giovedì 6 ottobre 2011

Da bordo campo...

Diventare un panchinaro non era il suo sogno da bambino, ma, dopo i primi mesi da professionista, aveva deciso di ricoprire con arte il ruolo di riserva. Nella squadra c’erano tanti campioni e non poteva pretendere il posto da titolare. Il suo scarso impiego in partita, però, non gli aveva fatto perdere la voglia di allenarsi ed era sempre il primo ad arrivare al campo e l’ultimo ad andarsene. Studiava le partite con estrema cura e si accomodava in panchina con il sorriso di chi ha il cuore lieto ed è pronto in qualsiasi momento a dare il massimo.
L’allenatore lo sapeva e apprezzava le sue qualità, che già in diverse occasioni avevano permesso alla squadra di raddrizzare un risultato. Aveva un unico difetto: non riusciva ad assimilare gli schemi di gioco. Questo, oltre a relegarlo in panchina, lo faceva sembrare ai più – a chi si fermava all’apparenza – un giocatore indisciplinato, difficile da gestire, un vero e proprio cruccio per un CT. Chi lo aveva allenato, invece, aveva potuto conoscerne l’umanità, la prontezza al sacrificio, la capacità di fare gruppo, la correttezza. Sarebbe stato un ottimo capitano… Ma si è mai visto un capitano che sta in panchina?
Prima di una partita era sempre tranquillo perché sapeva che, una volta accarezzato con i tacchetti il terreno di gioco, in lui si sarebbe acceso un fuoco che lo avrebbe reso imprendibile e imprevedibile. Lanci precisi per gli attaccanti, recupero di palloni persi, incursioni nell’area avversaria e assist da sogno.
I tifosi si erano abituati a invocare il suo ingresso in campo ed egli non deludeva mai le loro aspettative, restaurando e abbellendo con fantasia ogni match.
Nell’ultima partita di coppa, aveva messo in mostra tutto il suo talento. Entrato a venti minuti dal fischio finale, quando le due squadre erano ancora in parità, era riuscito a inventare l’assist per il vantaggio e a segnare il goal che aveva definitivamente chiuso la partita, scatenando l’entusiasmo dei tifosi.
Il giorno dopo, tutti i giornali avevano parlato dell’impresa. Un cronista lo aveva addirittura paragonato a Ermes, messaggero degli dei con le ali ai piedi; in occasione del primo goal, infatti, aveva seminato lo scompiglio nel centrocampo avversario, si era involato sulla fascia e aveva recapitato la sfera all’attaccante. Il compagno di squadra aveva guardato la palla scendere morbida in direzione del suo piede. Gli era bastato coordinarsi e indirizzarla verso la porta per battere il portiere. Il secondo goal, arrivato a cinque minuti dalla fine, aveva consentito alla squadra di mettere in cassaforte il risultato e il passaggio del turno.
Nonostante quella partita da protagonista, nonostante gli elogi, non si era montato la testa e, come tutte le volte, aveva ringraziato il Signore e festeggiato con gli amici. [dGL]

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