Ogni
mattina un mendicante prende il suo posto nella piazza.
Ogni
mattina, uscendo, gli passo davanti e ci salutiamo.
Ogni
mattina ci offriamo un sorriso.
È
un sorriso cordiale e sincero.
Non
so come si chiama e non conosco la sua storia.
Ma
il suo sorriso non è di facciata, è un sorriso vero.
E
anche il mio.
Stamattina
entrando in chiesa mi sono chiesto il perché di quel sorriso e di conseguenza
perché io, che non vado a chiedere l’elemosina sulla piazza, sono così avaro di
sorrisi.
Credo sia la sua condizione di mendicante a farlo sorridere: per vivere deve sperare nella carità che il passante può fargli e gli sorride di cuore perché sa che da quel passante dipende la sua vita, il suo pane quotidiano.
Vale
anche per noi.
È
l’essere mendicanti che ci fa sorridere quando incontriamo l’altro. Finché
siamo convinti di non aver bisogno dell’altro, lo vedremo facilmente come un
intruso, un potenziale portatore di problemi e di noie, forse anche di guai. Finché
siamo convinti di bastare a noi stessi, sorridiamo poco, molto poco.
Noi
cristiani tutti andiamo in chiesa a mendicare, il nostro celebrare e il nostro
pregare è mendicare: andiamo a chiedere a Dio la grazia dell’amore e gli
sorridiamo perché sappiamo che Egli ci dona tutto il suo amore, tutto se
stesso.
«Senza
di me non potete far nulla» (Gv 15,5), dice Gesù ai suoi discepoli.
Noi
cristiani riconosciamo di aver bisogno di Dio ed Egli ci rivela che abbiamo bisogno
anche del nostro prossimo: non ci salviamo da soli. Lo dice anche la preghiera
del Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo
ai nostri debitori» (Mt 6,12).
Il
mendicante mi sorride perché confida che io sia lì per aiutarlo.
Io
sorrido quando smetto di nascondere a me stesso la verità: nell’amare Dio e il prossimo
stanno la gioia e la vita eterna (Mt 22,34-40, Lc 10,25-37)! [dGL]
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