venerdì 16 maggio 2014

La pazienza (da un testo di Romano Guardini)

L’animale può essere impaziente? Evidentemente no, né impaziente, né paziente. Esso si trova inserito nel contesto delle leggi di natura; vive come deve vivere e muore quando il suo tempo è finito. L’impazienza diviene possibile soltanto per un essere che ha la capacità di elevarsi al di sopra della realtà immediata e di volere ciò che ancora non è: cioè per l’uomo. Perciò soltanto per lui si verifica la decisione concernente il lasciare o non lasciare al divenire il suo tempo.
E questo sempre di nuovo; perché in questa esistenza del tempo e del limite riappare continuamente la tensione fra ciò che egli è e ciò che egli vorrebbe essere; fra ciò che egli ha già realizzato e ciò che gli resta ancora da realizzare. La pazienza è quella che porta questa tensione.

Soprattutto la pazienza verso ciò che ci è stato dato e destinato: il destino. L’ambiente in cui viviamo ci è stato destinato; noi vi veniamo generati e innestati. Gli eventi della storia vanno senza che noi possiamo modificarli gran che, e ognuno viene inciso dai loro effetti. Giorno per giorno accade a noi in qualche modo personalmente ciò che semplicemente accade. Possiamo cautelarci, possiamo alterare qualcosa secondo la nostra volontà, ma in fondo in fondo dobbiamo accettare ciò che viene verificandosi. Capire tutto ciò e atteggiarsi in conformità si chiama pazienza. Chi non vuole tutto ciò, resta in perpetuo conflitto con la propria esistenza.
Pensiamo al classico personaggio che si ribella contro tutto ciò che è dato. È il Faust di Goethe. Dopo aver buttato via la speranza e la fede, esclama: «E maledizione soprattutto alla pazienza!». Egli è l’eterno immaturo, che non vede mai né accetta la realtà come è. Di continuo la sfugge nella sua fantasia. Continua è la sua protesta contro il destino, mentre invece la maturità dell’uomo comincia quando egli accetta ciò che è. Di qui attinge finalmente la forza per cambiare e per trasformare le cose. [R. Guardini, Virtù, Morcelliana]

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