domenica 21 novembre 2021

Cristo Re


Allora Pilato vide un ragazzo, gravemente ammalato, steso su un lettino d’ospedale e si commosse profondamente. Scoppiò a piangere protestando: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re». Solo in quel momento Pilato vide accanto al letto del ragazzo un’anziana signora, forse sua nonna, che gli stringeva la mano e sussurrava parole dolci al ragazzo. Era Bruna, una pensionata che non aveva figli né nipoti. Qualche anno prima, al centro d’ascolto della Caritas parrocchiale, Bruna aveva conosciuto la famiglia di Giovanni. Giovanni aveva qualche mese ed era l’ultimo di sei fratelli. Così Bruna aveva cominciato a prendersi cura di quella famiglia in difficoltà e di quel bimbo appena nato. Era molto generosa, Bruna, e nel corso degli anni aveva impiegato tutte le sue sostanze a sostegno di iniziative di carità parrocchiali e diocesane. Giovanni era cresciuto praticamente con lei: gli aveva insegnato a leggere, lo aiutava a fare i compiti, gli regalava libri e vestiti, andava anche a parlare con maestre e professori,… e faceva tutto questo con una discrezione tale che nessuno intorno a lei lo avrebbe mai potuto immaginare. Poi Giovanni s’era ammalato, e allora avevano cominciato a girare per ospedali, cliniche e specialisti. E Bruna sempre lì ad accompagnarlo, a incoraggiarlo, a pregare con lui e per lui! Fino al momento in cui Pilato era giunto lì e aveva visto Giovanni, e accanto a lui la sua famiglia, Bruna e Gesù. Pilato si meravigliò di percepire in quella stanza d’ospedale non la disperazione per una malattia inguaribile, ma soltanto un grande amore e una grande pace. Era un mistero.

Subito dopo, Pilato vide un muro invalicabile e sulla cima del muro soldati coi mitra spianati. Da una parte del muro c’erano le città dei popoli ricchi, dall’altra invece erano ammassati migliaia di profughi provenienti da Paesi molto poveri. Faceva freddo e pioveva, e quelli erano lì senza coperte e senza riparo. Pilato sentì un dolore profondo al cuore. Pensò alla sua famiglia. Tra quei poveretti maltrattati immaginò i suoi, quelli di casa sua. Sdegnato per tanta indifferenza da parte dei potenti, disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re». E Pilato notò in mezzo a quella gente alcuni uomini e donne che si muovevano rapidi e silenziosi. Distribuivano coperte, bevande calde, panini,… e facevano tutto con estrema gentilezza e cura. I volontari sembravano infaticabili: si avvicinavano a tutti e cercavano di ascoltare le necessità di ciascuno. C’era anche chi con un pallone faceva giocare ragazzi e bambini. Pilato osservava tutto con grande ammirazione e seguiva ogni movimento dei volontari. Sembrava un tifoso quando partecipa alle gare della sua squadra del cuore. A un certo punto si mise anche lui a stringere quelle mani, a soccorrere quei fratelli, a incoraggiare i volontari, a fare smorfie per far sorridere i bambini,... E fu pieno di stupore notando che anche in mezzo a tanto freddo, un piccolo gesto di cura e d’affetto può portare calore e sollievo.

Poi Pilato si ritrovò in un luogo che conosceva… Ma certo! Era la strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Vide in lontananza un uomo buttato a terra. Non capiva cosa stava succedendo: vedeva lì intorno gente che passava, ma era come se quell’uomo a terra lo vedesse solo lui, che era lontano; e quelli lì, invece, a due passi da quell’uomo mezzo morto, non si fermavano. Aveva visto avvicinarsi un sacerdote e s’era detto: «Di certo si fermerà a sincerarsi delle sue condizioni». E invece no: il sacerdote fece come se non avesse notato nulla di strano. Quando, poi, vide arrivare un levita, Pilato si mise a gridare: «Fermati! C’è lì un uomo che ha bisogno di aiuto. Morirà se non ti fermi!». Ma Pilato era troppo lontano e la sua voce non raggiunse il levita che vide e passò oltre. Pilato, spazientito, gridò a Gesù: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re». E Pilato vide giungere un Samaritano che si fece vicino a quell’uomo, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura per portarlo in un albergo e prendersi cura di lui. Immediatamente Pilato passò dall’indignazione per l’indifferenza di quegli uomini all’entusiasmo per la buona azione compiuta dal Samaritano. E fu preso dal fortissimo desiderio di fare anche lui così, perché sentiva chiaramente d’essere nato anche lui soltanto per amare e prendersi cura del prossimo! Gli fu chiaro che il senso di ogni vita è proprio questo: amare! La verità iniziava a farsi strada in lui…

Pilato, allora, si mise a seguire le orme del buon Samaritano, e arrivò sul Golgota, proprio mentre Gesù sulla croce diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». E finalmente, ascoltando la voce di Gesù che lo perdonava, Pilato confessò pieno d’amore: «Dunque Tu sei re!».

mercoledì 17 novembre 2021

Maledetta paura

 

«Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo…”» (Lc 19,20-21).
 
La paura ha condizionato la vita di quell’uomo e gli ha impedito di fidarsi di quello stesso padrone che gli aveva affidato il suo capitale da far fruttare.
 
Ieri e oggi sui social m’imbatto nella stessa maledetta paura.
Una paura che fa alzare muri, protetti da armi e filo spinato, per tenere lontani tutti i nemici. Osservando tali fortificazioni, penso alla città di Troia che deve difendersi dall’assalto di Achille e dei migliori guerrieri Achei! Ma poi, vado a vedere questi “invasori” e mi accorgo che non c’è proprio nulla da temere: sono bimbi, ragazzi, giovani, donne e uomini che somigliano a noi e, se guardo i loro occhi spaventati, infreddoliti, terrorizzati,… piango con loro e per loro. Se li guardo, anche solo per un momento, non posso fare a meno di maledire la paura, che ci fa chiudere il tesoro in un fazzoletto e ci fa pensare che per proteggerlo siano necessari muri, armi, filo spinato,…
Ma quel tesoro è l’unico che si moltiplica solo quando lo si condivide!
 
Poi, sempre sui social, m’imbatto nella paura del bambino che forse un giorno nascerà, e il “forse” dipende dalla paura di chi lo aspetta il bambino. Paura di un “invasore” indesiderato che condizionerà la vita, paura di non essere pronti a crescerlo, paura di quello che significherà essere madri e padri, paura della società, paura del mondo sempre più ingiusto, paura del “te” che non coincide con me e quindi sicuramente mi causerà qualche problema.

E anche stavolta non posso fare a meno di maledire la paura che ci fa percepire come nemico della nostra vita un piccolissimo innocente indifeso, che ci chiederà solo d’essere guardato con amore…
 
Le paure sono tantissime e non posso elencarle tutte.
Ho scritto di queste due paure perché tra ieri e oggi le ho intercettate su internet.
Ho scritto di queste due paure non per mettere in discussione le leggi, né per giudicare qualcuno, ma solo per rivolgermi alla coscienza di ciascuno perché ogni volta che ci troviamo a dover scegliere tra alzare un muro o aprire il cuore, sappiamo con certezza che la gioia entra solo quando apriamo il cuore! [dGL]

domenica 14 novembre 2021

L’ora di Dio

Il mio "orologio" di stoffa

Da qualche anno non porto l’orologio al polso perché ci pensa il cellulare a ricordarmi l’ora.
Così ieri, quando, al termine della preghiera con i ragazzi del catechismo, i bambini si sono presentati con un braccialetto in mano e me lo hanno donato dicendo: «Voi grandi li avete messi a noi durante la preghiera, ma a voi chi li mette?», mi sono ritrovato al polso uno dei braccialetti di stoffa su cui i catechisti avevano scritto la frase: «Dio ti ama».
 
Da quel momento in poi, avendo la sensazione di avere l’orologio, ogni tanto guardavo il polso e mi ritrovavo a leggere quest’ora così strana:
sul mio “orologio” di stoffa c’era scritto «Dio ti ama».
 
Sulle prime avvertivo la meraviglia di non vedere l’orologio e di osservare un semplice pezzo di stoffa, ma poi, per tutto il pomeriggio e fino al momento di andare a dormire, “leggevo l’ora” e mi lasciavo sorprendere dalla gioia fortissima irradiata da quella semplice verità: «Dio ti ama».
 
Che bello un orologio così!
Ti ricorda che Dio ti ama proprio in ogni istante!
Anche nella più piccola frazione di tempo!
Anche nel più faticoso e triste momento! [dGL]

mercoledì 10 novembre 2021

Basta poco

Trasmettere la fede
è accompagnare
all’asilo il proprio figlio
tenendolo per mano e,
passando davanti alla chiesa,
sempre tenendolo per mano,
entrare,
sedersi e,
insieme,
pregare

sabato 6 novembre 2021

Con brio!

Passano un camion e un pick-up dei Vigili del fuoco.

Sul marciapiede un cocker li vede passare e strattona guinzaglio e padrona, slanciandosi verso il pick-up, come se volesse salirci sopra!

E io, che da lontano guardo la scena, sorrido pensando al draghetto Grisù e al suo: «Mi spiace, papà, ma io sarò pompiere! Sarò pompiere! Sarò pompiere!»

lunedì 1 novembre 2021

«È così che io vedo le cose»

Sieger Köder, Mosè al roveto

«Quando Mosè salì in cielo per ricevere la legge, trovò Dio occupato ad aggiungervi diversi simboli e ornamenti. Cosciente del suo ruolo di portavoce, chiese timidamente: “Perché non dare la Torah così com’è? Non è abbastanza ricca di significato, abbastanza incomprensibile, perché complicarla ancora di più?”.
“Devo farlo”, rispose Dio. “Alla fine di numerose generazioni ci sarà un uomo chiamato Aqiba, figlio di Giuseppe, che cercherà e scoprirà ogni tipo di interpretazione in ogni parola, in ogni sillaba, in ogni lettera della Torah. Perché possa trovarle, bisogna che io ce le metta”.
“Mostrami quest’uomo”, disse Mosè, “mi piacerebbe conoscerlo e vederlo”.
Non potendo rifiutare niente, o quasi niente, al suo fedele servitore, Dio disse: “Voltati, vai indietro”.
Mosè obbedì, si voltò indietro e si trovò proiettato nel futuro.
Si trovava adesso in un’accademia talmudica, seduto nell’ultima fila, tra i principianti. Ascoltava un maestro che teneva una lezione sul suo insegnamento, sulla sua opera, proprio di lui. Ciò che ascoltava era bello, senz’altro anche profondo, un po’ troppo per Mosè, che non ci capiva niente. Non un’idea, non una parola.
Allora, una tristezza sconosciuta pervase Mosè: si sentì umiliato, inutile.
Improvvisamente colse al volo una domanda che un allievo rivolgeva al Rabbi: “Dov’è, dunque, la prova che i vostri punti di vista in proposito sono giusti, che la vostra posizione è corretta?”.
Il maestro, Rabbi Aqiba, rispose: “La eredito dai miei maestri che la appresero dai loro, i quali a loro volta l’hanno derivata direttamente da Mosè. Quello che io vi dico, Mosè l’ha inteso sul Sinai”.
Divertito e anche un po’ adulato, Mosè si sentì alquanto rasserenato, ma c’era qualcosa che continuava ancora a turbarlo. Si volse di nuovo verso Dio: “Non capisco”, disse. “Tu disponi di un saggio come lui, di un insegnante come lui, perché hai bisogno di me? Che sia lui il tuo messaggero per trasmettere la legge d’Israele al popolo d’Israele”.
Ma Dio l’interruppe: “Mosè, figlio di Amram, taci. È così che io vedo le cose”». (Leggenda ebraica)