sabato 16 maggio 2020

«Me ne importa, mi sta a cuore» (don Lorenzo Milani)



Un cartello sulla strada fa appello al virus e gli chiede di lasciarci in pace.
Sulle prime, mi fa sorridere e passo oltre.
Ma quella scritta contiene tutte parole inquietanti e continuano a risuonarmi in testa: «Covid19, lasciaci in pace!».

Il nome Covid19 mi suona già terrificante.
Ma anche le altre tre parole non sono da meno.
Lasciaci in pace?
E chi mai è stato in pace?
Prima del Covid19 stavamo in pace?
E dopo? Staremo in pace?
Non so cosa si intenda per pace, ma se essa significa quella tranquilla indifferenza in cui spesso ci si trovava a vivere prima dell’epidemia, io spero di non essere più in pace.

Vabbè che vivendo infanzia, adolescenza, gioventù e ora l’età adulta in parrocchia, ho avuto pochi momenti di anestesia, ma anche nella vita del più appassionato dei cristiani, il Diavolo prova sempre a gettare il seme dell’indifferenza…

Vi ricordate la Pasqua dell’anno scorso?
È stata caratterizzata dalle immagini di quei cristiani che in Sri Lanka avevano perso la vita in un attentato, proprio celebrando la Messa di Pasqua.
Ho ancora negli occhi la foto del cero pasquale e l’immagine di Gesù Risorto insanguinati.
Non ho vissuto quella Pasqua in pace: troppo dolore, troppa violenza.
Come far finta di niente, quando la Comunione ti fa sentire forte il dolore anche a migliaia di km di distanza?
Sono morte persone che s’erano riunite per fare festa, sono morte persone che stavano cantando alleluia, come me nella mia chiesa con i miei fratelli e le mie sorelle di fede. Come rimanere indifferenti?

«Lasciaci in pace, Covid19!»
Sì, lasciaci in pace, ma sia la pace di Cristo e non la falsa pace dell’indifferenza.

Il prof di religione alle superiori proponeva a noi studenti di andare a visitare gli anziani in un ospizio della nostra zona. Gli anziani stavano lì e per alcuni di loro erano gli unici momenti in cui avevano a che fare con persone della nostra età. Forse gli ricordavamo i nipoti, forse la giovinezza e la vivacità di un tempo. Qualcuno di quegli anziani una carezza, un sorriso e una stretta di mano li riceveva solo in quell’occasione. Il prof suonava la tastiera e intonava canzoni e i vecchietti cantavano e ballavano con noi, come potevano, felici e contenti. Noi studenti non stavamo in pace: pensavamo ai nostri nonni e qualche lacrima scendeva a rigare le guance. Altri trattenevano a stento il pianto. Sto parlando del 2000. Posso testimoniare che già vent’anni fa c’erano anziani parcheggiati e alcuni di loro erano del tutto dimenticati.

Ma oggi c’è il Covid19 e qualcuno si sveglia e si indigna e solleva polemiche a non finire su una passione, su un’attenzione, su un legame, su una solidarietà che non c’è stata… Giusto! Ma non vorrei che questa emozione e questo desiderio di prendersi a cuore la situazione degli anziani e dei malati duri finché c’è il Covid e finché interessa ai giornali. Poi?
Poi mi sa che tutto tornerà come prima: il mio prof continuerà a portare i suoi ragazzi all’ospizio, il parroco o il vice-parroco porterà i ragazzi e i giovani a visitare gli anziani in RSA per gli auguri di Pasqua e di Natale, scenderà qualche lacrima, qualcuno s’appassionerà,… ma alla società importerà poco o niente e tornerà la pace dopo il pericolo scampato… La stessa indifferenza di prima, quando la storia di un vecchietto interessava al massimo i suoi familiari, i medici, gli infermieri, il personale dell’RSA e i volontari.

Da sempre medici, infermieri e personale sanitario lavorano con passione e vero eroismo… ma le risorse per la ricerca e il potenziamento della sanità vengono ridotte e gli ospedali chiusi e accorpati.
Non c’è attenzione, non c’è cura per chi della società si prende cura.
Adesso, all’improvviso, tutti sembrano accorgersi del lavoro straordinario di queste persone che già in tempi normali vegliavano sul sonno degli ammalati e dei pazienti e in questi giorni non riescono nemmeno a trovare un minuto di riposo per trovare il modo di salvare dalla morte quante più persone possibile.
Adesso tutti moltiplicano discorsi e parole di riconoscenza e, se potessero, darebbero anche medaglie al valore. Tutto giusto!
Ma quando il virus ci avrà lasciato in pace, si continuerà a parlare di medici, infermieri e personale sanitario per migliorare le loro condizioni di lavoro?
O tutto tornerà come prima?

E infine, la povertà.
Tutti sono concordi nel dire che tra qualche mese esploderà la povertà!
Esploderà la povertà?
Sono prete da dieci anni e i poveri ci sono sempre stati.
C’erano anche prima.
Ci sono da sempre i poveri!
Stanno ai margini, nessuno li vede, nessuno li vuole, loro si scansano, si nascondono, sentono sempre di essere di troppo.
Sicuramente i poveri aumenteranno, e che disastro succederà se non aumenterà anche la nostra passione per loro, la nostra solidarietà, la nostra carità!
Eppure basterebbe così poco: un po’ di buona volontà nell’affrontare il problema scendendo in mezzo a loro, visitando le loro case, rendendosi conto di quel che vivono e proponendo politiche di integrazione, di attenzione, di sensibilizzazione, di solidarietà sincera.
Finora, prima del Covid e durante il Covid, ho visto solo una gara a mettere i poveri uno contro l’altro: italiani contro stranieri, stranieri contro stranieri, italiani contro italiani, in una guerra che non giova a nessuno.
C’è il problema della casa: affitti esorbitanti per piccolissimi spazi vitali.
E chi se li poteva permettere certi affitti prima del Covid19?
E chi se li potrà permettere dopo il Covid19?
C’è il problema della mancanza dei beni di prima necessità, c’è il problema del lavoro e dello sfruttamento, c’è il problema dello scarto,… c’è il problema di ritmi insostenibili e disumani per tutti.
Non c’è nemmeno il tempo per godersi la famiglia, le amicizie, la natura, la vita,…
E il bello è che tutto questo non c’era nemmeno prima del Covid19!!!

Eh sì: penso sia proprio necessario che il Covid19 ci lasci in pace. Abbiamo scoperto, infatti, che ci sono un sacco di cose di cui occorre iniziare a occuparci! E non c’è tempo da perdere: è urgentissimo lavorare perché finalmente sia per tutti pace, quella pace che viene dall’I CARE («Me ne importa, mi sta a cuore») di don Milani e non dal tornare a dormire praticando una sistematica indifferenza e tacciando di buonismo tutti quelli che non s’arrendono all’indifferenza. [dGL]

Nessun commento:

Posta un commento