La notizia del Giubileo straordinario è
stata una sorpresa e subito il mio pensiero è andato al Giubileo del 2000 a cui
ho partecipato come chierichetto in cattedrale. Ricordo la bella esperienza
vissuta di settimana in settimana accogliendo le varie parrocchie, associazioni
e realtà ecclesiali che si succedevano nella celebrazione e animazione delle
Eucaristie domenicali presiedute dal Vescovo.
Stavolta mi troverò a vivere il Giubileo
in modo nuovo: nel frattempo, infatti, sono diventato prete e quindi sarò
chiamato a coinvolgere la comunità in un evento così grande.
Quasi senza accorgermene, comincio già a
pensare a quello che si potrà organizzare per la parrocchia, per i ragazzi
dell’acr,… Poi mi rendo conto che forse sto correndo troppo e che rischio di
vanificare l’effetto della buona notizia, preoccupandomi subito di trasmetterla,
senza farmi toccare dalla sua eccezionalità, da ciò che significa per me.
La misericordia, di cui si parla, non è
solo per i miei parrocchiani.
La misericordia è anche per me.
Se sulle prime questa idea può sembrare
scontata, gradualmente scopro che non lo è: devo accogliere la misericordia di
Dio per me e devo continuamente imparare la Sua misericordia e lasciare che
essa mi evangelizzi.
A volte vivo la tentazione dei bilanci,
delle misure, dei censimenti, delle valutazioni, delle generalizzazioni, dei
dati, … e in quei momenti mi sembra che sia giusto, appropriato, doveroso,
pastoralmente corretto,… Poi, però, la Parola di Dio, la testimonianza dei
Santi e di altri uomini mi fanno riflettere sulla vanità di tutto questo.
Oggi, per esempio, cercando su Google «un Eugenio di Puškin» per aiutare un
amico nelle parole crociate, mi sono imbattuto in una frase del poeta russo che,
in un sol colpo, ha liberato il mio campo da ogni processo alle intenzioni, da
ogni pregiudizio formulato su cose o persone: «Gli uomini giudicheranno le tue parole, le tue azioni; le tue
intenzioni le vede solo Dio». Sono parole da tenere a mente sia quando
subiamo un giudizio e in cuor nostro sappiamo che non ci si addice, sia quando
non perdiamo occasione di sputar sentenze a destra e a sinistra: solo Dio vede
il cuore (cfr. 1Sam 16,7).
La fede in Dio mi ricorda che a Lui
appartengo e che sono al suo servizio per donare gratuitamente la Sua
misericordia; essere servo di Dio non mi fa giudice del mio fratello. Dio mi
concede qualcosa di molto più grande: la possibilità di guardare il mio
fratello come lo guarda Lui: «Siate
santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2).
Il giudizio spetta soltanto a Dio.
Mi tornano in mente le parole di Daniele
al re Baldassàr: «E questo è lo scritto
tracciato: Mene, Tekel, Peres, e questa ne è l’interpretazione: Mene: Dio ha contato il tuo regno e gli ha posto fine; Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei
stato trovato insufficiente; Peres:
il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani» (Dn 5,25-28). Sono
sentenze che suonano solenni e definitive, parole che non lasciano indifferente
chi le ascolta.
Resto meravigliato leggendo la reazione
del re raccontata dalla Bibbia: «Allora,
per ordine di Baldassàr, Daniele fu vestito di porpora, ebbe una collana d’oro
al collo e con bando pubblico fu dichiarato terzo nel governo del regno. In
quella stessa notte Baldassàr, re dei Caldei, fu ucciso» (Dn 5,29-30). Non
il panico o la disperazione, ma quasi una pacifica accettazione di quanto gli è
stato profetizzato.
Se è Dio a proferire il giudizio sulla
nostra vita o sulla nostra condotta, esso non suscita in noi fastidio o rabbia:
se abbiamo fede in Lui, sappiamo che Egli ci conosce profondamente (Salmo 138/139)
e ci ama, ci usa misericordia (Salmo 50/51).
Quando, invece, sono io a pronunciare le
stesse parole sul mio prossimo, esse hanno l’effetto di una bocciatura: «… tu sei stato pesato sulle bilance e sei
stato trovato insufficiente …». Faccio pesare all’altro le sue mancanze, lo
opprimo a motivo dei suoi debiti (Mt 18,21-35); ma se, invece, fossi io a
pretendere troppo dal mio prossimo? Se fossi io a chiedergli più di quello che
mi può dare?
Sorrido di gioia ricordando ciò che il
maestro Manzi scriveva sulle pagelle dei suoi alunni: «Fa quel che può, quel che non può non fa». È la passione educativa,
il sincero voler bene a suggerirci parole così. Sono parole di chi prima di
tutto ama il suo prossimo e per questo sa apprezzare quel che può dare,
rendendosi disponibile a farlo crescere, ad accompagnarlo nel corso della vita.
È, dunque, all’amore di Dio che mi fa pensare la
sorprendente notizia dell’Anno Giubilare! [dGL]
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