«Oh!» disse: «che preziosa visita è questa! E quanto
vi devo esser grato d’una sì buona risoluzione; quantunque per me abbia un po’
del rimprovero!»
«Rimprovero!» esclamò il signore meravigliato, ma
raddolcito da quelle parole e da quel fare, e contento che il cardinale avesse
rotto il ghiaccio, e avviato un discorso qualunque.
«Certo, m’è un rimprovero,» riprese questo, «ch’io
mi sia lasciato prevenir da voi; quando, da tanto tempo, tante volte, avrei
dovuto venir da voi io.»
«Da me, voi! Sapete chi sono? V’hanno detto bene il
mio nome?»
«E questa consolazione ch’io sento, e che, certo, vi
si manifesta nel mio aspetto, vi par egli ch’io dovessi provarla all’annunzio,
alla vista d’uno sconosciuto? Siete voi che me la fate provare; voi, dico, che
avrei dovuto cercare; voi che almeno ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto
pregato; voi, de’ miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che avrei
più desiderato d’accogliere e d’abbracciare, se avessi creduto di poterlo
sperare. Ma Dio sa fare Egli solo le maraviglie, e supplisce alla debolezza,
alla lentezza de’ suoi poveri servi». (A. Manzoni, I promessi sposi, capitolo XXIII).
Nelle parole del
cardinale Borromeo all’innominato, scopro un insegnamento importante: le
fragilità personali, di cui il cristiano progressivamente prende coscienza
vivendo il Vangelo, non devono scoraggiarlo e spingerlo al disimpegno.
Il cristiano,
infatti, vive la sua vocazione imparando a confidare nel Signore che solo «sa fare le maraviglie e supplisce alla
debolezza, alla lentezza de’ suoi poveri servi».
Lentezze e debolezze non devono, dunque,
abbatterci, ma accrescere la nostra fiducia in Dio mentre combattiamo la buona
battaglia. [dGL]
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