martedì 1 aprile 2014

La virtù (da un testo di Romano Guardini)

La virtù percorre l’intera esistenza come un accordo che la stringe in unità. Allo stesso modo essa sale fino a Dio, o meglio, discende da Lui.
Già Platone lo sapeva quando creò per Dio il nome di agathòn, di “Bene”. Dall’eterna bontà di Dio deriva nello spirito dell’uomo disponibile l’illuminazione morale. Essa comunica ai diversi caratteri di volta in volta la loro specifica disposizione per il bene. Nella fede cristiana questa intuizione platonica perviene alla sua completezza. Pensiamo alla misteriosa immagine dell’Apocalisse in cui la quintessenza dell’ordine, la città santa, discende da Dio verso l’uomo (21, 10 ss.).
Ci sarebbe in proposito da dire più di quanto lo spazio qui ci consente. Indicheremo qualche nozione di fondo.

C’è anzitutto la verità, anzi una realtà, sulla quale riposa ogni ordine dell’esistenza. È la realtà di fatto che Dio soltanto è “Dio” e che l’uomo è una sua creatura e immagine; che Dio è realmente “Dio”, non un anonimo fondo del mondo, non un’idea soltanto, non il mistero dell’essere, ma per se stesso realtà e vita, creatore e signore, e l’uomo invece realtà creata e legata all’obbedienza verso il Signore altissimo.
Ecco l’ordine fondamentale d’ogni rapporto terreno e d’ogni agire terreno. Contro di esso si è sollevato già l’uomo primo quando gli venne insinuato di voler essere «come Dio», e contro di esso continua fino ai giorni nostri la ribellione di grandi e di meschini, di geni e di chiacchieroni. Ma se quest’ordine viene isolato, potrà essere quanto si vuole grande la potenza che ci conquistiamo, il benessere che ci creiamo: il caos avvolgerà sempre ogni cosa.

Un altro modo che ha la virtù dell’ordine di fondarsi in Dio è la legge incrollabile che esige l’espiazione per ogni ingiustizia. L’uomo trasferisce volentieri la sua cattiva memoria nella storia e si convince che, dopo aver fatto del male, il divenire continui a scorrere indisturbato; che una volta ottenuti gli effetti previsti, l’ingiustizia appartenga al passato, sia annullata. Si è sviluppata in tempi vicini una concezione dello stato secondo cui allo stato, in vista della potenza, del benessere, del progresso, ogni iniquità è permessa. Quando un’ingiustizia ha raggiunto il suo scopo benefico, cade nel nulla.
Ma in verità essa è là ancora: intrecciata al tessuto della storia; nel contesto vitale di coloro che l’hanno commessa e di coloro che l’hanno patita; nell’influsso che essa ha esercitato sugli altri; nelle impronte dei pensieri e dei sentimenti, della lingua, degli atteggiamenti che reggono il tempo. E viene il giorno dell’espiazione; perché espiata dev’essere, inevitabilmente. Dio ne è garante.

Il terzo aspetto è la rivelazione del giudizio. La storia non è un processo naturale che esaurisca in se stesso il suo significato, ma implica il rendiconto. Non all’opinione pubblica e neppure alla scienza. Ed è pure falso dire che la storia è giudizio a se stessa: giacché molto di essa resta nascosto, molto dimenticato, e per una quantità di cose la responsabilità viene spostata su coloro a cui non appartiene. No, il giudizio sarà tenuto da Dio.
Tutto arriverà davanti alla sua verità e si farà manifesto. Tutto sottostarà alla sua giustizia e riceverà la determinazione definitiva. [R. Guardini, Virtù, Morcelliana]

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