venerdì 18 novembre 2011

Pensieri su Gesù tratti da L’uomo che cammina, di Christian Bobin

«Sono dapprima in quattro a scrivere su di lui. Quando scrivono hanno sessant’anni di ritardo sull’evento del suo passaggio. Noi ne abbiamo molti di più: duemila. Tutto quanto può essere detto su quest’uomo è in ritardo rispetto a lui. Conserva una falcata di vantaggio e la sua parola è come lui, incessantemente in movimento, senza fine nel movimento di dare tutto di se stessa. Duemila anni dopo di lui è come sessanta. È appena passato e i giardini di Israele fremono ancora per il suo passaggio, come dopo una bomba, onde infuocate di un soffio.

Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l’ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine.

L’umano è chi va così, a capo scoperto, nella ricerca mai interrotta di chi è il più grande. E il primo venuto è più grande di noi: è una delle cose che dice quest’uomo. È l’unica cosa che cerca di inculcare nelle nostre teste grevi. Il primo venuto è più grande di noi: bisogna scandire ogni parola di questa frase e masticarla, rimasticarla. La verità la si mangia. Vedere l’altro nella sua nobiltà di solitudine, nella bellezza perduta dei suoi giorni. Guardarlo nel movimento del venire, nella fiducia in questa venuta. È quanto si sfianca a dirci, l’uomo che cammina: non guardate me. Guardate il primo venuto e basterà, e dovrebbe bastare». [C. Bobin, L’uomo che cammina]

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