«Il “talento” anticamente era un’unità di misura molto
grande, e l’uso che spesso facciamo della parola è frutto di un’errata
interpretazione. In un passo del Vangelo di Matteo (Mt 25, 14-15) è usata per
indicare ciò che un ricco padrone, in partenza per un viaggio, affidò ai suoi
servi: diede un certo numero di talenti “a ciascuno secondo la sua capacità”.
Qui il talento non è un’abilità naturale, innata, come nella nostra
interpretazione individualistica, ma tutto ciò che ci dona la vita in base alle
nostre capacità: un bicchiere riceve tanto liquido quanto ne può contenere. Il
talento non è una sorta di ingiusta distribuzione del destino, è la parte di
mondo che possiamo accogliere e di cui possiamo prenderci cura al meglio, non
al di sotto e non al di sopra delle nostre capacità. I talenti sono le cose e
le persone che ci vengono affidate in base alla nostra abilità di portarle a
compimento. A questo sono chiamati tutti» (Alessandro D’Avenia, L’arte di
essere fragili, Mondadori).
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