sabato 21 marzo 2015

Pensieri

Siamo cristiani e, come tali, non possiamo prescindere dall’ascolto e dall’annuncio del Vangelo all’uomo di ogni tempo. Questa missione, a cui siamo chiamati in virtù del Battesimo, ci chiede di essere capaci di dialogo, di essere ponti gettati verso l’uomo contemporaneo.

Essere ponte non è facile: occorre tendere sempre all’unità, imparando da Gesù l’umiltà. Penso a Filippo e Andrea in Gv 12,20-26. I Greci li cercano perché vogliono vedere Gesù e si rivolgono a loro perché, avendo un nome greco, sono in grado di comprenderli. Noi cristiani dovremmo stare in mezzo alla gente per facilitare l’incontro dei non cristiani con Gesù! Per far questo, non dobbiamo separarci da tutti gli altri con recinti o barriere, né uniformarci agli usi e costumi del tempo in cui viviamo. Dobbiamo semplicemente imparare ad amare Dio e il prossimo. È l’amore, infatti, ad annullare le distanze, a vincere l’idea sbagliata che noi siamo superiori agli altri perché eletti. È l’amore che ci fa trovare il linguaggio migliore per annunciare il messaggio che ci è stato affidato!

È l’amore che deve animare le nostre riunioni pastorali: le teorie che elaboriamo sono strumenti utili, ma non si può pensare che esse riescano a spiegare la complessità del reale. Le teorie ci aiutano a studiare, ad analizzare, a leggere le situazioni, a programmare, ma ogni pastore sa che dovrà tradurle amorevolmente per le sue pecorelle. In questi anni ho vissuto esperienze di campo-scuola con giovani provenienti da diverse parrocchie. Mi sono trovato subito a dover riconoscere una diversità di stile, di pensiero, di modi di fare tra persone della stessa età che abitano nel raggio di 15 km!

A questo proposito, il sinodo diocesano è stato molto significativo. Esso ci ha fatto conoscere meglio la nostra Diocesi. Grazie alla possibilità di esprimere interventi liberi, abbiamo potuto ascoltare il pensiero e l’esperienza di tante comunità. A volte è pesante ascoltare chi non la pensa come noi; ricordo che al termine di alcune assemblee, mentre in fondo alla chiesa raccoglievo le idee, vedevo uscire le persone entusiasmate da quello che avevano vissuto.

Mi chiedevo cosa ci fosse da stare tanto allegri.

Oggi penso di averlo capito, almeno un po’: è una gioia sapere che in tanti modi differenti, tutti siamo animati dalla stessa passione per il nostro Signore Gesù Cristo. Non è poco! Credo che la sinodalità non sia un’uniforme che indossiamo per marciare compatti e invincibili, ma il riconoscersi pellegrini su una stessa strada. E il passo di chi è sinodale non è quello pesante e minaccioso dell’esercito, ma quello leggero dell’uomo di fede animato dalla letizia!

Se vogliamo recuperare un po’ di efficacia e tornare a parlare agli uomini, dobbiamo avere il coraggio di spogliarci di schemi, modelli, indicazioni, pregiudizi,… e, armati solo della Parola di Dio e della comunione con Dio e tra noi, andare a incontrare l’uomo là dove si trova. È quello che Gesù dice inviando in missione i Dodici (Mc 6,7-13).

Mi piacerebbe tanto andare a predicare portando con me l’essenziale, ma devo riconoscere che non ne sono ancora capace: mi sento più sicuro se mi corazzo per bene e affronto con le dovute precauzioni il mondo che mi sta di fronte.

Purtroppo, però, più di una volta, dopo essermi vestito della corazza, mi è capitata l’esperienza del giovane Davide: «Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e lo rivestì della corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l’armatura e cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul: “Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato”. E Davide se ne liberò. Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese ancora in mano la fionda e si avvicinò al Filisteo» (1Sam 17,38-40).

Per ridare slancio all’azione missionaria della Chiesa, mi sembra praticabile la via della fiducia. «Fede e fiducia in Dio sempre», diceva don Bosco.

È fondamentale aver fiducia in Dio, è fondamentale aver fiducia nel nostro Papa, nei Vescovi, nei preti e in ogni cristiano. Sarebbe bello che nel ragionare di missione e di pastorale, fosse superata finalmente la distinzione tra preti e laici, ripartendo da ciò che ci lega: siamo tutti cristiani. Senza dubbio c’è un servizio diverso a cui siamo chiamati, ma siamo tutti cristiani.

E, allora, impariamo a volerci bene e a stimarci a vicenda e aiutiamoci a crescere insieme, condividendo quel che il Signore ci dona di vivere.

Potremmo davvero costruire tanto insieme,
se solo cominciassimo ad avere fiducia gli uni negli altri! [dGL]

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