domenica 4 marzo 2012

Eccomi!

Siamo su una strada proprio come Abramo, proprio come i discepoli! Camminiamo sulle orme del nostro Maestro e vederlo procedere davanti a noi ci incoraggia, ci sorregge nella fatica, ci rende lieti.

Abramo si è fidato di Dio, ha risposto alla Sua Parola; è uscito dalla terra in cui viveva e si è messo in viaggio senza sapere il luogo preciso dove il Signore lo avrebbe condotto: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12, 1). Basta la Parola di Dio per partire.

Anche nell’episodio del sacrificio di Isacco (Gen 22), il patriarca si mette in viaggio verso il territorio di Moria ma non sa su quale monte dovrà compiere il sacrificio. Eppure, ancora una volta, il suo «Eccomi!» (Gen 22, 1) corrisponde a una effettiva disponibilità a obbedire alla volontà di Dio.

Rispondere alla vocazione non astrae Abramo e i discepoli dalla loro storia, dalla vita quotidiana, dalle loro relazioni; Abramo continua, infatti, ad avere una moglie, un figlio, delle persone a cui deve rendere conto del suo agire,… Isacco si rivolge a lui chiamandolo «Padre mio!» (Gen 22, 7) e lui gli risponde: «Eccomi, figlio mio» (Gen 22, 7) esprimendo la sua paternità, il suo affetto per il figlio che gli è stato donato e che si avvia a sacrificare. Così, i discepoli non possono fermarsi sul monte della Trasfigurazione ma devono scendere e tornare tra la gente, condividere con loro gioie e fatiche di ogni giorno. L’esperienza di Dio che fanno, però, trasfigura la loro quotidianità, illumina le croci di ciascuno, anticipa la gioia della Risurrezione!

Il discepolo vive una relazione di fiducia, si fida del Maestro. Seguire Gesù, vivere il Vangelo, fare la volontà di Dio non ci consentirà di conoscere tutto ciò che accadrà domani, né di pianificare la nostra vita secondo uno schema perfetto, senza imprevisti; ma ci permetterà di vivere l’OGGI sapendoci custoditi, guidati, amati da Qualcuno. Questa fede in Dio dona pace all’uomo. Essa, infatti, non dipende dalle condizioni più o meno favorevoli in cui ci troviamo a vivere, ma dalla nostra fiducia in Lui che ci tiene nelle Sue mani (Sal 15/16). Se conosciamo il Suo amore per noi, non ci sentiremo soli e abbandonati nella valle oscura; non saremo bloccati davanti alla prospettiva della croce da abbracciare ogni giorno; non ci scoraggeremo nell’ora della prova, ma sapremo alzare gli occhi per fissare il Suo volto e ritrovare forza!

Noi cristiani non sappiamo che cosa accadrà nel nostro futuro immediato, ma sappiamo di camminare alla presenza del Signore, di essere guardati da Lui con benevolenza, di essere destinati alla vita eterna!

La mèta del discepolo non è il territorio di Moria, né il luogo del sacrificio ma la benedizione di Dio, la Sua alleanza, la Sua promessa di vita per sempre. Possiamo salire a Gerusalemme e portare la nostra croce solo se ci fidiamo di Dio, se accogliamo la Sua Parola per noi, se rispondiamo «Eccomi!» alla Sua vocazione a essere figli nel Figlio; in Gesù diventiamo anche noi figli amati: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9, 7).

La buona notizia oggi è che, dopo essere saliti sul monte, non siamo noi a dover fare un sacrificio ma scopriamo che è Dio stesso che ha provveduto a trovare l’agnello da immolare (Gen 22, 8. 13), è Dio stesso che ci regala un’esperienza bellissima: guardare il Suo volto trasfigurato, è Dio stesso a salire sulla croce per la nostra salvezza.

E ringrazio Pietro perché con semplicità ci tramanda il sentimento comune dei tre discepoli, così simile alla gioia che c’è in noi quando siamo in comunione con Dio, quando Lo incontriamo: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Mc 9, 5). [dGL]

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