«Venga il tuo
regno», noi preghiamo, e sia più intenso delle lacrime, e sia più bello dei
sogni di chi visse e morì nella notte per costruirlo. Un regno che è di Dio,
che è per l’uomo. Ed è come ripetere le parole del ladro pentito.
Pregare ogni
giorno: «Venga il tuo regno» significa credere che il mondo cambierà; e non per
i segni che riesco a scorgere dentro il groviglio dolente della cronaca, ma
perché Dio si è impegnato con la croce.
Dire: «Venga il tuo
regno» è affermare che la speranza è più forte dell’evidenza, l’innocenza più
forte del male, che il mondo appartiene non a chi lo possiede ma a chi lo rende
migliore.
Dire: «Venga il tuo
regno» è invocare per noi un amore di una qualità simile a quella del
Crocifisso, che muore ostinatamente amando, preoccupandosi di chi gli muore
accanto, dimenticandosi di sé.
Il regno di Dio
verrà quando nascerà, nel cuore nuovo delle creature, l’ostinazione dell’amore,
e quando questa ostinazione avanzerà dalle periferie della storia fino a occupare
il centro della città degli uomini. Solo questo capovolgerà la nostra cronaca
amara in storia finalmente sacra.
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