Due
parole che non sono solito vedere accostate, se non nel Vangelo o in qualche
commento al Vangelo: “regno” e “cieli”.
Due
parole che Gesù fonde indicandole come unica realtà per cui valga la pena
vivere: addirittura Gesù rivela che tutti gli averi dell’uomo servono
unicamente per acquistare il campo che contiene il tesoro o per acquistare la
perla preziosa (vv. 44 e 46).
Eppure
nella mia mente le due parole accostate costituiscono un problema: rompono il
mondo. Lo fanno a pezzi e così vengono alla luce Dio e il Regno di Dio!
Quando
sento la parola “regno” mi vengono in mente corone, scettri, armature,
castelli, poteri, confini, mura, eserciti, guerre di difesa e di conquista,
cospirazioni, giochi di potere, alleanze, inimicizie, lotte, intrighi di corte,
carestie, morti, …
I
“cieli”, invece, non hanno confini, non hanno territori, non posso recintarli,
non posso costruirci mura o scavare fossati, non posso calpestarli, non posso
percorrerli tutti e dominarli, … I “cieli” sono di tutti, sono aperti, profondi, sembrano senza limiti.
È
un regno del tutto nuovo il Regno dei cieli.
Un
regno che non posso possedere, un regno in cui sono immerso dalla pianta dei
piedi in su e, tuttavia, se stringo i pugni per prenderlo, non ne resta neanche
un po’ nelle mie mani.
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