RIVOLUZIONE A PASSO D’UOMO
di don Primo Mazzolari - 15 maggio 1949
Dio che si fa uomo
per salvare l’uomo pare un racconto fiabesco, mentre l’Incarnazione è il
Mistero che illumina il mistero dell’uomo e di ogni sua cosa.
Se il mondo moderno
avesse dedicato allo studio dell’Incarnazione il tempo e la cura che ha
dedicato alle leggi economiche formulate da Riccardo o da Marx, quanti problemi
dell’uomo avremmo capito e risolto!
Purtroppo, anche
molti cristiani, che non sanno intuire come il momento religioso si inserisca
nella sostanza e nella storia dell’uomo, sono rimasti speculatori astratti e
sterili del Mistero dell’Incarnazione.
Chi crede veramente
in Cristo non può non aver presente che il suo modo di salvarci è la regola su
cui dobbiamo ordinare ogni nostro sforzo di salvezza anche nel temporale.
Questa mancanza d’immaginazione
e di obbedienza al Mistero, è la massima carenza della cristianità moderna, la
quale trascurando di mettere a frutto il dono dell’Incarnazione, si lascia
incantare dalle piccole invenzioni umane, vergognandosi di fronte ad esse di un
patrimonio che, rimanendo sconosciuto ai nostri occhi, diventa spesso oggetto o
tentazione di baratto.
La suggestione in campo
cristiano del socialismo di ieri e del comunismo di oggi non comporta altra
spiegazione. Chi crede di avere e non ha sol perché possiede l’arte di dar
lustro al proprio niente, riesce a destare invidia negli stesi che hanno e non
sanno di avere. La fede diviene incerta e rischia di perdersi, quando s’oscura
in noi quella giusta e naturale estimazione di essa, che pur non essendo
staccata da uno stato di grazia, s’appoggia alla ragionevolezza e all’esperienza
quotidiana. Ciò che serve per il di là, serve anche per il tempo, così che il
vero cristiano è vero uomo, e vero cittadino.
Se i teologi
volessero, avrebbero in mano la possibilità di un magnifico e ineguagliabile
ampliamento sociale della dottrina cattolica, che verrebbe in tal modo sottratta,
non agli indispensabili contributi della tecnica, ma alle influenze e ai
prestiti onerosi di certe ideologie, che, per quanto adattate al pensiero
cristiano, finiscono per togliergli originalità e fecondità proprio in quel campo,
dove oggi avviene un confronto decisivo tra le forze cristiane e quelle non
cristiane.
Ci limiteremo a pochi
accenni, quei che bastano per far convergere l’attenzione degli spiriti più
vigilanti sull’inesauribile lezione del Mistero dell’Incarnazione.
Et homo
factus est
L’uomo non lo si salva
dal di fuori, molto meno forzandone i limiti, sia esaltandolo fino a farne un superuomo, sia avvilendolo fino a
ridurlo a un sotto-uomo.
Se qualcuno si
propone il nostro bene, esso non può essere che su misura dell’uomo: e la
misura va presa dal di dentro, assicurando o accettando la condizione umana, il solo modo di conoscere veramente l’uomo.
Cristo accettò di
fare l’uomo «fino alla morte e alla morte di croce». Questa sua costosa
obbedienza alla condizione di una
creatura, che, uscita perfetta dalle mani del Padre, s’era venuta guastando, è
una divina dichiarazione di rispetto, di stima e di amore all’uomo.
Si salvano le cose
che valgono, e il loro valore è commisurato sul costo della loro salvezza.
Ognuno di noi vale il Cristo che si fa uomo e che muore sulla croce per l’uomo.
Da questo incontro
col Figliuolo di Dio sul piano dell’uomo, da questa «compagnia» che lo fa uno
di noi, viene stabilito il valore incomparabile della persona umana, la sua
dignità, la sua libertà.
Non si fa la
rivoluzione che salva se prima non viene stabilito cosa vale un uomo.
Se vale per ciò che
produce o per altre considerazioni del genere, è fatale che venga trattato come
una merce, come è fatale che venga battuto nella concorrenza di altre forze che
rendono di più e che possono essere usate senza scrupolo.
Cristo, facendosi
uomo ha garantito ad ognuno il suo valore senza prezzo, ravvivando, di fronte
all’egoismo divoratore dell’uomo sull’uomo,
l’intangibilità di quel diritto divino che la creazione aveva impresso sul
volto di ognuno.
Il titolo di
lavoratore è tutt’altro che spregevole, ma è un aggettivo dell’uomo. Il mio
lavoro vale perché è un lavoro di uomo.
Certe scoperte
quindi, sono inconsistenti e pericolose e da sole (in una visione marxista
restano purtroppo da sole) non bastano per una rivoluzione che intenda salvare
non soltanto le braccia o lo stomaco o le opere dell’uomo, che è braccia,
stomaco e qualche cosa di più.
Cristianesimo,
rivoluzione a passo d’uomo
Il mistero dell’Incarnazione
non predica la rivoluzione ma è la stessa rivoluzione nel senso pieno di
salvezza, per il solo fatto che è Dio
nell’uomo.
Il cristianesimo è la rivoluzione di Dio a passo d’uomo.
Il passo dell’uomo è
divenuto insopportabile ai rivoluzionari di mestiere, i quali pur di arrivare
(dove vogliono arrivare?) sono disposti a cancellare l’uomo.
Bernanos ha parlato
della civiltà degli automi: ma la desolazione di quel mondo è niente a
confronto di ciò che possiamo chiamare la rivoluzione
degli automi, che ne sarà la necessaria introduzione.
Meglio rimanere come
Mosè sulle soglie della Terra promessa, in una speranza che ce la fa ancora più
cara, piuttosto che entrarci per farne una terra senza uomini.
Tra una giustizia
che, per farmi stare bene, mi cancella come uomo, e un’ingiustizia che almeno
mi lascia la possibilità di soffrire da uomo, io scelgo l’ingiustizia. Soffrendo
da uomo, pongo le premesse di quella rivoluzione che può cancellare le
ingiustizie senza cancellare l’uomo.
LA RIVOLUZIONE CRISTIANA È LA RIVOLUZIONE
DELL’ULTIMO
Pericolosi
“aggettivi”
All’uomo non è mai
bastato essere uomo: gli è sempre parso troppo poco, una nudità di cui si
vergogna, e fin da principio si è provato a coprirla questa sua naturale
povertà.
Con roba, e ne venne fuori il ricco (homo
dives)
con notizie, e ne venne fuori il sapiente (homo
sapiens)
con armi, e ne venne fuori il potente (homo
potens)
con tanti come lui, e ne venne fuori l’orda, la massa.
L’uomo, però, sotto
le insegne del ricco, del sapiente, del potente, della folla, lo si scopre a
fatica.
Capisco Diogene che
va in cerca dell’uomo: capisco ancora meglio il Vangelo: «Che importa all’uomo
di guadagnare anche tutto il mondo, se poi non trova più se stesso?».
Far baratto dell’essere
per l’avere, prima di essere il nostro dramma, è un mestiere, verso il quale
abbiamo paurose inclinazioni.
In campo sociale
accade lo stesso: direi che lì si paga ancor di più perché si porta via agli
altri. Per essere non occorre rubare:
per avere in quel modo che pare lusinghiero, sì.
Tra
uomo e uomo
Non mi fa paura l’uomo,
mi fanno paura le aggiunte, le quali, pur non essendo pericolose per se stesse,
ci mettono in tentazione di non comportarci da uomini gli uni gli altri.
Se invece del mio
cuore o della mia ragione metto avanti la mia coltura, il mio denaro, il mio
mitra, il confronto non è tra uomo e uomo.
L’astuzia, il sapere,
la forza, il numero, il denaro hanno ragione dell’uomo.
Il regno dei servi non è mai incominciato
diversamente, e, se dura, dura purtroppo per gli stessi motivi.
Il fatto è deplorato
da tutti, ma quando si propone la rivoluzione quasi tutti la propongono sul
vecchio piano e ne paiono soddisfatti e sicuri.
Non c’è novità ove manca la novità evangelica. Non dovrebbe essere difficile l’accorgersene, ma
è tale la fretta di provvedere che pensiamo piuttosto alla volta buona che alla
strada buona. – Stavolta va; deve andare.
E per assicurarcene,
ogni mezzo viene accettato per buono, quasi il male avesse il potere di
liberarci dal male; come se la ricchezza, l’astuzia, la forza e il numero non
procedessero dal Maligno e non possano divenire anche in mano nostra strumenti
di sopraffazione e di sfruttamento.
“Ciò
che fate all’ultimo…”
Cristo, non solo si
fa uomo, ma per toglierci alla suggestione pericolosa delle aggiunte si fa l’ultimo.
L’ultimo è il povero, l’umile, l’inerme, il solo.
E le sue parole non
sono staccate da quello che Egli è: e sono creative appunto perché dice ciò che
Egli è.
– «Beati i poveri:
beati i mansueti – chi di spada ferisce di spada perisce – volete andarvene
anche voi?...».
E sulla croce è nudo,
solo, inchiodato.
Come ultimo egli si mette nelle condizioni di
servire. «Sono venuto per servire non per essere servito». «Il più grande stia
tra voi come colui che serve».
E il rito della
Lavanda sovverte quei criteri gerarchici che non rispettano il valore dell’uomo.
Ciò che può togliere
all’uomo di fare l’uomo, non è necessario per la felicità dell’uomo, la quale
non è legata al «primo», ma all’«ultimo».
«Gli ultimi saranno i
primi». L’ultimo si salva perché è il
solo che salva.
Il capovolgimento è
completo, ma non così assurdo come si crede da molti, i quali non si sono mai
resi conto che gli egoismi sono irrisolvibili sul piano della concorrenza: che
tra uno che non ha e agogna d’avere e uno che ha e si protegge per non dare, la
differenza è solo quantitativa e senza via d’uscita verso la fraternità.
Tra ricchi e no, il
problema più che di giustizia è di successione se ci distacchiamo dalla
tradizione rivoluzionaria cristiana. Dove la quantità del possedere è la
condizione per essere felici, l’equilibrio tra due egoismi o non esiste affatto
o è instabile, come è instabile la pace nell’equilibrio dei blocchi.
L’umano viene unicamente difeso da ciò che
è cristiano. Se prendo una rotta diversa non sbarco più in terra d’uomo, ma in barbaria, ove succede quel che succede,
e ogni cosa che succede è purtroppo paurosamente logica.
Il mio cuore che
sente tuttora cristianamente, potrà condannarla, ma fino a quando, se la mia
logica la giustifica? I comunisti non s’accorgono che vivono di sostanza cristiana: quando l’avranno
esaurita o calpestata come stanno follemente facendo, non potranno nemmeno
ripetere le fatidiche parole che sorreggono la loro propaganda.
Quando
non ci sarà più gusto a fare il ricco
Chi si fa povero
riesce a mettersi coi poveri in una maniera che non offende neanche i ricchi,
ai quali lascia la via aperta a fare lo stesso.
È un invito. «Va’,
vendi ciò che hai; dallo ai poveri, e seguimi».
Quando nessuno
invidiasse i ricchi e nessuno si lasciasse comperare o intimorire dalla ricchezza,
non ci sarebbe più gusto a fare il ricco né il prepotente.
L’uno e l’altro
mestiere non hanno un proprio gusto: glielo diamo noi, mettendoci in
concorrenza.
Primi e
ultimi: più e meno
Non è che non ci sia
un primo nella vita: il Vangelo non nega la realtà che ha il più e il meno.
C’è un primo che va
raggiunto per una strada che è alla portata di tutti e che stabilisce in
maniera vera la possibilità dell’eguaglianza e quindi della felicità senza
togliere a nessuno, perché diventa un dono scambievole in una gara che
restituirebbe sapore e gioia a ogni cosa, poiché ogni cosa diventerebbe
eucaristia e l’uomo un sacerdote.