venerdì 2 ottobre 2015

La confessione della guida

Nel museo dove lavoro come guida, ci sono tre grandi ambienti da visitare: il padiglione della «chiesa antica», quello della «chiesa contemporanea» e quello della «chiesa del futuro».

Pastori e pecorelle, come turisti, vi si aggirano meravigliandosi di ciò che vedono.

Nel padiglione della «chiesa antica» fanno bella mostra di sé tutti i ricordi delle iniziative che, almeno a detta di un nostalgico, «una volta funzionavano così bene e oggi, inspiegabilmente, non si usano più».

Nel padiglione della «chiesa contemporanea», sono raccolte tradizioni provenienti da un passato prossimo; si tratta di tutte quelle cose che stanno passando di moda, ma in alcuni luoghi sono ancora in uso. Qui i turisti sono presi dai ricordi dell’infanzia o della giovinezza e si vede qualche lacrima di commozione.

Nel padiglione della «chiesa del futuro» sono esposte le nuove teorie, quelle suggerite dalla necessità di aggiornamento, dagli entusiasmi e dalle mode del momento. Di solito a questo punto della visita guidata, i turisti si accendono di entusiasmo e le esclamazioni si susseguono: «Finalmente!», «Era ora!», «Lo dicevo io che bisognava adeguarsi ai tempi moderni!», «Questo è quello che ci vuole per far tornare i giovani!», ...

Accompagno visite guidate da molti anni.
È bello fare il giro dei padiglioni con gruppi di tutte le età ed estrazioni sociali. Mi piace ascoltare ciò che dicono i visitatori mentre passiamo davanti a pezzi di storia più o meno vicini a loro. Mi piace guardare i loro volti stupiti quando troviamo, già custodita in museo, l’iniziativa pastorale che, solo qualche giorno prima, il parroco aveva presentato ai suoi collaboratori come «un’idea originale e attuale, al passo coi tempi».

Però, il momento che mi piace di più è quello dell’uscita, quando si torna a camminare per le vie del mondo, quando non si ha più a che fare con manichini, ma con uomini veri, quando la sicurezza di una teca allarmata viene sostituita dall’incertezza e dalla complessità delle relazioni, quando si torna a fare la storia.

A volte l’aria fresca non basta a svegliare i turisti e alcuni pare proprio che restino come incantati, pare che respirino un’aria perennemente condizionata, incapaci di vivere la fede come qualcosa che coinvolge tutto e non solo gli occhi: sentono, guardano, parlano, ammirano, ma non partecipano. Forse hanno paura che suoni l’allarme!

Altri escono dal museo contenti di aver trovato finalmente la soluzione: nei padiglioni del museo non è vietato fare le foto e così, una volta usciti, subito corrono a imitare, copiare, riproporre schemi, modelli, idee,… Forse a condizionarli è la paura di ascoltare la viva realtà: arrivano con la risposta pronta e, se qualcuno gli fa notare che essa non è aderente alla domanda, fanno in modo di adattare la domanda alla risposta.

Per fortuna, molti visitatori non hanno alcuna intenzione di vivere in un museo. Essi vi entrano mossi da un sincero desiderio di conoscenza, ma non si sognerebbero mai di abbandonare la dinamicità del presente per la staticità del passato.

È per questo genere di visitatori che continuo a fare il mio mestiere, convinto che il compito della storia sia quello di incoraggiare l’uomo a coinvolgersi veramente nel suo presente! [dGL]

Nessun commento:

Posta un commento