martedì 3 luglio 2012

Cur non ego?

Incredulo o credente?
In gioco non c’è solo una dichiarazione formale, ma la vita stessa dell’uomo. Credere nel Cristo apre gli occhi al riconoscimento di Lui presente proprio nel mezzo: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28).

Tommaso è fermo, non riesce a credere, è bloccato come noi quando affrontiamo un problema che non riusciamo a comprendere. Tutt’intorno i suoi amici tentano di aiutarlo, di rassicurarlo, di coinvolgerlo: «Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20, 25).

Egli, però, percepisce il suo limite: ha bisogno di vedere, di toccare il suo Maestro.

Passano otto giorni, un tempo carico di attesa, di speranza, di fiducia che accadrà qualcosa: il Signore mi aiuterà a superare questo momento, mi prenderà per mano e mi condurrà con sé, rafforzerà la mia debole fede.

Leggendo il racconto dell’apparizione a Tommaso, mi tornano in mente le parole di Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20). Gesù torna tra i suoi discepoli riuniti e di nuovo sta in mezzo e dona loro la pace.

Poi si prende personalmente cura di Tommaso; è lì per soccorrerlo, per rispondere al suo desiderio: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani… e non essere incredulo ma credente» (Gv 20, 27).

Che gioia per Tommaso riconoscere Gesù e sentir rifiorire la fede!
Che pace nel continuare a stare con Lui!

Il credente è beato e non si cura più di ciò che il mondo pensa di lui o della sua storia. Il suo tutto è Cristo. Vive solo per Lui. Continuerà a condurre una vita ordinaria, preoccupato soltanto di compiere la volontà di Dio e scegliendo ciò che è conforme al Vangelo. Sarà proprio questa sua testimonianza silenziosa a suscitare nell’osservatore esterno la domanda: «Se questi e queste sono stati capaci di tanto, perché non potrei esserlo io?».

Così, entrare in contatto con i santi ci mette in movimento, suscita in noi il desiderio di essere come loro dei semplici credenti che tutto ricevono da Dio. [dGL]

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