Quando siamo
tristi, esprimiamo la convinzione che qualcosa non ci dovrebbe essere, che
desideriamo che non ci sia. È quindi una specie di odio. Ma il cristiano deve
odiare, come unico vero male, il peccato. Se, al contrario, ci assale la
tristezza per la vita come tale, per la compagnia degli altri, per il fatto che
siamo soli, ecc., allora c’è sempre qualche mancanza di fede nella Provvidenza
di Dio e nella sua opera. La tristezza è pericolosa. Paralizza il coraggio di
proseguire nel lavoro, nella preghiera, ci rende antipatici i nostri vicini.
Gli autori monastici, che dedicano una lunga descrizione a questo vizio, lo
chiamano il nemico peggiore della vita spirituale.
Ci sono diversi tipi di tristezza. Uno di essi è
vizioso sin dall’inizio: è la tristezza per il bene di cui gode un altro uomo.
Tale tipo di tristezza si può definire anche invidia. Secondo san Giovanni
Crisostomo, l’invidioso è peggiore dell’avaro. Infatti, se quest’ultimo si
accontenta di quanto ha, l’invidioso si affatica affinché gli altri non
possiedano niente: «Lui stesso forse non si alza perché è pigro, ma è capace di
saltare per far cadere l’altro che sta in piedi». Se è vero che spesso si
vivono sottili sentimenti di dispiacere quando un altro ha successo, bisogna
stare attenti e impegnarsi con un po’ di buona volontà per non cedere ad essi.
[T. Spidlìk, L’arte di purificare il
cuore]
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