è anzitutto la verità, anzi una realtà, sulla quale riposa ogni ordine dell’esistenza. È la realtà di fatto che Dio soltanto è “Dio” e che l’uomo è una sua creatura e immagine; che Dio è realmente “Dio”, non un anonimo fondo del mondo, non un’idea soltanto, non il mistero dell’essere, ma per se stesso realtà e vita, creatore e signore, e l’uomo invece realtà creata e legata all’obbedienza verso il Signore altissimo.
Ecco l’ordine fondamentale d’ogni rapporto terreno e d’ogni agire terreno. Contro di esso si è sollevato già l’uomo primo quando gli venne insinuato di voler essere «come Dio», e contro di esso continua fino ai giorni nostri la ribellione di grandi e di meschini, di geni e di chiacchieroni. Ma se quest’ordine viene isolato, potrà essere quanto si vuole grande la potenza che ci conquistiamo, il benessere che ci creiamo: il caos avvolgerà sempre ogni cosa.

Un altro modo che ha la virtù dell’ordine di fondarsi in Dio è la legge incrollabile che esige l’espiazione per ogni ingiustizia. L’uomo trasferisce volentieri la sua cattiva memoria nella storia e si convince che, dopo aver fatto del male, il divenire continui a scorrere indisturbato; che una volta ottenuti gli effetti previsti, l’ingiustizia appartenga al passato, sia annullata. Si è sviluppata in tempi vicini una concezione dello stato secondo cui allo stato, in vista della potenza, del benessere, del progresso, ogni iniquità è permessa. Quando un’ingiustizia ha raggiunto il suo scopo benefico, cade nel nulla.
Ma in verità essa è là ancora: intrecciata al tessuto della storia; nel contesto vitale di coloro che l’hanno commessa e di coloro che l’hanno patita; nell’influsso che essa ha esercitato sugli altri; nelle impronte dei pensieri e dei sentimenti, della lingua, degli atteggiamenti che reggono il tempo. E viene il giorno dell’espiazione; perché espiata dev’essere, inevitabilmente. Dio ne è garante.

Il terzo aspetto è la rivelazione del giudizio. La storia non è un processo naturale che esaurisca in se stesso il suo significato, ma implica il rendiconto. Non all’opinione pubblica e neppure alla scienza. Ed è pure falso dire che la storia è giudizio a se stessa: giacché molto di essa resta nascosto, molto dimenticato, e per una quantità di cose la responsabilità viene spostata su coloro a cui non appartiene. No, il giudizio sarà tenuto da Dio.
Tutto arriverà davanti alla sua verità e si farà manifesto. Tutto sottostarà alla sua giustizia e riceverà la determinazione definitiva. [R. Guardini, Virtù, Morcelliana]