C’è voluto un
po’ di tempo, ma alla fine è uscito il termine corretto: alla radio si parla di
diritto alla blasfemia riguardo alle
vignette finora etichettate come satiriche.
Da un lato sono
contento perché all’orecchio dell’ascoltatore non sarà sfuggita la differenza fonetica
tra blasfemia e satira; dall’altro lato, però, sono dispiaciuto per
l’accostamento di due termini che non si sposano tra loro, fanno fatica a
convivere e forse a malapena possono vedersi e salutarsi: diritto e blasfemia.
Un diritto mi fa
pensare a qualcosa di buono per la vita, a qualcosa che va garantito e difeso
fino alla morte, a qualcosa di irrinunciabile perché, senza di esso, la vita
sarebbe ferita gravemente.
La blasfemia,
invece, mi fa pensare alle bestemmie urlate per le piazze, ad atti che si compiono
in momenti di rabbia o di disperazione e di cui poi ci si pente o ci si
vergogna, ad azioni non belle che offendono la sensibilità di chi le subisce o
vi assiste. La blasfemia è una forma di violenza e, come tale, genera malumori
e tensioni, incattivisce, offende, non è simpatica e tantomeno può suscitare
una sana risata.
Non esiste un diritto alla blasfemia, ma esiste, e
dovrebbe essere universalmente riconosciuto, il diritto alla pace.
È attorno al
diritto alla pace che dobbiamo stringerci cristiani, musulmani, ebrei, credenti
di qualsiasi confessione religiosa e non credenti.
Il diritto alla
pace deve essere ciò che muove le nostre scelte;
il diritto alla
pace deve richiamarci al rispetto dell’altro e delle sue opinioni;
il diritto alla
pace deve suscitare in noi sentimenti di solidarietà nei confronti di chi vive
in situazioni di guerra o di terrore;
il diritto alla
pace deve farci scendere in piazza a Parigi e in tutto il mondo per manifestare
quanto è importante la libertà di parola, la libertà di ogni uomo.
Sul diritto a offendere non ci capiremo mai e
saremo sempre discordi; noi, animati da un forte desiderio di pace, scegliamo di
essere promotori del diritto a benedire
ogni uomo! [dGL]
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