L’esperienza come assistente di acr è iniziata
in modo del tutto inaspettato poco più di sei anni fa e mi sta regalando la
straordinaria possibilità di stupirmi nel guardare Dio all’opera nella vita dei
piccoli. Il ritiro di Quaresima (25-26 marzo), proposto dall’acr della nostra Diocesi
ai ragazzi dai 12 ai 14 anni, mi ha offerto tanti motivi di meraviglia e tanti
spunti di riflessione.
È stato un bel ritiro per merito del
predicatore, don Pino, giovane sacerdote della nostra Diocesi, e per l’impegno
dell’equipe diocesana e degli educatori delle diverse parrocchie che hanno
scelto di partecipare. Terminato il ritiro e ricevuto come segno un vasetto
contenente olio profumato (simbolo del profumo della Risurrezione), i ragazzi
si sono alzati dalle sedie e si sono avviati verso casa, quasi dimenticando di
recuperare i loro telefoni cellulari. Nel 2017 può capitare di vivere
un’esperienza talmente intensa e coinvolgente, da dimenticarsi del cellulare! Durante
una bella esperienza di vita comune si può essere così connessi con il mondo
circostante, da non sentire l’esigenza di altre connessioni! Capitava qualcosa
di simile anche qualche anno fa, quando i cellulari non erano stati inventati:
si partecipava al campo-scuola o a una gita scolastica e ci si dimenticava di
telefonare a casa. E, puntualmente, si veniva raggiunti dalla chiamata
preoccupata dei genitori: «Stavamo in
pensiero! Non ti sei fatto sentire nemmeno per dire che eri arrivato!». In
realtà non ci si era dimenticati dei genitori, ma si stava così bene e ci si
sentiva così coinvolti e partecipi, da non pensare ad altro!
Il ritiro acr aveva come tema il brano
del Vangelo di Giovanni in cui si racconta la risurrezione di Lazzaro. Fin
dalla prima meditazione, Lazzaro, grazie alle parole di don Pino e alla
creatività di educatrici ed educatori, appariva davanti ai nostri occhi nel
momento della sua uscita dal sepolcro: una grande sagoma di cartone tutta
avvolta con le bende e con il viso avvolto da un sudario. La sagoma rendeva
evidente che Lazzaro non poteva muoversi agevolmente.
Lazzaro mi stava davanti e il pensiero
dei suoi movimenti, quasi impediti dalle bende, se all’inizio mi aveva fatto
sorridere, ora mi suscitava una certa inquietudine. Come se non bastasse, la
pietra del sepolcro, realizzato per creare nel salone la giusta ambientazione, era
stata spostata e lasciava intravvedere un accesso possibile, una porta da cui
si può passare, come Lazzaro, per uscire, ma anche per entrare.
Il sepolcro di Lazzaro, aperto davanti
ai miei occhi, e la sagoma di Lazzaro che cammina, tutto avvolto nelle bende,
mi fanno pensare a quel sepolcro come a una grotta in cui è possibile
ritrovarsi a vivere, ancora prima di essere morti. Possiamo vivere con le mani
e i piedi avvolti in bende e il volto coperto da un sudario, proprio come
Lazzaro vivo all’uscita del sepolcro: «Il morto uscì, i piedi e le mani legati
con bende, e il viso avvolto da un sudario» (Gv 11, 44).
Può capitarci di essere morti viventi
che attendono la risurrezione ad opera di un amico che passi di lì e ci dica:
«Lazzaro, vieni fuori!» (Gv 11, 43). Tante sono le bende che ci legano e non ci
lasciano liberi di godere la bellezza della vita e alla fine arriviamo a
trascorrere giorni interi nel sepolcro, scambiando la morte con la vita. Un giorno,
però, arriva qualcuno e ci fa uscire fuori; allora alziamo lo sguardo verso il
cielo e ci accorgiamo di quanto è azzurro e staremmo lì a guardare il cielo
beati, senza più pensare ad altro! Quando il cielo è sereno, ti sembra di
starci dentro, di essere abbracciato dalla sua intensa purezza. Usciti fuori
dal sepolcro e liberati dalle bende, possiamo cominciare una vita nuova, possiamo
tornare a muoverci e a vedere bene. Fuori dal sepolcro respiriamo la leggerezza della libertà, la
gioia dell’amore, siamo presi dalla colorata allegria della vita.
La visione delle bende sulla sagoma di
cartone, mi fa pensare alle bende che portiamo addosso senza accorgercene. Le
bende di Lazzaro sono i nostri peccati, i vizi, le cattiverie, i rancori, le
paure, l’egoismo,… Le bende di Lazzaro sono il fumo di veleni legali o di
droghe definite leggere e consumate per noia o per distrarsi dal presente, sostanze
nocive al corpo e allo spirito, che invece di liberare, incatenano in gravi
dipendenze. Le bende di Lazzaro sono l’alcool, per alcuni compagno irrinunciabile
nelle serate di festa, come se l’allegria fosse l’effetto di un minestrone di
sostanze e non di una vita bella e di buone relazioni. Le bende sono le varie
dipendenze a cui ci si aggrappa di volta in volta per saziare la nostra fame di
amore, di accoglienza, di comprensione, di attenzione, di perdono,… E poi, al
tramonto della notte, svanita l’ebbrezza e spente le luci delle illusioni, ci
si ritrova a brancolare nel buio puzzolente di un sepolcro.
Ognuno nel suo sepolcro, ognuno con il
suo vestito di bende, pensiamo di essere liberi, più liberi degli altri perché
abbiamo avuto il coraggio di trasgredire, di fare ciò che non è lecito,… Ma se
avessimo la possibilità di guardarci come in un film, saremmo presi
dall’inquietudine per una libertà che ci appare irrimediabilmente compromessa o
perduta e saremmo noi stessi i primi a cercare un amico che ci liberi, che ci
aiuti a uscire, che ci dia la possibilità di un nuovo inizio.
Quell’amico è Gesù. La sua Parola ci fa
risorgere da ogni sepolcro, ci libera da ogni benda che può essersi attorcigliata
alla nostra vita perché possiamo vivere da risorti. Gesù non ha paura di
rischiare la vita per la nostra salvezza, per la nostra liberazione; gli stessi
discepoli ne sono meravigliati: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti
e tu ci vai di nuovo?» (Gv 11, 8). Non dobbiamo temere che sia troppo tardi,
che sia troppo il tempo che abbiamo trascorso nel sepolcro: non c’è ostacolo
che possa impedire a Dio di salvarci.
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