Siamo
cristiani
e, come tali, non possiamo prescindere dall’ascolto e dall’annuncio del Vangelo
all’uomo di ogni tempo. Questa missione, a cui siamo chiamati in virtù del
Battesimo, ci chiede di essere capaci di dialogo, di essere ponti gettati verso
l’uomo contemporaneo.
Essere
ponte
non è facile: occorre tendere sempre all’unità, imparando da Gesù l’umiltà.
Penso a Filippo e Andrea in Gv 12,20-26. I Greci li cercano perché vogliono
vedere Gesù e si rivolgono a loro perché, avendo un nome greco, sono in grado
di comprenderli. Noi cristiani dovremmo stare in mezzo alla gente per
facilitare l’incontro dei non cristiani con Gesù! Per far questo, non dobbiamo
separarci da tutti gli altri con recinti o barriere, né uniformarci agli usi e
costumi del tempo in cui viviamo. Dobbiamo
semplicemente imparare ad amare Dio e il prossimo. È l’amore, infatti, ad
annullare le distanze, a vincere l’idea sbagliata che noi siamo superiori agli
altri perché eletti. È l’amore che ci
fa trovare il linguaggio migliore per annunciare il messaggio che ci è stato affidato!
È l’amore che deve
animare le nostre riunioni pastorali: le teorie che elaboriamo sono strumenti
utili, ma non si può pensare che esse riescano a spiegare la complessità del reale.
Le teorie ci aiutano a studiare, ad analizzare, a leggere le situazioni, a
programmare, ma ogni pastore sa che dovrà tradurle amorevolmente per le sue pecorelle.
In questi anni ho vissuto esperienze di campo-scuola con giovani provenienti da
diverse parrocchie. Mi sono trovato subito a dover riconoscere una diversità di
stile, di pensiero, di modi di fare tra persone della stessa età che abitano nel
raggio di 15 km!
A questo proposito, il sinodo diocesano è stato molto
significativo. Esso ci ha fatto conoscere meglio la nostra Diocesi. Grazie alla
possibilità di esprimere interventi liberi, abbiamo potuto ascoltare il pensiero
e l’esperienza di tante comunità. A volte è pesante ascoltare chi non la pensa
come noi; ricordo che al termine di alcune assemblee, mentre in fondo alla
chiesa raccoglievo le idee, vedevo uscire le persone entusiasmate da quello che
avevano vissuto.
Mi chiedevo cosa ci fosse da stare tanto
allegri.
Oggi penso di averlo capito, almeno un
po’: è una gioia sapere che in tanti
modi differenti, tutti siamo animati dalla stessa passione per il nostro
Signore Gesù Cristo. Non è poco! Credo che la sinodalità non sia
un’uniforme che indossiamo per marciare compatti e invincibili, ma il riconoscersi
pellegrini su una stessa strada. E il passo di chi è sinodale non è quello
pesante e minaccioso dell’esercito, ma quello leggero dell’uomo di fede animato
dalla letizia!
Se vogliamo recuperare un po’ di
efficacia e tornare a parlare agli uomini, dobbiamo avere il coraggio di
spogliarci di schemi, modelli, indicazioni, pregiudizi,… e, armati solo della
Parola di Dio e della comunione con Dio e tra noi, andare a incontrare l’uomo là dove si trova. È quello che Gesù dice
inviando in missione i Dodici (Mc 6,7-13).
Mi piacerebbe tanto andare a predicare portando
con me l’essenziale, ma devo riconoscere che non ne sono ancora capace: mi
sento più sicuro se mi corazzo per bene e affronto con le dovute precauzioni il
mondo che mi sta di fronte.
Purtroppo, però, più di una volta, dopo
essermi vestito della corazza, mi è capitata
l’esperienza del giovane Davide: «Saul
rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e lo
rivestì della corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l’armatura e
cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul:
“Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato”. E Davide se
ne liberò. Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci
dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese ancora
in mano la fionda e si avvicinò al Filisteo» (1Sam 17,38-40).
Per ridare slancio all’azione
missionaria della Chiesa, mi sembra praticabile la via della fiducia. «Fede
e fiducia in Dio sempre», diceva don Bosco.
È fondamentale aver fiducia in Dio, è fondamentale
aver fiducia nel nostro Papa, nei Vescovi, nei preti e in ogni cristiano. Sarebbe
bello che nel ragionare di missione e di pastorale, fosse superata finalmente la
distinzione tra preti e laici, ripartendo da ciò che ci lega: siamo tutti
cristiani. Senza dubbio c’è un servizio
diverso a cui siamo chiamati, ma siamo tutti cristiani.
E, allora, impariamo a volerci bene e a stimarci a vicenda e aiutiamoci a
crescere insieme, condividendo quel che il Signore ci dona di vivere.
Potremmo davvero costruire tanto
insieme,
se
solo cominciassimo ad avere fiducia gli
uni negli altri! [dGL]
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