«… è la storia di una nave e di Fred Tre Dita e di un mozzo di
nome Stoner… […]
Sì, e tutti credevano che fosse stato lui, Stoner, a mettere
sottosopra il quadrato e a schizzare inchiostro dappertutto e… […] E gli hanno
dato la caccia e non sono mai riusciti ad acchiapparlo perché non sapevano che
faccia avesse e… Atticus, quando finalmente lo hanno visto, accipicchia, non
aveva fatto nessuna di queste cose… Atticus, era proprio simpatico…» (Harper
Lee, Il buio oltre la siepe, Feltrinelli).
Sono le parole di Scout, la protagonista del libro “Il buio oltre
la siepe”. Sta raccontando a suo padre, Atticus, la trama di un libro e il
padre le risponde: «Sono quasi tutti così, Scout, quando finalmente li vedi».
Vedere, ascoltare, conoscere richiede tempo, attenzione, cura,
vicinanza, umiltà, amore. Altrimenti si passa oltre, ci si fa un’idea
superficiale, si conosce per sentito dire, si parla per sentito dire, si accusa
per sentito dire, si emargina per sentito dire, si giudica per sentito dire, si
odia per sentito dire,… si è convinti di vedere ma in realtà non si vede. E i
piccoli protagonisti del libro, Scout e Jem, imparano a vedere sicuramente grazie
alle loro esperienze, ma soprattutto grazie all’amore del padre che li vede, li
ascolta, li incoraggia, li corregge, li ama. Atticus educa i suoi figli con
dolcezza, dedicandosi a rispondere alle loro domande e a spiegargli parole e
avvenimenti che non capiscono; egli stesso vigila sulla sua vita per vedere
bene l’altro.
Così
oggi, quando mancano diciotto giorni a Natale, la risposta di Atticus è rivolta
a me e m’invita a chiedermi cos’è che ancora non vedo, quando tratto il mio
fratello con indifferenza o addirittura come un nemico!
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