Omelia della XXI
Domenica del Tempo Ordinario – Lc 13, 22-30
Lc 13, 22-30: “Sforzatevi di entrare per
la porta stretta…” (v. 24).
Lc 16, 19-31:
“Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso
di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che
venivano a leccare le sue piaghe” (vv. 20-21).
Quando,
nel Vangelo di oggi, ho letto la parola “porta” mi è venuta in mente la “porta”
della parabola di Lazzaro e del ricco Epulone e in particolare il fatto che il
ricco ogni giorno aveva l’occasione di oltrepassarla. Aveva tutto il tempo di
farlo, eppure non gli è riuscito di farlo. E allora mi è venuto il dubbio: era stretta la porta, o era grande, troppo
grande il ricco?
Così
mi sono messo a pensare e mi sono accorto che per tutta la vita avrò accanto
uno più piccolo di me. Sempre. E tra me e questo “più piccolo” ci sarà sempre
la porta della parabola: il più piccolo starà sempre alla mia porta, come
Lazzaro. E Gesù gli starà sempre accanto. È facile immaginare la scena: io sto
da una parte della porta e Lazzaro con Gesù sta dall’altra. La porta è sempre aperta,
spalancata.
Dunque,
tra me e il più piccolo c’è questa porta, che più io mi faccio grande e più
essa mi risulta stretta. Per passarci devo lasciarmi “portare” dalla carità. E
finché resto nelle mie ricchezze, in me stesso, nei miei beni, nei miei affari,
finché sono tutto preso da me stesso e dal mio bene, dal mio tempo, dalla mia
vita, dal mio spazio,… divento sempre più grande ed è sempre più difficile che
io riesca a passare per la porta.
Arriva,
infine, un momento, un tempo, l’ultimo tempo, in cui non riesco più a passare e
la condizione che ho scelto di vivere, resta quella per l’eternità: circondato
da cose, da beni materiali, sazio di me stesso, ho vissuto sulla terra
nell’illusione che quella fosse la bella vita ed è stato anche piacevole, ma
nel giorno del giudizio ogni illusione svanisce e mi resta solo il dolore di
non aver vissuto e di non poter più vivere. E sarà dolore per sempre.
Se stasera siamo qui, è
perché non siamo ancora diventati così grandi da non riuscire ad attraversare
la porta stretta: infatti sentiamo ancora il desiderio di donare la nostra vita
e di amare; siamo ancora in grado di riconoscere e apprezzare l’amore che
riceviamo; sentiamo che è l’amore che riceviamo e doniamo a farci vivere;
sentiamo quanto è bella la condivisione, la pace, la fraternità, l’amicizia,
l’amore! È questo il momento di prendere e attraversare la porta stretta che ci
separa dal “nostro” Lazzaro: ce n’è uno proprio alla tua porta! Guardalo.
Ascoltalo. Abbi compassione con lui e di lui. Prenditene cura! Ogni Lazzaro a
cui ti fai prossimo, ti fa un po’ più piccolo, più piccolo, più piccolo,… ti fa
giusto per passare la porta stretta, ti fa giusto giusto per il Paradiso!