Il terremoto ha tolto improvvisamente il
velo
ed è apparso il vero.
Soddisfatti delle nostre cose, vivevamo
come anestetizzati grazie a tutta una serie di illusioni che noi stessi,
aiutati dai sacerdoti della cultura mondana, ci eravamo costruiti. C’è voluto
un po’ di tempo, ma tutta una campagna culturale, che incoraggiava a vivere
come se Dio non esistesse, forse stava riuscendo a convincerci che le cose di
questo mondo avrebbero potuto farci beati.
Il Vangelo della Domenica non stonava
nemmeno più rispetto alla musica mondana, perché la fede s’era talmente
staccata dalla vita da poter procedere tranquillamente su binari paralleli.
Così, noi che ci dicevamo cristiani, noi che impugnavamo i crocifissi, pronti alle
crociate, noi che, beati, stavamo a contemplare le nostre radici cristiane,
improvvisamente ci siamo accorti che non serve a nulla dirci cristiani se non
siamo cristiani. Il terremoto ha spazzato via tutti gli idoli e ci siamo
ritrovati insicuri e disorientati. Nemmeno la nostra casa è in grado di
difenderci. E vaghiamo come naufraghi tra le onde di un mare in tempesta,
cercando un appiglio a cui aggrapparci…
La cantilena governativa ripete come una
litania il versetto: «Ricostruiremo».
Ma ricostruiremo che cosa? Una casa, una
chiesa, un monumento? Certamente si possono rimettere in piedi gli edifici, ma
come si può ricostruire la serenità, la speranza?
«Ricostruiremo», ma per chi? Se il
terremoto che non cessa, sta già rendendo deserti i luoghi di aggregazione, le
scuole, le manifestazioni religiose e civili, le iniziative a cui eravamo
abituati a prendere parte? E chi può assicurarci che le scosse siano finite? E
poi se succede un terremoto, che facciamo? Dove scappiamo?
Il dio denaro parla e continua a distrarre.
Poveretto, di più non può fare: le sue
mani sono legate di fronte alla terra che trema. Nemmeno il dio denaro può
spegnere il tremore o dare stabilità.
La dea tecnica non sa cosa rispondere a
chi oggi si presenta al tempio e chiede di essere salvato, o almeno
rassicurato. Nemmeno in quel tempio, oggi tanto frequentato, possiamo trovare
la certezza di non morire mai.
Viene tolto il velo e appare il vero:
tra gli idoli costruiti da mani d’uomo,
non c’è un dio che possa salvarci; non c’è un dio che possa rassicurarci; non
c’è un dio che possa darci pace.
E allora, che fare?
Possiamo accorgerci che il nostro Dio ci
è venuto a cercare. Possiamo convertirci e lasciarci abbracciare, coccolare,
rincuorare. Possiamo ascoltare il Vangelo e ricordarci della passione, morte e
risurrezione di Gesù, e scoprire che la morte è qualcosa che tutti vivremo, ma
non è l’ultima parola: Egli ha vinto la morte! Possiamo scoprire che questa
vita a cui tanto ci siamo attaccati, non è tutto, anzi è un piccolo granello di
polvere a confronto con quell’eternità, quel paradiso verso il quale tutti
siamo incamminati!
Solo la fede in Dio ci farà tornare a
vivere!
In questi giorni la fede ha fatto
miracoli e in tanti si sono messi a disposizione per accogliere, soccorrere, consolare,
aiutare quanti nel terremoto hanno perso i propri cari, le proprie case, i
propri ricordi, i propri sogni,... Tanta solidarietà e tanto calore umano sono l’espressione
visibile di una fraternità che tutti ci lega: tutti ci siamo sentiti chiamati a
testimoniare la nostra vicinanza e il nostro affetto.
Il terremoto, la sofferenza, il dolore
sono eventi negativi, che mettono a dura prova il corpo e lo spirito di
ciascuno di noi; sono eventi che giustamente tutti noi vorremmo evitare, ma non
dipendono da noi. Da noi dipende il far fronte, il restare in piedi coscienti
che non siamo soli. Se ci lasciamo portare dal dolore, ci ritroviamo nella
disperazione; se, invece, ci sforziamo di portare il nostro e l’altrui dolore,
si apre davanti a noi la via della Pasqua, una via di luce, una via di vita che
non tramonta mai!
So che tra un mese è Natale e quindi le mie
parole sembreranno fuori tempo, ma oggi mi sento di augurare a tutti: «Buona
Pasqua di Risurrezione!». [dGL]
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