lunedì 21 novembre 2016

«Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore» (Salmo 31,25)



Il terremoto ha tolto improvvisamente il velo
ed è apparso il vero.

Soddisfatti delle nostre cose, vivevamo come anestetizzati grazie a tutta una serie di illusioni che noi stessi, aiutati dai sacerdoti della cultura mondana, ci eravamo costruiti. C’è voluto un po’ di tempo, ma tutta una campagna culturale, che incoraggiava a vivere come se Dio non esistesse, forse stava riuscendo a convincerci che le cose di questo mondo avrebbero potuto farci beati.

Il Vangelo della Domenica non stonava nemmeno più rispetto alla musica mondana, perché la fede s’era talmente staccata dalla vita da poter procedere tranquillamente su binari paralleli. Così, noi che ci dicevamo cristiani, noi che impugnavamo i crocifissi, pronti alle crociate, noi che, beati, stavamo a contemplare le nostre radici cristiane, improvvisamente ci siamo accorti che non serve a nulla dirci cristiani se non siamo cristiani. Il terremoto ha spazzato via tutti gli idoli e ci siamo ritrovati insicuri e disorientati. Nemmeno la nostra casa è in grado di difenderci. E vaghiamo come naufraghi tra le onde di un mare in tempesta, cercando un appiglio a cui aggrapparci…

La cantilena governativa ripete come una litania il versetto: «Ricostruiremo».
Ma ricostruiremo che cosa? Una casa, una chiesa, un monumento? Certamente si possono rimettere in piedi gli edifici, ma come si può ricostruire la serenità, la speranza?

«Ricostruiremo», ma per chi? Se il terremoto che non cessa, sta già rendendo deserti i luoghi di aggregazione, le scuole, le manifestazioni religiose e civili, le iniziative a cui eravamo abituati a prendere parte? E chi può assicurarci che le scosse siano finite? E poi se succede un terremoto, che facciamo? Dove scappiamo?

Il dio denaro parla e continua a distrarre.
Poveretto, di più non può fare: le sue mani sono legate di fronte alla terra che trema. Nemmeno il dio denaro può spegnere il tremore o dare stabilità.

La dea tecnica non sa cosa rispondere a chi oggi si presenta al tempio e chiede di essere salvato, o almeno rassicurato. Nemmeno in quel tempio, oggi tanto frequentato, possiamo trovare la certezza di non morire mai.

Viene tolto il velo e appare il vero:
tra gli idoli costruiti da mani d’uomo, non c’è un dio che possa salvarci; non c’è un dio che possa rassicurarci; non c’è un dio che possa darci pace.

E allora, che fare?

Possiamo accorgerci che il nostro Dio ci è venuto a cercare. Possiamo convertirci e lasciarci abbracciare, coccolare, rincuorare. Possiamo ascoltare il Vangelo e ricordarci della passione, morte e risurrezione di Gesù, e scoprire che la morte è qualcosa che tutti vivremo, ma non è l’ultima parola: Egli ha vinto la morte! Possiamo scoprire che questa vita a cui tanto ci siamo attaccati, non è tutto, anzi è un piccolo granello di polvere a confronto con quell’eternità, quel paradiso verso il quale tutti siamo incamminati!

Solo la fede in Dio ci farà tornare a vivere!

In questi giorni la fede ha fatto miracoli e in tanti si sono messi a disposizione per accogliere, soccorrere, consolare, aiutare quanti nel terremoto hanno perso i propri cari, le proprie case, i propri ricordi, i propri sogni,... Tanta solidarietà e tanto calore umano sono l’espressione visibile di una fraternità che tutti ci lega: tutti ci siamo sentiti chiamati a testimoniare la nostra vicinanza e il nostro affetto.

Il terremoto, la sofferenza, il dolore sono eventi negativi, che mettono a dura prova il corpo e lo spirito di ciascuno di noi; sono eventi che giustamente tutti noi vorremmo evitare, ma non dipendono da noi. Da noi dipende il far fronte, il restare in piedi coscienti che non siamo soli. Se ci lasciamo portare dal dolore, ci ritroviamo nella disperazione; se, invece, ci sforziamo di portare il nostro e l’altrui dolore, si apre davanti a noi la via della Pasqua, una via di luce, una via di vita che non tramonta mai!

So che tra un mese è Natale e quindi le mie parole sembreranno fuori tempo, ma oggi mi sento di augurare a tutti: «Buona Pasqua di Risurrezione!». [dGL]

mercoledì 16 novembre 2016

E con la fantasia intrecciare letteratura e realtà...



Capitolo ***

Di come don Chisciotte e Sancio Panza incontrarono un uomo di Atri e gli prestarono Ronzinante per onorare la Madonna di San Giovanni.

Dopo aver vagato a lungo per le colline marchigiane, don Chisciotte e il suo inseparabile scudiero Sancio, giunsero nei pressi di una città e incontrarono un uomo, in piedi vicino al suo carro, che fece loro cenno di fermarsi.
Il suo cavallo s’era azzoppato e non era in grado di affrontare la salita che dalla valle del Tesino conduceva alla città.
Don Chisciotte prontamente si offrì di prestargli la sua cavalcatura e legò Ronzinante al carro.
I tre si avviarono verso la città. L’uomo veniva da Atri per la festa in onore della Madonna di San Giovanni e spiegò ai due compagni di viaggio che l’infortunio del suo cavallo sarebbe stato un problema serio per lo svolgimento della festa: infatti la tradizione voleva che lui lanciasse i fuochi artificiali dal suo cavallo mentre correva su e giù per la piazza principale.

«Siete stato molto fortunato a incontrarci!», cominciò a dire don Chisciotte, mentre Sancio si metteva una mano davanti alla faccia in segno di disperazione.

«Dovete sapere che io sono un cavaliere e vado in giro per il mondo con il mio scudiero per soccorrere chi si trova in qualche genere di difficoltà. Saremo ben lieti di fermarci in città per la durata della festa; così voi potrete utilizzare Ronzinante per lanciare i vostri fuochi artificiali. È un cavallo abituato alle battaglie e non avrà certo paura di scintille colorate!».

L’idea piacque al mercante, un po’ meno a Sancio, che già sentiva odore di guai; meno di tutti piacque a Ronzinante, ma nessuno si sognò di chiedere il suo parere.

Il mercante, in segno di riconoscenza, si offrì di provvedere a sistemarli per i giorni della festa in una locanda della città.
A sentir parlare di cibo e di accoglienza, Sancio si rincuorò e, per un momento, smise di pensare ai fuochi artificiali.

«Mi hanno parlato molto bene di questa città. Il cibo è buono e il vino è dei migliori», disse lo scudiero rivolgendosi al mercante.

«Sì», confermò l’uomo, «Sono anni che partecipo a questa festa e sono stato sempre accolto bene; la gente è generosa e ospitale. Vi sentirete a casa vostra! E poi non potete immaginare quanti onori tributeranno al vostro cavallo! Vedrete che entusiasmo: una stalla tutta per lui, fieno di prima qualità,… e il giorno della festa, dopo aver onorato la Madonna con grande solennità, gli occhi della gente saranno tutti su di lui».

«Possibile che un cavallo sia così importante?», chiese don Chisciotte, manifestando il suo stupore.

«Cavaliere, voi siete molto famoso e la vostra fama avrà sicuramente preceduto il nostro ingresso in città. Ma per una sera, solo per quella sera, il vostro cavallo sarà più importante di voi. è per via della festa: se non ci fosse il cavallo, non ci sarebbero i fuochi artificiali. È uno spettacolo unico e anche voi, che avete girato tanto per il mondo, sicuramente non avete mai visto una cosa simile!», disse il mercante con gli occhi che luccicavano per l’entusiasmo.

A don Chisciotte tutta questa storia sembrava strana e cominciava a sospettare che ci fosse sotto qualche incantamento ad opera di oscuri nemici, ma il mercante di Atri sembrava sincero.

Sancio, invece, non aveva seguito il discorso perché era tutto concentrato a guardare il paesaggio e i campi ben lavorati e i calanchi, fenomeno assai suggestivo. Salire a piedi verso la città permetteva di godersi il panorama e tutto era così bello che gli sembrava non aver posto nella mente per altri pensieri: nessun fuoco artificiale avrebbe potuto eguagliare la bellezza di quella meraviglia naturale. Se ne era talmente convinto, che aveva deciso di chiedere a don Chisciotte di fermarsi lì ad abitare.

lunedì 14 novembre 2016

Un pezzo della mia storia



Ricordo la riapertura della chiesa di Santa Lucia a San Benedetto del Tronto.
Ero bambino e accompagnai mio nonno Giuseppe alla cerimonia. Fu un bel momento di festa. Lo ricordo perché, tornati a casa, scrissi una breve e semplice cronaca per il giornale diocesano. Ricordo, poi, l’attesa di ricevere il settimanale per sfogliare quella carta stampata così particolare, perché era un giornale diverso da tutti gli altri giornali: era il nostro giornale.

E, finalmente, ritrovare tra gli altri articoli, scritti da persone “grandi”, anche il mio piccolo scritto,…
Fu un’emozione straordinaria!
Mi sembrava di aver raggiunto un traguardo eccezionale e impensabile: uno spazio sul giornale diocesano.

Da lì in avanti, incoraggiato dai miei genitori, ho continuato a scrivere…

Ricordo che qualche anno dopo – ormai ero alle scuole superiori – un mio compagno di classe, che curava per il giornale diocesano le sintesi delle catechesi di Papa Giovanni Paolo II, un giorno mi chiese di sostituirlo per qualche settimana. Così, compravo L’Avvenire del giovedì, leggevo con attenzione la catechesi settimanale e cercavo di sintetizzare il pensiero del Papa…

Ho detto che cercavo di sintetizzare, perché le parole del Papa mi sembravano sempre troppo importanti per essere riassunte e quindi a volte mi dilungavo… Poi stampavo l’articolo, lo rileggevo un’infinità di volte per essere sicuro che non ci fossero errori, uscivo di casa e andavo alla cartolibreria Urania di San Benedetto, dove lo consegnavo al prof. Pietro Pompei per la pubblicazione.

Non sono mai stato un collaboratore vero e proprio, né ho mai preso il patentino; sono solo uno a cui ogni tanto piace scrivere. Nel mio caso è importante l’ogni tanto, perché, non avendo un impegno fisso, ho la possibilità di scrivere solo quando mi sembra di avere qualcosa da scrivere!

Adesso ho un blog ed è molto più facile pubblicare i miei pensieri, ma, come ho avuto modo di dire durante gli incontri di Vicaria, in cui noi preti abbiamo parlato de L’Ancora, il giornale diocesano è stato per tanti l’occasione per raccontare, l’occasione per coltivare la passione per la scrittura, l’occasione per raggiungere le persone con un pensiero buono, con una riflessione,… Tutto questo continuerà a essere assicurato dalla versione online (www.ancoraonline.it), ma non sarà la stessa cosa: c’è tanta gente che non va su internet e tanta gente che continua a preferire la carta stampata. Pazienza!

Quest’anno della Misericordia mi ha visto impegnato nella scrittura di alcune riflessioni sulle opere di Misericordia. Ho pubblicato le sette opere di misericordia corporale e poi mi sono preso un po’ di tempo per scrivere quelle di misericordia spirituale. Nel frattempo non pubblicavo nulla sul giornale diocesano e le nonne della parrocchia, preoccupate, sono venute a cercarmi per dirmi: «Ma non pubblica più? Che succede? Perché non scrive più?».

Il buon direttore Pietro Pompei, il caporedattore Simone Incicco e i lettori mi scuseranno per quest’opera rimasta a metà, ma dovevo pur lasciare qualcosa di inedito per il primo numero cartaceo, che uscirà alla ripresa della pubblicazione del nostro giornale, no?

Il nostro giornale si chiama L’Ancora e l’ancora è l’immagine con cui si raffigura la virtù teologale della speranza; e allora, come non sperare in un ritorno alla stampa?

Arrivederci, amica,
arrivederci! [dGL]