Cari lettori,
non è mia
abitudine pubblicare le lettere che ricevo, ma in questo caso ho pensato di
fare un’eccezione. Come vi accorgerete subito, il messaggio proviene da un
passato remoto. Lo condivido con voi perché mi sembra sempre valido nei suoi
contenuti. Spero che l’idea non vi dispiaccia e che il testo sia edificante per
voi tutti, come lo è per me!
Caro don Gian Luca,
nell’apprestarvi ad assumere codesto nuovo incarico di
curato, affidatovi dal mio illustrissimo confratello, il reverendissimo
monsignor Carlo Bresciani, vi giungano graditi la mia benedizione e qualche
paterno consiglio che potrebbe esservi utile nell’esercizio del vostro
ministero.
Ricorderete sicuramente il giorno della vostra ordinazione,
la grazia e l’amore che il Signore infuse nel vostro cuore e quella promessa
che avete fatto di seguirlo, ovunque Egli avrebbe voluto condurvi. La via del
Vangelo reca al martirio e la vostra giovane età vi fa sinceramente desiderare
una fedeltà radicale. Questo vostro desiderio vi aiuterà a restare saldo nelle
difficoltà; ben sapete, infatti, che i doveri annessi al ministero non sono
liberi da ogni ostacolo o immuni da ogni pericolo e che la Chiesa non vi ha
fatto sicurtà della vita! Essa vi ha avvertito che vi mandava come un agnello
tra i lupi.
Vi capiterà di incontrare persone a cui potrebbe dispiacere
ciò che a voi è comandato. Quando accadrà, non perdetevi d’animo: ricordatevi
che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere. Se non crediamo in
questo, che cosa predichiamo? Di che cosa siamo maestri? Qual è la buona
notizia che annunciamo ai poveri? Un giorno non ci sarà domandato se abbiamo
saputo fare stare a dovere i potenti; ma ci sarà ben domandato se abbiamo
adoperato i mezzi a nostra disposizione per compiere la missione, anche quando
avessero voluto impedircelo.
Ora non abbiate timore: se è vero che nel vostro ministero
v’è necessario il coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, è pur vero che
c’è Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo chiediate! Vi sovvenga
l’esempio dei santi martiri. Credete voi che tutti quei milioni di martiri
avessero naturalmente coraggio? Che non facessero naturalmente nessun conto
della vita? Tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi
a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, tante donzelle, tante spose,
tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario, ed
essi confidavano.
Se amerete il vostro gregge, se riporrete in esso il vostro
cuore, le vostre cure, le vostre delizie, il coraggio non vi mancherà al
bisogno: l’amore è intrepido.
Ciò che dovete fare, figliuolo, è amare; amare e pregare.
Insieme con le dottrine, date agli altri l’esempio e non rendetevi
simile al dottor della legge, che carica gli altri di pesi che non posson
portare, e che lui non toccherebbe con un dito.
Teniamo, dunque, accese le nostre lampade e presentiamo a
Dio i nostri cuori miseri, vòti, perché Gli piaccia riempirli di quella carità,
che ripara al passato, che assicura l’avvenire, che teme e confida, piange e si
rallegra, con sapienza; che diventa in ogni caso la virtù di cui abbiamo
bisogno.
Nel salutarvi, auguro a voi e alla vostra parrocchia ogni
bene; il Buon Pastore vi guidi e vi protegga sempre!
+ Card. Federigo Borromeo,
Arcivescovo di Milano
N.B.: Il testo
della lettera si ispira ai capitoli XXV e XXVI de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Nel testo sono presenti
molte citazioni tratte dal romanzo. Non sono state messe tra virgolette perché
avrebbero svelato fin dall’inizio la finzione, ma potete facilmente ritrovarle
leggendo i due capitoli sopra indicati.
Ho composto questa lettera perché pensavo che
sarebbe stato utile raccogliere i consigli pastorali del card. Borromeo a don
Abbondio. [dGL]
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