lunedì 28 luglio 2014

La parabola del Samaritano (Lc 10, 25-37) - don Primo Mazzolari

E chi è il mio prossimo?

Se è sciocco il tentativo di giustificarsi non è sciocca la domanda: chi è il mio prossimo?
Il dottore sa quello che dice e pone domande tremende sulla bocca dell’uomo.
Che io debba amare il mio prossimo lo posso capire. Qualcuno bisogna pur amare. Ma chi debbo amare? A quali persone applicare l’amabile realtà di mio prossimo, che crea in me tali e tanti obblighi? Dove mi vuol condurre questo Maestro che accetta la Legge, ma vi mette dentro un nuovo senso?
La questione sociale è tutta in questa domanda sfuggita, non so come, a un ignoto Dottore della Legge. Gesù vi ha risposto ieri e vi risponde oggi con la stessa parabola.
Una parabola, non un discorso, perché la verità rimane più viva e presente sotto il velo del simbolo.
La Parabola del Samaritano è così bella che par vera, un fatto realmente accaduto ai giorni di Gesù e ogni giorno, sulle nostre strade.
L’inventiva divina sa trasformare la realtà comune in fantasia, vestendola di un significato universale. Quasi tutte le Parabole del Vangelo sono piccoli fatti trasportati, senza sforzo, nella realtà universale.
È quindi un parlare «per chi ha orecchi che vogliono intendere e occhi che vogliono vedere». Per chi non ha questi occhi, il Samaritano è un racconto qualunque, dove si narra di un uomo ingenuo che, a differenza di altri due, s’è lasciato prendere dalla pietà, il più rivoluzionario dei sentimenti, perdendoci tempo e denaro.
Per chi vede, è l’unica soluzione del problema sociale, il crocevia di ogni religiosità come di ogni umanità. Vale di più la Parabola del Samaritano che tutti gli innumerevoli e contrastanti programmi sociali.
Ma in venti secoli che cosa abbiamo capito del Samaritano?
Prendendola in mano, proprio oggi, par di leggerla per la prima volta, tanto è acerba in bocca e nel cuore. Anche se la si legge bene, rimane il muro di bronzo di una realtà che, dentro e fuori di noi, ci restituisce la Parola quasi fosse un sogno o una utopia.
Molti, per non parer esaltati, s’accontentan di leggerla alla maniera della «contessa Travasa» o degli abbonati contro l’accattonaggio.
Val la pena di rompersi occhi e cuore per vedere e sentire in anticipo ciò che un giorno sarà anche quaggiù.
Non importa se, per uno che vuole, novantanove non vogliono; se, per uno che si ferma, novantanove tiran diritto.
Quell’Uno è l’Amore.
Il pessimismo fu inventato dagli ignavi, dai senz’anima, dai senza cuore.
Io credo nell’Amore.

[don Primo Mazzolari, Il Samaritano]

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