Caro Timoteo,
che effetto può averti fatto ricevere una lettera
dall’apostolo Paolo in cui egli ti scrive: «Venendo, portami il mantello che ho
lasciato a Troade in casa di Carpo, e i libri, soprattutto le pergamene» (2Tm
4, 13)?
Forse non ti ha fatto nessun effetto, se non quello
di andare a casa di Carpo per recuperare il mantello.
Forse, invece, ti ha aiutato a non idealizzare Paolo
e a non pensarti come su un piedistallo, irraggiungibile, privilegiato,
inarrivabile per la vocazione alla santità che hai ricevuto da Dio, per il
compito che ti ha affidato l’apostolo Paolo, e per l’amicizia di Paolo che ti
considera suo figlio: «Figlio mio,…» (2Tm 2, 1).
Così, oggi, ascoltando nella prima lettura la frase:
«Venendo, portami il mantello…», ho pensato alle necessità quotidiane
(mantello, libri, pergamene,…) che entrano nelle lettere dei Santi e restano a
testimonianza che l’evangelizzazione non è mai astratta e che gli evangelizzatori,
perfino gli apostoli, hanno bisogno di una coperta e di qualcuno che recuperi
per loro libri e pergamene.
E il fatto che, terminata la lettura, anche oggi il
lettore abbia detto: «Parola di Dio», mi ha richiamato a non essere astratto
quando predico o scrivo e a non desiderare la vita spirituale come qualcosa che
mi estranea dalla realtà, rendendomi cieco e sordo (insensibile) alle necessità
mie e del mio prossimo.
Venendo, portami il mantello…
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