È Domenica.
Sto celebrando la messa ed è il momento
della preghiera dei fedeli. Mentre vengono lette le intenzioni, scatta
l’allarme in uno degli altari laterali. Il lettore si ferma e io, una volta
disattivato l’allarme, rassicuro i fedeli: «Tranquilli, sarà stato il buon
ladrone che, per avvicinarsi al Crocifisso, è entrato nella cappellina e ha
fatto suonare l’allarme!».
Durante la Settimana Santa ho portato
con me il buon ladrone, che tanto buono non doveva essere stato; è lui stesso
ad ammetterlo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa
pena? Noi giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le
nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23,40-41).
Guardavo il buon ladrone appeso alla
croce vicino a quella di Gesù e pensavo a come anche la crocifissione possa
essere un tempo favorevole per incontrare la salvezza: in un momento normale,
sarebbe stato molto difficile per il ladrone avvicinarsi a Gesù. E non soltanto
perché avrebbero potuto arrestarlo, ma anche perché intorno a Gesù è facile
trovare bigotti e ben pensanti che sanno chi può avvicinarsi e chi, invece,
deve essere tenuto lontano, chi può parlare e chi, invece, deve stare zitto,
dove Gesù può andare e dove è meglio che non vada,…
Oggi forse quell’uomo crocifisso vicino
a Gesù non ci fa impressione, non ci scandalizza perché quell’aggettivo “buono”
ci fa dimenticare il sostantivo “ladrone”, ci fa guardare con simpatia un uomo
che i suoi contemporanei ritenevano pericoloso, tanto da doverlo crocifiggere.
Normalmente i “ladroni” dei nostri giorni
non riscuotono la stessa simpatia e benevolenza che abbiamo per il buon
ladrone.
Sul Golgota, nelle ultime ore della vita
di Gesù, accade qualcosa di straordinario: uno dei ladroni esprime un desiderio
ed è una preghiera sincera: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo
regno» (Lc 23,42).
Il buon ladrone ha condiviso con Gesù e
con noi quello che c’era nel suo cuore e ha creato un ponte tra noi e lui, una
intersezione. Con le sue parole ci ha rivelato qualcosa di sé che non ci
saremmo aspettati: come noi, lui ha un cuore, dei sentimenti, degli affetti,
delle emozioni, un senso di giustizia, una fede in Dio.
La sua preghiera ci ha fatto scoprire
che i due ladroni sono due uomini e che, com’è ingiusto commettere reati, è
ugualmente ingiusto identificare gli uomini con i crimini che hanno commesso o con
l’elenco dei capi di accusa o con il curriculum
vitae delle violenze di cui sono stati riconosciuti responsabili. C’è
sempre la possibilità di una vita nuova, di una conversione, di una
risurrezione! Essa passa attraverso il riconoscimento del proprio peccato,
della propria miseria e l’accoglienza dalla misericordia di Dio.
Anche il ladrone ha paura; ha paura
della morte e di quello che accadrà dopo la morte; ha paura di essere
dimenticato: «Gesù, ricordati di me…».
Visitare i carcerati è un’opera di
misericordia.
A prima vista potrebbe sembrare un’opera
di misericordia difficilmente praticabile: un qualcosa di riservato ai
cappellani del carcere, alla polizia carceraria e agli operatori e volontari
che assistono i carcerati nella loro vita quotidiana.
Mi sono accorto, invece, che ciascuno di
noi può visitare i carcerati.
Facilmente, aiutati dalla TV e dai
media, noi cristiani ci lasciamo trascinare e prendiamo le distanze dai ladroni,
ci armiamo e spariamo loro addosso senza pietà. È la paura che abbiamo di loro
e delle violenze che hanno compiuto a renderci difficile provare sentimenti di
compassione e di prossimità. I mezzi di comunicazione tendono a mettere il
mostro in prima pagina e ad approfondire i particolari dei delitti, aumentando
la tensione e allargando la differenza tra noi, i buoni, e loro, i cattivi. E
un po’ questo modo di trattare la realtà ci tranquillizza: nel mondo c’è tanta corruzione, tanta violenza, ma noi siamo buoni, noi
facciamo il bene, noi siamo cristiani…
Visitare i carcerati significa provare
per loro sentimenti di compassione, pregare per la loro conversione, perché
siano confortati dalla presenza di persone amiche, significa cercare di
conoscerli meglio e non fermarsi ai reati commessi, significa sforzarsi di vedere
l’umanità nascosta sotto una coltre di peccati,…
Visitare i carcerati è evitare di
imprigionare le persone in schemi che abbiamo costruito su di loro; è liberare
chi da troppo tempo è rinchiuso in giudizi e pregiudizi; è non rifiutare la compagnia
degli emarginati, ma stare con loro, come faceva Gesù.
Visitare i carcerati è accorgersi che
sono uomini come noi,… o che noi siamo uomini come loro...
Mentre scrivo, mi torna in mente una
lettera che ho trovato in un libro di Fabio Scarsato; si tratta della testimonianza
di un Gianluca come me:
«Guardi il cielo, fuori dagli scacchi
disegnati dalle sbarre. Albeggia. Cominci a mettere in sequenza le operazioni
quotidiane. Butti un’occhiata al compagno di cella per vedere se è sveglio. – Buongiorno!
(Chissà se lo sarà veramente… lo si dice comunque). Intanto con la mente “vai”
a casa. Forse i figli si stanno preparando per la scuola… avranno
interrogazioni? Avranno studiato? Forse avevano bisogno di chiedere qualche
consiglio… staranno pensando al papà? Quanto dolore darà loro questo pensiero?...
e, alla fine – ma chi devo incolpare per tutto questo?! Già la risposta non
puoi nasconderla al tuo cuore! Intanto ti sei alzato, hai acceso la moka e
nell’attesa ti sciacqui il viso cercando d’intravedere una figura ancora umana
sul rettangolo di plastica riflettente che qui chiamano specchio. Ti vesti
secondo l’aria. Calda, fredda, non ha importanza, è l’aria che c’è fuori, è
forse l’unica cosa uguale che c’è tra il “dentro” e il “fuori”. I blocchi di
cemento armato che costituiscono la cella, trasfondono fedelmente l’umore
meteorologico esterno. Qualcuno di noi si prepara per “lavorare”. Certo, il
cosiddetto lavoro, qui è molto importante. Ti consente di non pesare sulla
famiglia per quelle poche necessità che hai. E così, qui dentro, alcuni “ladroni”
scoprono il lavoro onesto, dopo anni passati a inseguire la “bella vita”. […]
Qualcuno va a scuola… beh, ecco qui
possiamo trovare, imparare idee o parole, prima sconosciute, che riescono a
dare espressione ai nostri pensieri. Ci aiutano, in qualche modo, a definire
meglio chi siamo, chi vogliamo essere, cosa vogliamo, come lo vogliamo… La
parola in sé, è in grado di esprimere e trasmettere verità potenti e
disarmanti. Capire il significato delle parole, capire come usarle nella nostra
vita e, soprattutto nella nostra quotidianità può essere davvero un’esperienza
che ti aiuta a salvarti la vita. […]
Ogni tanto la settimana è interrotta,
per chi ha la fortuna, da un colloquio con un familiare. In una sala comune,
seduti ad un tavolo con panche fissate a terra, ci si può urlare qualche parola
d’affetto. Un’ora di affetto urlato! Quasi sempre il tempo finisce prima che tu
te ne possa rendere conto e la preoccupazione più grande, da entrambe le parti,
è immancabilmente quella di trasmettere rassicurazioni di benessere. Troppo
poco tempo, troppo poca intimità per poter “scoprire” le proprie ferite, per
permettere a chi ti vuol bene di aiutarti ad affrontare le tue fragilità e le
tue responsabilità» (Fabio Scarsato,
Wanted. Esercizi spirituali francescani
per ladri e briganti, Edizioni Messaggero di Padova).
Un uomo come me, questo Gianluca; un
fratello che ha tutta la mia solidarietà, la mia prossimità.
Leggendo lettere e testimonianze dal
carcere, anche sul nostro settimanale diocesano, non posso che rubare le parole del ladrone: «Gesù,
ricordati di me», perché anch’io, come lui, ho bisogno che Gesù mi dica: «Oggi
con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43).
Don Gian Luca Rosati
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