L’autore della Lettera agli Ebrei
esorta: «L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni
praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,1-2).
Davanti a me si presenta per primo
Abramo (Gen 18), poi Lot (Gen 19), Tobia (Tb 5, 4-5),… infine i due discepoli
di Emmaus (Lc 24).
All’inizio penso che questi due siano
del tutto forestieri in una pagina dedicata alla quarta opera di misericordia e
allontano il pensiero cercando nella memoria altri esempi di accoglienza. Ma
non c’è niente da fare: più tento di chiudere la porta, più i due discepoli si
affacciano chiedendo di lasciarli entrare e di ascoltarli anche solo per un
momento: «Poi ce ne andremo e ti lasceremo in pace», promettono.
Non posso fare altro che fidarmi.
Entrano, si siedono e cominciano a
raccontare:
«Quel giorno eravamo in cammino verso
Emmaus, un villaggio distante circa undici chilometri da Gerusalemme e stavamo
discutendo di tutto quello che era accaduto. Si avvicinò a noi un forestiero,
uno che sembrava non essere per niente pratico del luogo: non sapeva neppure
ciò che era successo a Gerusalemme! Allora gli raccontai quello che era
successo a Gesù e gli confidai le nostre speranze deluse e poi la sconvolgente
notizia portata dalle donne che “si sono recate al mattino alla tomba e, non
avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una
visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo” (Lc 24, 22-23). Infine,
gli dissi di come alcuni dei nostri “sono andati alla tomba e hanno trovato
come avevano detto le donne, ma lui non lo hanno visto” (Lc 24, 24).
Era come se tutto questo ci oscurasse la
vista: dal momento della crocifissione non c’era più colore nelle cose intorno
a noi, non c’era più voglia di sorridere, di sperare, di camminare. Era come se
non ci fosse più gusto nelle cose che fino a quel momento erano state piene di
senso per tutti noi. Era morto Gesù e il giogo all’improvviso s’era fatto
pesante: non riuscivamo a vederlo sulle nostre strade, non riconoscevamo la sua
presenza accanto a noi. Una fredda solitudine avvolgeva i nostri cuori.
E parlarne tra noi serviva a poco: i
nostri volti tristi ne erano testimoni.
Non so perché avevamo aperto il cuore a
quel viandante incontrato sulla strada, forse perché anche lui andava verso
Emmaus e camminare insieme ci aveva reso subito compagni. Restammo un po’
meravigliati quando, dopo averci ascoltato, rispose: “Stolti e lenti di cuore a
credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo
patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26).
Ci colpirono quelle parole: sembrava che
in noi si riaccendesse qualcosa.
Ma che cosa?
I chilometri trascorsero in fretta. Il
passo s’era fatto leggero e il nostro non era, come all’inizio, un vagare
stanco; ci pareva di essere condotti per mano da qualcuno. Forse era solo
un’impressione dovuta al desiderio di tornare indietro ai giorni più belli,
quando il maestro indicava la strada e noi lo seguivamo sicuri: la sua parola
era autorevole; egli sapeva dove andare.
Quel forestiero non lo conoscevamo, ma
le sue parole avevano un effetto benefico in noi e alla fine ci ritrovammo in
due a confidarci di aver vissuto la stessa esperienza: “Non ardeva in noi il
nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?” (Lc 24, 32).
Intanto eravamo arrivati a Emmaus ed
“egli fece come se dovesse andare più lontano” (Lc 24, 28). Ma noi lo pregammo
con insistenza: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al
tramonto” (Lc 24, 29). Egli entrò per rimanere con noi.
Quando fu a tavola, prese il pane,
recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede a noi.
Allora si sono aperti i nostri occhi e
lo abbiamo riconosciuto: era Gesù!
Ma egli era sparito dalla nostra vista.
Ci restava la certezza di averlo
incontrato e la gioia di saperlo vivo e realmente presente accanto a noi. Fu la
gioia di non essere soli a rimetterci in strada perché non c’era tempo da
perdere, ma bisognava subito tornare a Gerusalemme e raccontare agli altri
quello che ci era accaduto».
Terminato il racconto, con gli occhi
sorridenti mi guardavano in attesa di una mia risonanza a quanto avevo
ascoltato. Stavo ancora pensando a come lo avevano riconosciuto nello spezzare
il pane e non risposi prontamente.
Il mio silenzio spinse Cleopa a
riprendere la parola per chiedermi: «Ma ancora non hai capito perché siamo
venuti a trovarti?».
Cominciavo a intuire qualcosa, ma
preferivo che fossero loro a esplicitare il motivo di quella visita.
Cleopa continuò: «Noi abbiamo accolto il
forestiero, gli abbiamo dato confidenza raccontandogli qualcosa di noi,
praticamente lo abbiamo fatto entrare nella nostra vita senza sapere chi fosse.
Ma in realtà, è stato lui ad accoglierci per primo: egli si è fatto prossimo e
s’è messo a camminare con noi, perché sapeva che avevamo bisogno di stare con
lui; egli ci ha lasciato parlare e poi ha condiviso con noi la sua visione di
quelle stesse cose. A noi sembravano oscure ed egli le ha rischiarate con la
sua luce, la luce del Vangelo. è
stato lui a rivedere i suoi programmi e a cedere alla nostra insistenza quando
gli abbiamo chiesto di rimanere con noi.
E, una volta seduti a tavola, quanti
ricordi si sono accesi e quante parole e gesti ci sono tornati in mente: “… chi
tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che
serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse
colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc
22, 27).
Si ripresentava alla nostra memoria
l’ultima cena e il suo gesto di lavarci i piedi con la raccomandazione di fare
noi altrettanto a ciascuno dei fratelli che avremmo incontrato. Lavare i piedi
dell’altro è un gesto di accoglienza, è il gesto di chi per amore si fa servo.
Questo il forestiero ci aveva ricordato
e insieme ci aveva rassicurato che egli avrebbe accompagnato ogni nostro passo
e, nello stesso tempo, sarebbe stato presente in ciascuno di quegli uomini e
donne a cui ci saremmo fatti prossimi.
Siamo partiti senza indugio e da quel
giorno ogni cristiano, senza indugio, sa cosa deve fare: per amore di Gesù,
accogliere, incoraggiare, rialzare, sostenere, curare ogni fratello che
incontrerà sulla sua strada.
Questo vorremmo che scrivessi ai tuoi
lettori!».
Mi guardavano soddisfatti per la
testimonianza che mi avevano offerto e furono ancora più contenti quando, pieno
di gratitudine, li invitai a restare a pranzo. Interpretarono giustamente il
mio invito come il segno che avrei scritto ciò che mi avevano suggerito.
Cari lettori, non aggiungo altro al
racconto dei due discepoli di Emmaus, solo vi chiedo di non accontentarvi di
queste parole, ma di ascoltare ogni giorno la Parola che Dio ci rivolge, attraverso
quel tesoro prezioso che non siamo costretti a chiudere in cassaforte: il
Vangelo.
Saranno l’ascolto costante della Parola
di Dio, la partecipazione attiva all’Eucaristia e l’incontro con Dio negli
altri Sacramenti ad aprire il nostro cuore perché vi trovi spazio ogni
forestiero!
don Gian Luca Rosati
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