Nel museo dove lavoro come guida, ci
sono tre grandi ambienti da visitare: il padiglione della «chiesa antica», quello della «chiesa
contemporanea» e quello della «chiesa
del futuro».
Pastori e pecorelle, come turisti, vi si
aggirano meravigliandosi di ciò che vedono.
Nel padiglione della «chiesa antica» fanno bella mostra di sé
tutti i ricordi delle iniziative che, almeno a detta di un nostalgico, «una volta funzionavano così bene e oggi,
inspiegabilmente, non si usano più».
Nel padiglione della «chiesa contemporanea», sono raccolte
tradizioni provenienti da un passato prossimo; si tratta di tutte quelle cose
che stanno passando di moda, ma in alcuni luoghi sono ancora in uso. Qui i
turisti sono presi dai ricordi dell’infanzia o della giovinezza e si vede
qualche lacrima di commozione.
Nel padiglione della «chiesa del futuro» sono esposte le
nuove teorie, quelle suggerite dalla necessità di aggiornamento, dagli
entusiasmi e dalle mode del momento. Di solito a questo punto della visita
guidata, i turisti si accendono di entusiasmo e le esclamazioni si susseguono: «Finalmente!», «Era ora!», «Lo dicevo io che
bisognava adeguarsi ai tempi moderni!», «Questo è quello che ci vuole per far
tornare i giovani!», ...
Accompagno visite guidate da molti anni.
È bello fare il giro dei padiglioni con
gruppi di tutte le età ed estrazioni sociali. Mi piace ascoltare ciò che dicono
i visitatori mentre passiamo davanti a pezzi di storia più o meno vicini a
loro. Mi piace guardare i loro volti stupiti quando troviamo, già custodita in
museo, l’iniziativa pastorale che, solo qualche giorno prima, il parroco aveva
presentato ai suoi collaboratori come «un’idea
originale e attuale, al passo coi tempi».
Però, il momento che mi piace di più è
quello dell’uscita, quando si torna a camminare per le vie del mondo, quando
non si ha più a che fare con manichini, ma con uomini veri, quando la sicurezza
di una teca allarmata viene sostituita dall’incertezza e dalla complessità
delle relazioni, quando si torna a fare la storia.
A volte l’aria fresca non basta a
svegliare i turisti e alcuni pare proprio che restino come incantati, pare che
respirino un’aria perennemente condizionata, incapaci di vivere la fede come
qualcosa che coinvolge tutto e non solo gli occhi: sentono, guardano, parlano,
ammirano, ma non partecipano. Forse hanno paura che suoni l’allarme!
Altri escono dal museo contenti di aver trovato
finalmente la soluzione: nei padiglioni del museo non è vietato fare le foto e
così, una volta usciti, subito corrono a imitare, copiare, riproporre schemi,
modelli, idee,… Forse a condizionarli è la paura di ascoltare la viva realtà: arrivano
con la risposta pronta e, se qualcuno gli fa notare che essa non è aderente
alla domanda, fanno in modo di adattare la domanda alla risposta.
Per fortuna, molti visitatori non hanno alcuna
intenzione di vivere in un museo. Essi vi entrano mossi da un sincero desiderio
di conoscenza, ma non si sognerebbero mai di abbandonare la dinamicità del
presente per la staticità del passato.
È per questo genere di visitatori che continuo a
fare il mio mestiere, convinto che il compito della storia sia quello di
incoraggiare l’uomo a coinvolgersi veramente nel suo presente! [dGL]
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