mercoledì 9 aprile 2025

Rischi evangelici


Se non corro il rischio della povertà,
non troverò la vera ricchezza.

Se non corro il rischio dell'obbedienza,

non vedrò il tesoro che non mi aspetto.

Se non corro il rischio della castità,

non vedrò compiersi la Promessa.

Se non corro il rischio dell'umiltà,

non conoscerò la vera grandezza.

Se non corro il rischio della mitezza,

non troverò ristoro per la mia vita.

Se non corro il rischio della precarietà,

non saprò cos'è la Provvidenza.

Se non corro il rischio del Vangelo,

non incontro e non gusto il Paradiso!

sabato 5 aprile 2025

Vi ho dato l’esempio

 

«Intendete voi quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate il maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque ho lavato a voi i piedi io, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Io vi ho dato l’esempio, affinché facciate anche voi come ho fatto io».
 
Vi ho dato l’esempio. Se dovessi scegliermi una reliquia della passione, raccoglierei tra i flagelli e le lance quel tondo catino di acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente sotto il braccio, guardare solo i talloni della gente; e a ogni piede cingermi l’asciugatoio, curvarmi giù, non alzare mai gli occhi oltre i polpacci, così da non distinguere gli amici dai nemici. Lavare i piedi all’ateo, al cocainomane, al mercante d’armi, all’assassino del ragazzo nel canneto, allo sfruttatore della prostituta nel vicolo, al suicida, in silenzio: finché abbiano capito.
A me non è dato poi di alzarmi per trasformare me stesso in pane e in vino, per sudare sangue, per sfidare le spine e i chiodi. La mia passione, la mia imitazione di Gesù morituro possono fermarsi a questo.
 
(Luigi Santucci, Una vita di Cristo, ed. San Paolo, pp. 192-193,)

giovedì 27 marzo 2025

È come quando…

Pietro Annigoni, Giuseppe falegname con Gesù Bambino, Basilica di San Lorenzo, Firenze, particolare

I talenti della parabola (Mt 25, 14-30) non sono qualcosa di essenziale per vivere: altrimenti il servo che sotterra il suo talento, non potrebbe sotterrarlo, ma sarebbe costretto a impiegarlo per vivere.
I talenti della parabola non sono cose che i servi ambiscono di possedere, altrimenti il servo che sotterra il suo talento non penserebbe mai di sotterrarlo, ma andrebbe subito a impiegarlo.
I talenti della parabola non sono cose di fronte alle quali i servi dicevano: «Magari potessi avere anche un solo talento!», altrimenti il servo, ricevendolo finalmente dal padrone, farebbe salti di gioia e non andrebbe a fare una buca nel terreno per nasconderlo (v. 18).
 

Ma anche gli altri servi, che al momento del ritorno del padrone sono così liberi di rimettere nelle sue mani tutto quello che avevano guadagnato, mi fanno pensare che si tratta di cose che essi non ritengono un possesso personale e irrinunciabile.

Nella parabola non si nota tristezza nel restituire al padrone.
È come se di quei talenti ciascuno continuasse a pensare di poterne fare a meno.
È come quando la gente mi cerca e mi chiede un aiuto e io lo faccio, cosciente che avrebbe potuto farlo chiunque, senza bisogno di un talento particolare. E anche un «Grazie!» mi sembra di troppo.
 
E se quei talenti fossero quei doni che ricevo da Dio, dal prossimo, dalla mia storia personale, dalla società, dalle esperienze,... ma che non sento come miei e forse non riesco nemmeno a capire a cosa potrebbero servirmi? Perché sono convinto che per le cose che desidero fare o che mi trovo a fare, avrei bisogno del talento che ha X o Y o Z ma che sento di non avere io...
Eppure in questo presente e in questa situazione mi ci trovo io e non X, Y, Z!
 
Forse è in questo presente e in questa situazione che devo stare con i talenti che ho, o che mi sono stati dati, e andare a impiegarli là dove il presente mi fa capire che servono o dove mi vengono richiesti, senza passare il tempo ad aspettare che arrivino i talenti "giusti" per quello che devo fare o per quello che voglio fare.
 
Proprio stasera mi sono accorto che la felicità la incontro mettendo tutto al servizio e non aspettando i talenti "giusti" per essere felice!

martedì 25 marzo 2025

La cosa più bella

 

Gli educatori dell'ACR in Avvento e in Quaresima propongono sempre un altare "parlante" che, di settimana in settimana, si arricchisce di segni e domande.

Quest'anno c'è un grande specchio intitolato "Rifiorire da Te" e chi si ferma è invitato a "guardarsi dentro" a partire dallo sguardo misericordioso di Dio.
 
Questa settimana sullo specchio è apparsa una domanda: "Qual è una cosa bella che Dio ha messo in me?".
 
Una bambina oggi pomeriggio s'è fermata un po' di tempo in chiesa con il suo babbo e i suoi nonni.
A un certo punto ha chiesto: "Che cosa c'è scritto sullo specchio?".
E il babbo glielo ha letto: "Qual è una cosa bella che Dio ha messo in te?".
Lei ci ha pensato un attimo e poi tutta contenta: "L'amore! L'amore è la cosa più bella!".

venerdì 21 marzo 2025

Il Vangelo, il gatto e io…

Qualche giorno fa, ho creato nella mia camera un piccolo spazio per la lettura del Vangelo: c’è una lampada, il Messale quotidiano con le letture del giorno, un piccolo quaderno e una penna. Questo angolo della preghiera sta vicino al comò e fin dal primo giorno ho notato che la vicinanza del comò agevolava le ispezioni del gatto Tom, che vedeva lo spostamento di piccoli mobili nella stanza ma non capiva che cosa stavo preparando. Poi ha iniziato a vedere che mi fermavo davanti al mobiletto per qualche minuto ogni mattina e ha deciso di mettersi anche lui accanto a me a guardare dove guardavo io.

Così adesso ogni mattina siamo in due davanti al Vangelo del giorno…

La cosa mi ha fatto sorridere, ma poi mi sono venute in mente le parole del Papa allo stadio di San Siro: «I bambini ci guardano. […] I bambini conoscono le nostre gioie, le nostre tristezze e preoccupazioni. Riescono a captare tutto, si accorgono di tutto e, dato che sono molto, molto intuitivi, ricavano le loro conclusioni e i loro insegnamenti. Sanno quando facciamo loro delle trappole e quando no. Lo sanno. Sono furbissimi. Perciò, una delle prime cose che vi direi è: abbiate cura di loro, abbiate cura del loro cuore, della loro gioia, della loro speranza. Gli “occhietti” dei vostri figli via via memorizzano e leggono con il cuore come la fede è una delle migliori eredità che avete ricevuto dai vostri genitori e dai vostri avi. Se ne accorgono. E se voi date la fede e la vivete bene, c’è la trasmissione» (Milano, 25/03/2017).

E mi sono detto: un bambino che vede i suoi genitori ogni mattina fermarsi in preghiera sempre nello stesso luogo della casa, magari davanti al Crocifisso o davanti a una icona, un bambino che vede i suoi genitori fermarsi a leggere il Vangelo ogni mattina, non maturerà una curiosità verso questa bella abitudine dei suoi genitori?

Il gatto, curioso, in mia assenza s’è buttato sul Messale quotidiano, probabilmente attirato dai laccetti che fanno da segnalibro, e ci è entrato proprio dentro: la sera ho ritrovato la pagina graffiata e un po’ stropicciata, chiara prova della sua incursione. Non ha mai considerato quel libro, non ci ha mai fatto caso, finché non mi ha visto lì davanti due o tre volte al giorno.


Non accadrà lo stesso anche al bambino?

Non sarà curioso di capire cosa ci trovano i suoi genitori in quel Vangelo mattutino?
Non si metterà anche lui a pregare con loro? 

I bambini ci guardano!

mercoledì 19 marzo 2025

Ritroviamoci “cittadini”


Ho l'impressione che la città, la famiglia e qualsiasi comunità (anche parrocchiale) stia "patendo" lo stile del consumismo. È come se quella parte di noi che si chiama "consumatore" stesse prendendo il sopravvento su tutta la nostra persona, per cui tendiamo a comportarci da "consumatori" in ogni situazione e per tutta la giornata (nel sonno, per fortuna, ancora no).
Ma uno stile da "consumatore" è nocivo per qualsiasi comunità, anche per quella composta da due persone, perché il "consumatore" è potenzialmente insaziabile.
 
Una parrocchia vissuta da "consumatori" è una parrocchia destinata a morire.
Una città vissuta da "consumatori" è una città destinata a morire.
Una famiglia vissuta da "consumatori" è una famiglia in cui i componenti sono costantemente a rischio di estinzione.
Una società civile vissuta da "consumatori" rischia di essere regolata dalla legge del più forte o del più potente, che spesso è anche il più prepotente,...

I "consumatori" consumano e si consumano.

Vedo la parrocchia "patire" il consumismo, ma poi guardo la città e mi accorgo che anche la città "patisce" questa deriva in cui i valori progressivamente svaniscono e conta solo il potere, il soldo, la forza.
E a volte sono tentato di pensare che il problema sia delle cose che ci sono in giro: smartphone, social, negozi, spot pubblicitari, attrazioni, influencer,...

Ma poi mi guardo dentro e mi ricordo che ho una coscienza, una buona coscienza, una capacità di valutazione e riflessione, un discernimento e che tutto questo è cresciuto in me, grazie all'incontro con persone belle, buone, giuste, persone che hanno seminato il bene, persone oneste, che quando sbagliavano, sapevano riconoscere l’errore, chiedevano scusa e cercavano di rimediare, di correggere,... Tutto questo è cresciuto in me grazie alla famiglia, alla Chiesa, alla scuola, all’Università Cattolica, al Seminario, alle città in cui sono cresciuto (Grottammare e San Benedetto) e alle città in cui ho abitato (Milano, Seveso, Venegono, Ripatransone).

E allora penso che la colpa non è di quello che la strada e lo smartphone mi offrono, ma di dove OGGI scelgo di guardare, di fissare la mia attenzione, di donare il mio tempo! Perché è vero che per le strade ci sono tante cose cattive e tanti esempi negativi e tante cose che distraggono, ma in queste stesse strade c'è la Caritas, ci sono le parrocchie e gli oratori, i gruppi di volontariato, il Laboratorio di frontiera, l'Unitalsi, La Fabbrica dei fiori, Casa Lella, i Circoli culturali, c'è la biblioteca comunale, il Comune, On the road, ci sono ONLUS e tante associazioni di volontariato, ci sono la Croce Rossa, Verde, Gialla, Azzurra, ci sono l’Avis e l’Aido,... c’è il servizio civile, ci sono corsi di teatro, ludoteche, musei, scuole, centri diurni, comitati di quartiere, parchi, case famiglia,... ci sono i Santi e perfino i nomi delle vie a ricordarmi il bene che posso compiere nei giorni di questa vita!
E io, camminando per strada, posso vederle tutte queste attività e incontrare tutte queste persone, posso apprezzarle e godermele perché il servizio che svolgono è prezioso, luminoso! Posso addirittura unirmi a loro e collaborare! Posso addirittura sentirmi ed essere “cittadino”!

Però queste sono tutte attività che non c’entrano nulla col consumismo!

Se mi dedico al volontariato, non faccio carriera, non guadagno soldi, non fatico per me, ma sempre per il bene di qualcun altro.
Per questo credo che essere “cittadino” non si concilia con l'essere "consumatore".
Il cittadino non è un consumatore di città, di suolo, di spazi, di ambienti, di situazioni, di persone,...
Il cittadino è altruista, il cittadino pensa al bene comune, non ai propri interessi.

“Consumatori” possiamo esserlo nel tempo in cui acquistiamo qualcosa al bar, nei centri commerciali, nelle discoteche, nei pub, nei negozi, negli esercizi commerciali, nei ristoranti,... naturalmente nel pieno rispetto delle leggi e del prossimo. Ma per tutto il resto del tempo, conviene che non ci facciamo inquinare dal consumismo e rimaniamo “cittadini” a tutti i costi!

Conviene che ogni giorno troviamo il tempo per il volontariato, per il sociale, per qualcosa che è gratis come guardare un paesaggio, per fare una gita, per andare a trovare un ammalato,... per ascoltare un Nonno, per andare a salutarlo; conviene che ogni giorno troviamo il tempo per "gustare" tutto questo “gratuito” e sentirci ristorati.
Altrimenti continueremo ad avere solo il tempo per rammaricarci di non avere tempo, o per "rincorrere" obiettivi spostati sempre più in alto e tutto questo farà germogliare e crescere in noi la frustrazione e la tentazione di cercare consolazione nelle dipendenze (gioco d'azzardo, alcol, droghe, sesso) o di sfogare la rabbia con parole e gesti violenti.

Rimaniamo “cittadini” che partecipano alla vita della città, alle sue gioie e ai suoi dolori, mettendoci al servizio. Altrimenti la città diventerà un dormitorio, la casa una tana, il gruppo di amici un branco, la notte un’occasione propizia per fare il male, le cose e le persone prede.

Ritroviamoci "cittadini" che sentono la comunità,

“cittadini” che vivono la città,
"cittadini" che amano la città,
"cittadini" che cercano e fanno il bene comune e non consumano cose e persone, ma se ne prendono cura!

lunedì 17 marzo 2025

Patroclo, Ettore, Achille,… Cristoforo


Patroclo, Ettore, Achille,... Cristoforo,... un attimo prima pieni di vigore nella lotta e poi a terra, abbandonati dalla vita, vuoti, immobili, gli occhi morti, spenti per sempre.
Nei film quando uno cade raramente ci si sofferma sulla tragedia di quel cadere e di quel non potersi più rialzare, si passa subito alla scena successiva, così le gesta del più forte fanno dimenticare chi è rimasto steso sull'asfalto e il bottino conquistato sembra giustificare e "pagare" la morte seminata...
E forse più di qualche bambino (perché abbiamo quindici, sedici, venti, quarantadue, cinquanta, ottant'anni, ma siamo sempre bambini) rimane conquistato da quegli atti di forza in battaglia,... e pensa che si possa andare avanti così, che si possa vivere così, crescere così.
Pensa che si possa stare in piedi per sempre...
Ma Lodovico ha visto cadere Cristoforo e non rialzarsi più. E quella lite, scoppiata per un banale diritto di precedenza, è costata la vita a due uomini. E questo gli rimane negli occhi: non la vittoria, non la vita salvata, non la supremazia conquistata, ma quei due corpi rimasti a terra, quelle vite spezzate.
 
Così oggi, qui a San Benedetto, nella confusione delle lingue, delle mani e dei piedi che s'affannano a giudicare, a invocare condanne e repressioni, a scrivere soluzioni, a incolpare questo e quell'altro,... il mio sguardo resta fisso su quella terra, bagnata di sangue per l'ennesima volta e sulla rigidità di quel corpo, vinto per sempre dalla forza di gravità. 
          E penso a questo istante, che per me potrebbe essere l'ultimo, a come scelgo di viverlo e alla possibilità che ho, come Lodovico, di disarmarmi volontariamente, prima che sia una morte qualunque a farlo.

mercoledì 5 marzo 2025

Il bene che mi viene incontro



          Ieri pomeriggio ho visto due ragazzini uscire di casa con un pallone sottobraccio e il primo pensiero che m’è venuto è stato: «Chissà dove andranno a fare danni?».
Subito mi sono ripreso: «Ma che vai a pensare? Sono solo due ragazzini. Vanno a giocare!».
E non c’era davvero motivo di pensar male: era la prima volta che li vedevo e avevano un’aria tranquilla e amichevole. Eppure il primo pensiero è stato questo.
Come mi s’è inquinato lo sguardo e il sentimento al punto da non vedere nei bambini una speranza ma una potenziale minaccia?

Me lo sono chiesto e continuo a chiedermelo.

Probabilmente è l’influenza di quello che vedo e sento tutti i giorni nelle strade o nei telegiornali. Episodi reali che mi spingono poi a pensare che quasi tutti siano animati da cattivi sentimenti o potenziali teppisti.

 
È stato salutare quel campanello d’allarme: «Com’è il mio sguardo verso l’altro?». Non lo conosco, ma già parto col sospetto o con la paura di quello che potrebbe fare, o essere. E m’accorgo che questo modo di vedere e pensare danneggia la speranza e aumenta la mia tristezza e il mio malumore.
 
Qualche giorno fa, ho celebrato il funerale di una signora novantottenne e la prima lettura terminava con il versetto «grazia e misericordia sono per i suoi eletti» (Sap 3, 9). “Eletto” vuol dire amato, e amato è ogni uomo – questo credo come cristiano («Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini, che egli ama» Lc 2, 14).
«Grazia e misericordia sono per i suoi eletti», vuol dire che grazia e misericordia mi sono donate da Dio che mi ama. Me ne accorgo sempre? Dalla mattina alla sera cerco grazia e misericordia? Mi nutro di grazia e misericordia? Mi alleno a riconoscere quanta più grazia e misericordia possibile?
E da lì, non so perché, m’ha trafitto un pensiero legato alle ultime ore della defunta: «Chissà quale sarà stato l’ultima cosa o l’ultima persona su cui si è posato il suo sguardo prima di andare in Paradiso? Per chi sarà stato il suo ultimo pensiero? A chi avrà rivolto la sua ultima parola? E quale sarà stata?».
 
Ma l’ultimo sguardo, l’ultimo pensiero, l’ultima parola, l’ultima carezza, l’ultimo bacio,… può essere ogni sguardo, ogni pensiero, ogni parola, ogni carezza, ogni abbraccio, ogni bacio,… Come faccio a sapere quale sarà l’ultimo? L’ultimo potrebbe anche essere il primo!
 
          E allora oggi, Signore, in questo primo giorno di Quaresima, ti chiedo la grazia di uno sguardo nuovo che s’accorga e goda del bene che gli viene incontro: «Rendimi la gioia della tua salvezza, sostieni in me un animo generoso» (Salmo 50, 14).

martedì 4 marzo 2025

Primo


«Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi»

(Mc 10, 31)
 
Chissà perché stamattina quando Gesù mi ha detto queste parole ho ripensato al mio Battesimo, avvenuto nella chiesa di San Martino, poche settimane dopo la mia nascita, ad opera del nostro parroco don Pietro.
Forse perché proprio grazie al Battesimo, faccio parte dei “Suoi” fin da quei primi giorni di vita.
E come per la “prima confessione”, la “prima comunione”, la “prima messa”, immagino che anche quel giorno ero piccino piccino, ma tutto pieno di gioia e meraviglia, come quel bambino che ho battezzato Domenica ed è rimasto a guardare incantato la “luce di Cristo”, che il suo padrino aveva acceso dal cero pasquale.
Essere “primo” vuol dire essere lì da più tempo di altri. Vuol dire sapere già come funzionano o come vanno certe cose e saper prevedere come funzioneranno o andranno in futuro.
Essere “primo” vuol dire abituarsi alla ripetizione e forse, a un certo punto, dare per scontato che continuerà tutto così, tale e quale nei secoli dei secoli.
Essere “primo” è non vedere più la salvezza che un giorno mi è stata donata e quindi rassegnarmi a non provare più l’incontenibile gioia e gratitudine vissuta quel giorno o affannarmi nella ricerca del sensazionale per potermi meravigliare ancora dell’amore e della bontà di Dio.
Nel primo caso (rassegnazione) Gesù diventa un maestro come tanti altri e nella mia vita la Sua presenza viva, col passare del tempo, non fa più alcuna differenza, tanto che mi metto a cercare la felicità nel possesso delle cose e delle persone o nel ricordo nostalgico dei “bei tempi”.
Nel secondo caso (ricerca affannosa del sensazionale) per incontrare Gesù ho bisogno di uno o più “special one” che siano bravi a farmi vedere, toccare, sentire Gesù. Perciò è tutto un correre da un luogo all’altro e da un effetto speciale all’altro perché solo così posso sentire l’emozione della presenza viva di Gesù…
 
… e più mi rassegno o mi affanno, e più mi ritrovo “ultimo”.
 
          Stamattina, però, sento che è una grazia anche questa di ritrovarmi “ultimo” e riscoprire, dalle parole dell’ultimo arrivato o del più piccolo, la grazia straordinaria che m’è capitata in quel primo giorno da cristiano e che mi capita ogni giorno perché da quel primo momento in poi è stato tutto una comunione con Cristo «in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10, 30).

giovedì 27 febbraio 2025

Paradiso per fragili

I consigli dei “sani” al Papa (che poi a me pare che il sano sia il Papa e noi tutti ammalati), le sTrumpalate raccolte e amplificate dai superuomini di oggi, piccoli piccoli ma tanto pericolosi come i superuomini di ieri, le notizie di violenza, guerre, soprusi, ingiustizie, le uccisioni di bambini, donne, uomini, gli abissi dove sprofondano i poveri, ma anche la classe media, la schiavitù e la tratta di donne e uomini, la fame che uccide come la guerra, … mi viene il mal di pancia la mattina e non so se è ansia, inquietudine, rimorso, paura, rabbia, indignazione, insofferenza,… o semplicemente la mia umanità (o divinità, visto che siamo a immagine e somiglianza di Dio) che si ribella e non vuole tacere.
 
Stamattina ho preso un caffè con Osvaldo Soriano e poi sono sceso a celebrare la messa delle 7.00 e ho fatto colazione con Siracide, Salmo 1 e Vangelo di Marco e mi sono ritrovato a fare la comunione finalmente in pace, in santa pace perché ho visto chi devo seguire e guardare, ho visto dove e come devo stare!
 
Cominciamo con Soriano:
«Domenica [don Salvatore] era triste perché era morto Borges, che aveva i suoi stessi anni. Lui non lo aveva mai letto, ma sapeva che era uno scrittore di genio e un uomo molto popolare.
– Di quella gente che pensa con la testa, – mi disse.
Poi mi chiese se era difficile il mestiere dello scrittore e a che diavolo servisse. Me l'avevano già chiesto altre volte, di modo che me l'ero potuta cavare spiegandogli che non serve a niente, ma che forse lui non sarebbe stato com'era, un tipo seduto per sempre, se non fosse esistito qualcuno che avesse dato un senso alla sua ribellione.
– No, quale ribellione, - mi disse, guardando a terra, – così si sta meglio. È la posizione per aspettare, mangiare, parlare con i bambini. C'è qualcosa di più interessante di questo?» (Osvaldo Soriano, Futbol. Storie di calcio, Einaudi)
 
E subito ho pensato al Papa, al primo Papa, chiamato a essere Papa dopo una vita trascorsa a rimanere dietro a Gesù e a rinnegarlo volta per volta, volta dopo volta,… un Papa fragile, Pietro e ben cosciente della sua fragilità. Scelto a essere Papa non nel pieno dell’entusiasmo per l’ennesima pesca miracolosa (153 grossi pesci), ma nel ricordo e nella coscienza dolorosa della sua povertà: «Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”, e gli disse: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”» (Gv 21, 17). Dunque, non nel pieno della forza, ma quando è forte la coscienza della propria debolezza: «Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”» (Gv 21, 18).
È che a me questo «tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» continua a spaventarmi, continua a sembrarmi un impedimento insormontabile e invece si tratta di ascoltare Gesù che mi dice ancora una volta: «Seguimi» (Gv 21, 19). Seguimi e non fantasticare di una tua forza, di una tua potenza, di un tuo saper fare,…
Pietro, Gian Luca,… fidati di me!
 
Papa Giovanni si contraddistinse per la bontà, Papa Paolo VI per aver vissuto con mitezza, sapienza e fiducia in anni di “rivoluzioni e violenze”, Papa Giovanni Paolo I ci è rimasto impresso per la sua dolcezza e anche per la sua morte improvvisa, Papa Giovanni Paolo II per la sua forza d’animo, anche nella malattia: Totus tuus, Papa Benedetto per la limpidezza della sua fede, per la sua grandezza intellettuale e per l’umiltà testimoniata fino alla sua morte, Papa Francesco per questo suo andare e invitarci ad andare con Cristo e con lui, poveri tra i più poveri, tra gli scartati, tra i dimenticati e andarci perché lì è la gioia piena del Vangelo, lì è Gesù risorto con loro e con noi, se accettiamo di vivere poveri come Lui.
E se Dio, attraverso il Papa, mi stesse mostrando che riconoscendomi fragile tra fragili, povero tra poveri "si sta meglio"? "È la posizione per aspettare, mangiare, parlare con i bambini. C'è qualcosa di più interessante di questo?" (Osvaldo Soriano).
 
E il Siracide, a colazione, mi ammonisce: «Non confidare nelle tue ricchezze e non dire: “Basto a me stesso”. Non seguire il tuo istinto e la tua forza, assecondando le passioni del tuo cuore. […] Non essere troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato…» (da Siracide 5, 1-10, prima lettura della messa di oggi).

Parole di deboli che vogliono mettersi al sicuro limitando e bloccando la potenza dei forti, direbbe Nietzsche e con lui tutti i superuomini di ieri e di oggi che queste parole se le gettano alle spalle e si vantano di esserne al di sopra: «Ho peccato, e che cosa mi è successo?» (sempre dalla prima lettura di oggi). E calpestano donne e uomini, vicini e lontani, compaesani e stranieri: perché si comincia sempre con gli estranei, ma poi s’arriva a eliminare pure i familiari: “Basto a me stesso”. Ed è terribile! Ed è capitato in ogni epoca storica e in ogni regime, di qualsiasi colore politico.

Parole di Dio e di uomini belli, dico invece da credente che ha fatto esperienza della pace e della gioia, della beatitudine e della felicità di vivere e veder vivere così: nel rispetto della dignità dell’altro, nel prendersi cura del bene comune, nel cercare e fare il bene perché tutti stiano bene, nell’essere in comunione con Dio e col prossimo, nel riconoscerci tutti fratelli e avere a cuore il destino di ognuno. Questo sta a cuore a Dio: che io non mi perda nei miei egoismi, cercando la felicità dove essa non è e non potrà mai essere!

 
E poi le parole del salmo che mi dicono dove e come stare, che posizione prendere: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte» (Salmo 1). È la legge del Signore a farmi uomo, perché è Lui che mi ha creato e mi ha fatto a Sua immagine e il Signore è misericordioso, il Signore va al passo del più lento.
Immaginare Dio che va a velocità supersonica, tutto preso a raggiungere l’obiettivo tanto da non fermarsi a salutare un poveretto, è una bestemmia! E sto male e faccio male proprio perché mi immagino di dover essere così, perfetto esecutore di un programma, veloce, velocissimo, onnipotente, onnipotentissimo… E intanto soffrono e muoiono tutti quelli che sorpasso, tutti quelli che scarto…
 
E infine il Vangelo di Marco che mi invita a porre rimedio a questo mio delirio d’onnipotenza decidendo di procedere con una mano sola, con un piede solo e con un occhio solo per essere sicuro di andare al passo giusto per entrare nel regno di Dio (da Mc 9, 41-50, Vangelo della Messa di oggi), perché solo i poveri, i bambini, i piccoli, gli scarti, gli inutili, i non guardati, gli ultimi entreranno nel regno di Dio.
 
        Chissà dunque dove stiamo correndo noi “sani” e sempre più “sTrumpalati”?
 
        Spero che non stiamo puntando a Marte, ma che, in comunione con Cristo, coi Papi e coi Santi, fragili tra fragili, puntiamo al Paradiso!

domenica 23 febbraio 2025

«Parla senza stancarti, don Camillo,…»

«Gesù» disse don Camillo al Cristo Crocifisso dell’altar maggiore «perché continuare a parlare se nessuno mi ascolta?»

Don Camillo era pieno di amarezza e il Cristo gli sussurrò parole di conforto.

«No, don Camillo: non è vero che nessuno ti ascolti. Quando tu, dall’altare o dal pulpito, parli, tutti sono attenti alle tue parole. Molti non le intendono ma non importa: l’importante è che il seme della parola di Dio si deponga nei loro cervelli. Un giorno, improvvisamente, dopo un mese o un anno o dieci anni, chi ha ascoltato la Parola di Dio senza intenderne il significato, ecco che riudrà risuonarsi all’orecchio quella parola e non sarà più una semplice parola ma un monito. Rappresenterà essa la soluzione di un angoscioso problema, rappresenterà un bagliore di luce nella tenebra, un sorso d’acqua fresca nella sete. L’importante è che essi ascoltino la Parola di Dio: un giorno chi l’ha ascoltata senza intenderla si accorgerà che essa è diventata un concetto. Parla senza stancarti, don Camillo, metti nelle tue parole tutta la tua fede, tutta la tua disperata volontà di bene. Spargi con mano generosa e mai stanca quel seme che un giorno fruttificherà anche nel terreno più arido. Dovunque è un cervello c’è una possibilità di ragionamento. Parla e accontentati che tutti ti ascoltino» (Giovanni Guareschi, Tutto Don Camillo, vol. I, BUR, p. 718).

* Dedicato al Papa e a tutte le persone che nella mia vita non si sono mai stancate di seminare la Parola di Dio!

martedì 11 febbraio 2025

Il miracolo di Lourdes


Qualche giorno fa, incontrando due fidanzati che si stanno preparando al matrimonio, ho ascoltato una piccola sintesi della loro vita e tutti e due hanno detto che si sono sentiti accompagnati e cresciuti dalla Chiesa fin dalla loro infanzia e che sono pieni di gratitudine per quanto hanno ricevuto.
 
Mentre li ascoltavo, pieno di stupore, ripensavo a come quelle parole erano vere anche per me, perché avevo fatto la loro stessa esperienza!
 
Quando ho incontrato quei due giovani, mancava ancora qualche giorno alla festa della Madonna di Lourdes e m'è tornata in mente proprio quella Messa che si celebra in Cattedrale a San Benedetto e che tutti gli anni vedeva me e i miei fratelli impegnati con altri amici nel servizio come chierichetti.
 
È una Messa che se ci vai una volta, vuoi tornarci tutti gli anni perché vedi brillare la luminosa fraternità che lega indissolubilmente le membra del Corpo di Cristo.
 
È un vero e proprio miracolo!
E ti senti custodito e in pace come a Lourdes!
 
Tra i tanti volti, ricordo in modo particolare quello di un uomo che tutti chiamavano Babbà. Ogni anno con la sua tunica bianca veniva sull'altare insieme a noi per servire la Messa; non riusciva a parlare, ma col sorriso e l'espressione del volto diceva la gioia d'essere amico di Dio e amico di tutti!
 
Dopo la comunione, si spegnevano tutte le luci e s'accendevano le candele, come a Lourdes, e il canto dell'Ave Maria ti portava una pace e una speranza tali che uscivi dalla Chiesa leggero e lieto, pronto a servire chiunque avessi incontrato!
 
La Chiesa mi ha davvero insegnato tutto e me l'ha insegnato nella partecipazione alla Messa, nella comunione e nella carità che tutti ci lega a Cristo e tra noi!
 
Buona festa della Madonna di Lourdes!

lunedì 6 gennaio 2025

6 gennaio

«“Nonno,” disse Kosmàs prendendo la mano del vecchio. “Hai vissuto come il grande albero, sferzato dai temporali, hai provato gioie e dolori, hai lavorato cent’anni. Come ti è sembrata la vita, nonno, in questi cento anni?”

“Come un bicchiere d’acqua fresca,” rispose il vecchio» (Nikos Kazantzakis, La sublime ascesa, Crocetti editore).
 
Stamattina, leggendo queste righe, impossibile per me non ripensare a Nonno Giuseppe che offriva a tutti quelli che lo andavano a trovare nel suo magazzino davanti alla Capitaneria di porto un bel bicchiere d’acqua fresca e un po’ di ristoro all’ombra di quel grande albero dalle foglie larghe che sorge proprio lì davanti.
 
Impossibile non ripensare ai suoi cent’anni e a quelle parole che ci diceva mentre sorridendo guardava sua moglie, Nonna Luce, e tutti noi:
«Com’è bella la vita!».

venerdì 3 gennaio 2025

Questo comanda la pace

«Come opera la pace nella presente incertezza di questa regione, in questo nostro mortale pellegrinaggio, quando nessuno è completamente svelato all’altro e nessuno scorge l’intimità (cor) del prossimo? Come opera la pace? Non giudica ciò che è incerto, non afferma ciò che non conosce; nei riguardi altrui è più incline a pensar bene che a sospettare il male. Non gli importa molto sbagliare, quando pensa bene anche di chi è cattivo; giudica pernicioso pensar male di chi forse è buono. Non so com’è quel tale; ma che cosa perdo a pensare che è buono? Nell’incertezza, puoi usare cautela, perché potrebbe essere vero; ma non condannarlo come se fosse vero. Questo comanda la pace. «Cerca la pace e seguila» (Sal 34,15)» (S. Agostino, Enar. in Ps. 147,16).

mercoledì 1 gennaio 2025

1 gennaio 2025


«I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2, 17)
 
Vedere Gesù AVRÀ FATTO EFFETTO ai pastori che erano andati a Betlemme.
Vedere Gesù FA SEMPRE EFFETTO!!!
 
Ogni volta che andiamo a vedere Gesù, Egli ci salva.
Ogni volta che andiamo a vedere Gesù, Egli ci benedice.
Ogni volta che andiamo a vedere Gesù, Egli fa splendere il Suo volto su di noi.
 
Ma QUESTO EFFETTO è perché SI CONOSCA SULLA TERRA LA SUA VIA.
Ma QUESTO EFFETTO è perché SI CONOSCA LA SUA SALVEZZA FRA TUTTE LE GENTI.
Ma QUESTO EFFETTO è perché SI CONOSCA LA SUA COMUNIONE D’AMORE E CI SIA PACE FRA TUTTE LE GENTI E FRA TUTTI I POPOLI!!!
 
Abbiamo udito e visto Dio AVER PIETÀ DI NOI.
Abbiamo udito e visto Dio BENEDIRCI.
Abbiamo udito e visto Dio RIVELARCI IL SUO AMORE, LA SUA MISERICORDIA.
Abbiamo udito e visto Dio RIVELARCI LA SUA SAPIENZA NELL’UMILTÀ E NELLA MITEZZA: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29).
Abbiamo udito e visto Dio SALVARCI con amore senza condizioni e senza misura.
 
Aver visto Gesù CI HA FATTO EFFETTO:
abbiamo sentito ammorbidirsi il nostro cuore,
abbiamo respirato un’aria di pace,
ci siamo sentiti custoditi, difesi, accolti, ascoltati, perdonati, amati.
 
Aver visto Gesù CI HA FATTO EFFETTO:
abbiamo visto rasserenarsi il volto di chi era con noi,
abbiamo visto e sentito rinascere in noi la speranza,

abbiamo ripreso a camminare senza paura, certi del Suo sguardo di BUON PASTORE, certi del Suo essere qui con noi solo e soltanto per SALVARCI!

 
Aver visto Gesù, oggi e in ognuno dei nostri giorni, CI HA FATTO EFFETTO:
Egli ha fatto risplendere il Suo volto su di noi

e noi, Suo popolo, facciamo e faremo conoscere la Sua salvezza a tutte le genti!!!

 
«Ti benedica il Signore e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il Suo volto e ti conceda pace» (Nm 6, 24-26).