In gioco non c’è solo una dichiarazione
formale, ma la vita stessa dell’uomo. Credere nel Cristo apre gli occhi al
riconoscimento di Lui presente proprio nel mezzo: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28).
Tommaso è fermo, non riesce a credere, è
bloccato come noi quando affrontiamo un problema che non riusciamo a
comprendere. Tutt’intorno i suoi amici tentano di aiutarlo, di rassicurarlo, di
coinvolgerlo: «Abbiamo visto il Signore!»
(Gv 20, 25).
Egli, però, percepisce il suo limite: ha
bisogno di vedere, di toccare il suo Maestro.
Passano otto giorni, un tempo carico di
attesa, di speranza, di fiducia che accadrà qualcosa: il Signore mi aiuterà a
superare questo momento, mi prenderà per mano e mi condurrà con sé, rafforzerà
la mia debole fede.
Leggendo il racconto dell’apparizione a
Tommaso, mi tornano in mente le parole di Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro»
(Mt 18, 20). Gesù torna tra i suoi discepoli riuniti e di nuovo sta in mezzo e
dona loro la pace.
Poi si prende personalmente cura di
Tommaso; è lì per soccorrerlo, per rispondere al suo desiderio: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani…
e non essere incredulo ma credente» (Gv 20, 27).
Che gioia per Tommaso riconoscere Gesù e
sentir rifiorire la fede!
Che pace nel continuare a stare con Lui!
Il credente è beato e non si cura più di
ciò che il mondo pensa di lui o della sua storia. Il suo tutto è Cristo. Vive
solo per Lui. Continuerà a condurre una vita ordinaria, preoccupato soltanto di
compiere la volontà di Dio e scegliendo ciò che è conforme al Vangelo. Sarà proprio questa
sua testimonianza silenziosa a suscitare nell’osservatore esterno la domanda: «Se questi e queste sono stati capaci di
tanto, perché non potrei esserlo io?».
Così, entrare in contatto con i santi ci
mette in movimento, suscita in noi il desiderio di essere come loro dei semplici credenti che tutto ricevono da Dio. [dGL]
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