Ne incontro due oggi pomeriggio nel campetto parrocchiale.
Mi
chiedono se mi va di fare due tiri a pallone con loro.
Accetto
volentieri.
Giocano
a calcio con una società sportiva e si vede perché hanno rispetto per il
pallone: non lo calciano alla rinfusa, tanto per calciare, ma con precisione.
Mentre
giochiamo, uno mi mostra orgoglioso la crocetta che porta al collo e mi chiede
se mi piace.
“Certo!
È bellissima”, gli rispondo.
L'altro
mi chiede come ho scelto di diventare prete.
“L'ho
scelto perché cerco come tutti la felicità e con Gesù sono felice”.
Poi
mi chiedono come si diventa prete e gli dico dei cinque anni di seminario,
dell'ordinazione sacerdotale e degli undici anni trascorsi da quel giorno. E
uno dei due mi chiede se lì al campetto ho mai rimproverato qualcuno.
“Sì.
A volte mi capita di rimproverare quelli che con la scusa di giocare a pallone
dicono un sacco di parolacce. Secondo me, chi dice parolacce non sa giocare a
calcio, perché chi non sa controllare la lingua non sa neanche controllare la
palla”, rispondo sorridendo.
Ora
che s'è fatta sera e ripenso a quei due uomini di Dio, due ragazzi delle medie
come ce ne sono tanti, mi
chiedo se sapremo crescerli e custodirli così, semplicemente contenti di
esserci e di giocare insieme correndo dietro a un pallone, lieti di un'amicizia
e attenti a tutto quello che sa di felicità.