Nel 2002, quando ero all'università, durante un corso di Filosofia morale,
sentii parlare per la prima volta di postmoderno e neo-paganesimo.
Per me, cresciuto nel mondo piccolo della parrocchia, erano tutte parole
nuove e mi sembrava qualcosa di incredibile. Eppure, se erano già disponibili
studi e saggi, voleva dire che la diffusione del fenomeno era già abbastanza
grande e grave.
A quei tempi la mia prima reazione è stata di totale opposizione e mi
rivedo nelle posizioni di chi oggi grida allo scandalo dopo l'esibizione di
ieri sera al festival di Sanremo.
Però dal 2002 sono passati 20 anni.
Non dovevamo pensare che il fenomeno
del postmoderno e del neopaganesimo si arrestasse di fronte ai nostri recinti
diocesani o parrocchiali.
In tutto questo tempo avremmo potuto prenderne atto e
cominciare ad attrezzarci per abitare la terra del dialogo.
La stessa Evangelii Gaudium ci chiede con forza uno
sguardo nuovo!
La gente con cui entriamo in relazione, anche dentro le nostre parrocchie,
dialoga costantemente con quel tipo di cultura e in alcuni casi la vive e la
approva.
Oggi sono convinto che se mettiamo in atto lo stile dell'opposizione, della
demonizzazione e del contrasto, è molto facile che l'altro ci percepisca come
nemici e non come evangelizzatori che hanno a cuore il suo bene.
Di fronte al neopaganesimo, occorre riscoprire lo stile di chi con il
paganesimo aveva a che fare tutti i giorni: gli Apostoli e i primi cristiani!
A
me piace la scelta di Paolo nell'Areopago di Atene: cercare un terreno comune,
un punto di intersezione su cui "seminare" l'annuncio del Vangelo
(leggi Atti 17,16-34).
Con questo non voglio
giustificare gli atteggiamenti e le performance di queste persone che,
inconsapevolmente o consapevolmente, offendono la sensibilità di tutti i
credenti, ma solo prenderli per quello che sono: espressione di un modo di
essere diverso dal mio con cui sono chiamato comunque a dialogare per
annunciare il Cristo risorto!
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