venerdì 22 novembre 2024

LA RIVOLUZIONE CRISTIANA

RIVOLUZIONE A PASSO D’UOMO

di don Primo Mazzolari - 15 maggio 1949
 
Dio che si fa uomo per salvare l’uomo pare un racconto fiabesco, mentre l’Incarnazione è il Mistero che illumina il mistero dell’uomo e di ogni sua cosa.
Se il mondo moderno avesse dedicato allo studio dell’Incarnazione il tempo e la cura che ha dedicato alle leggi economiche formulate da Riccardo o da Marx, quanti problemi dell’uomo avremmo capito e risolto!
Purtroppo, anche molti cristiani, che non sanno intuire come il momento religioso si inserisca nella sostanza e nella storia dell’uomo, sono rimasti speculatori astratti e sterili del Mistero dell’Incarnazione.
Chi crede veramente in Cristo non può non aver presente che il suo modo di salvarci è la regola su cui dobbiamo ordinare ogni nostro sforzo di salvezza anche nel temporale.
Questa mancanza d’immaginazione e di obbedienza al Mistero, è la massima carenza della cristianità moderna, la quale trascurando di mettere a frutto il dono dell’Incarnazione, si lascia incantare dalle piccole invenzioni umane, vergognandosi di fronte ad esse di un patrimonio che, rimanendo sconosciuto ai nostri occhi, diventa spesso oggetto o tentazione di baratto.
La suggestione in campo cristiano del socialismo di ieri e del comunismo di oggi non comporta altra spiegazione. Chi crede di avere e non ha sol perché possiede l’arte di dar lustro al proprio niente, riesce a destare invidia negli stesi che hanno e non sanno di avere. La fede diviene incerta e rischia di perdersi, quando s’oscura in noi quella giusta e naturale estimazione di essa, che pur non essendo staccata da uno stato di grazia, s’appoggia alla ragionevolezza e all’esperienza quotidiana. Ciò che serve per il di là, serve anche per il tempo, così che il vero cristiano è vero uomo, e vero cittadino.
Se i teologi volessero, avrebbero in mano la possibilità di un magnifico e ineguagliabile ampliamento sociale della dottrina cattolica, che verrebbe in tal modo sottratta, non agli indispensabili contributi della tecnica, ma alle influenze e ai prestiti onerosi di certe ideologie, che, per quanto adattate al pensiero cristiano, finiscono per togliergli originalità e fecondità proprio in quel campo, dove oggi avviene un confronto decisivo tra le forze cristiane e quelle non cristiane.
Ci limiteremo a pochi accenni, quei che bastano per far convergere l’attenzione degli spiriti più vigilanti sull’inesauribile lezione del Mistero dell’Incarnazione.
 
Et homo factus est
L’uomo non lo si salva dal di fuori, molto meno forzandone i limiti, sia esaltandolo fino a farne un superuomo, sia avvilendolo fino a ridurlo a un sotto-uomo.
Se qualcuno si propone il nostro bene, esso non può essere che su misura dell’uomo: e la misura va presa dal di dentro, assicurando o accettando la condizione umana, il solo modo di conoscere veramente l’uomo.
Cristo accettò di fare l’uomo «fino alla morte e alla morte di croce». Questa sua costosa obbedienza alla condizione di una creatura, che, uscita perfetta dalle mani del Padre, s’era venuta guastando, è una divina dichiarazione di rispetto, di stima e di amore all’uomo.
Si salvano le cose che valgono, e il loro valore è commisurato sul costo della loro salvezza. Ognuno di noi vale il Cristo che si fa uomo e che muore sulla croce per l’uomo.
Da questo incontro col Figliuolo di Dio sul piano dell’uomo, da questa «compagnia» che lo fa uno di noi, viene stabilito il valore incomparabile della persona umana, la sua dignità, la sua libertà.
Non si fa la rivoluzione che salva se prima non viene stabilito cosa vale un uomo.
Se vale per ciò che produce o per altre considerazioni del genere, è fatale che venga trattato come una merce, come è fatale che venga battuto nella concorrenza di altre forze che rendono di più e che possono essere usate senza scrupolo.
Cristo, facendosi uomo ha garantito ad ognuno il suo valore senza prezzo, ravvivando, di fronte all’egoismo divoratore dell’uomo sull’uomo, l’intangibilità di quel diritto divino che la creazione aveva impresso sul volto di ognuno.
Il titolo di lavoratore è tutt’altro che spregevole, ma è un aggettivo dell’uomo. Il mio lavoro vale perché è un lavoro di uomo.
Certe scoperte quindi, sono inconsistenti e pericolose e da sole (in una visione marxista restano purtroppo da sole) non bastano per una rivoluzione che intenda salvare non soltanto le braccia o lo stomaco o le opere dell’uomo, che è braccia, stomaco e qualche cosa di più.
 
Cristianesimo, rivoluzione a passo d’uomo
Il mistero dell’Incarnazione non predica la rivoluzione ma è la stessa rivoluzione nel senso pieno di salvezza, per il solo fatto che è Dio nell’uomo.
Il cristianesimo è la rivoluzione di Dio a passo d’uomo.
Il passo dell’uomo è divenuto insopportabile ai rivoluzionari di mestiere, i quali pur di arrivare (dove vogliono arrivare?) sono disposti a cancellare l’uomo.
Bernanos ha parlato della civiltà degli automi: ma la desolazione di quel mondo è niente a confronto di ciò che possiamo chiamare la rivoluzione degli automi, che ne sarà la necessaria introduzione.
Meglio rimanere come Mosè sulle soglie della Terra promessa, in una speranza che ce la fa ancora più cara, piuttosto che entrarci per farne una terra senza uomini.
Tra una giustizia che, per farmi stare bene, mi cancella come uomo, e un’ingiustizia che almeno mi lascia la possibilità di soffrire da uomo, io scelgo l’ingiustizia. Soffrendo da uomo, pongo le premesse di quella rivoluzione che può cancellare le ingiustizie senza cancellare l’uomo.
 
 
LA RIVOLUZIONE CRISTIANA È LA RIVOLUZIONE DELL’ULTIMO
 
Pericolosi “aggettivi”
All’uomo non è mai bastato essere uomo: gli è sempre parso troppo poco, una nudità di cui si vergogna, e fin da principio si è provato a coprirla questa sua naturale povertà.
Con roba, e ne venne fuori il ricco (homo dives)
con notizie, e ne venne fuori il sapiente (homo sapiens)
con armi, e ne venne fuori il potente (homo potens)
con tanti come lui, e ne venne fuori l’orda, la massa.
L’uomo, però, sotto le insegne del ricco, del sapiente, del potente, della folla, lo si scopre a fatica.
Capisco Diogene che va in cerca dell’uomo: capisco ancora meglio il Vangelo: «Che importa all’uomo di guadagnare anche tutto il mondo, se poi non trova più se stesso?».
Far baratto dell’essere per l’avere, prima di essere il nostro dramma, è un mestiere, verso il quale abbiamo paurose inclinazioni.
In campo sociale accade lo stesso: direi che lì si paga ancor di più perché si porta via agli altri. Per essere non occorre rubare: per avere in quel modo che pare lusinghiero, sì.
 
Tra uomo e uomo
Non mi fa paura l’uomo, mi fanno paura le aggiunte, le quali, pur non essendo pericolose per se stesse, ci mettono in tentazione di non comportarci da uomini gli uni gli altri.
Se invece del mio cuore o della mia ragione metto avanti la mia coltura, il mio denaro, il mio mitra, il confronto non è tra uomo e uomo.
L’astuzia, il sapere, la forza, il numero, il denaro hanno ragione dell’uomo.
Il regno dei servi non è mai incominciato diversamente, e, se dura, dura purtroppo per gli stessi motivi.
Il fatto è deplorato da tutti, ma quando si propone la rivoluzione quasi tutti la propongono sul vecchio piano e ne paiono soddisfatti e sicuri.
Non c’è novità ove manca la novità evangelica. Non dovrebbe essere difficile l’accorgersene, ma è tale la fretta di provvedere che pensiamo piuttosto alla volta buona che alla strada buona. – Stavolta va; deve andare.
E per assicurarcene, ogni mezzo viene accettato per buono, quasi il male avesse il potere di liberarci dal male; come se la ricchezza, l’astuzia, la forza e il numero non procedessero dal Maligno e non possano divenire anche in mano nostra strumenti di sopraffazione e di sfruttamento.
 
“Ciò che fate all’ultimo…”
Cristo, non solo si fa uomo, ma per toglierci alla suggestione pericolosa delle aggiunte si fa l’ultimo.
L’ultimo è il povero, l’umile, l’inerme, il solo.
E le sue parole non sono staccate da quello che Egli è: e sono creative appunto perché dice ciò che Egli è.
– «Beati i poveri: beati i mansueti – chi di spada ferisce di spada perisce – volete andarvene anche voi?...».
E sulla croce è nudo, solo, inchiodato.
Come ultimo egli si mette nelle condizioni di servire. «Sono venuto per servire non per essere servito». «Il più grande stia tra voi come colui che serve».
E il rito della Lavanda sovverte quei criteri gerarchici che non rispettano il valore dell’uomo.
Ciò che può togliere all’uomo di fare l’uomo, non è necessario per la felicità dell’uomo, la quale non è legata al «primo», ma all’«ultimo».
«Gli ultimi saranno i primi». L’ultimo si salva perché è il solo che salva.
Il capovolgimento è completo, ma non così assurdo come si crede da molti, i quali non si sono mai resi conto che gli egoismi sono irrisolvibili sul piano della concorrenza: che tra uno che non ha e agogna d’avere e uno che ha e si protegge per non dare, la differenza è solo quantitativa e senza via d’uscita verso la fraternità.
Tra ricchi e no, il problema più che di giustizia è di successione se ci distacchiamo dalla tradizione rivoluzionaria cristiana. Dove la quantità del possedere è la condizione per essere felici, l’equilibrio tra due egoismi o non esiste affatto o è instabile, come è instabile la pace nell’equilibrio dei blocchi.
L’umano viene unicamente difeso da ciò che è cristiano. Se prendo una rotta diversa non sbarco più in terra d’uomo, ma in barbaria, ove succede quel che succede, e ogni cosa che succede è purtroppo paurosamente logica.
Il mio cuore che sente tuttora cristianamente, potrà condannarla, ma fino a quando, se la mia logica la giustifica? I comunisti non s’accorgono che vivono di sostanza cristiana: quando l’avranno esaurita o calpestata come stanno follemente facendo, non potranno nemmeno ripetere le fatidiche parole che sorreggono la loro propaganda.
 
Quando non ci sarà più gusto a fare il ricco
Chi si fa povero riesce a mettersi coi poveri in una maniera che non offende neanche i ricchi, ai quali lascia la via aperta a fare lo stesso.
È un invito. «Va’, vendi ciò che hai; dallo ai poveri, e seguimi».
Quando nessuno invidiasse i ricchi e nessuno si lasciasse comperare o intimorire dalla ricchezza, non ci sarebbe più gusto a fare il ricco né il prepotente.
L’uno e l’altro mestiere non hanno un proprio gusto: glielo diamo noi, mettendoci in concorrenza.
 
Primi e ultimi: più e meno
Non è che non ci sia un primo nella vita: il Vangelo non nega la realtà che ha il più e il meno.
C’è un primo che va raggiunto per una strada che è alla portata di tutti e che stabilisce in maniera vera la possibilità dell’eguaglianza e quindi della felicità senza togliere a nessuno, perché diventa un dono scambievole in una gara che restituirebbe sapore e gioia a ogni cosa, poiché ogni cosa diventerebbe eucaristia e l’uomo un sacerdote.

lunedì 18 novembre 2024

Ma non possiamo celebrarlo prima?

A pranzo don Domenico cominciò a raccontare:

«Quando ero vice-parroco a San Filippo Neri (1966-1975), un giorno è venuto in parrocchia un uomo a chiedere il Battesimo per suo figlio.
Ci siamo accordati per la Domenica, ma quando gli ho comunicato l'orario del Battesimo, ha cominciato a dire che era troppo tardi e a chiedere di celebrarlo nella Messa precedente, perché lui, subito dopo, doveva partire per motivi di lavoro.

Viste le sue motivazioni, alla fine ho deciso di anticipare il Battesimo rispetto al solito orario.

La Domenica mattina, dopo la Messa, ho salutato la famiglia del bambino e il papà che aveva urgenza di partire.

Dopo pranzo, sono andato al Ballarin a vedere la partita della Samb.
Mentre, tifoso tra i tifosi, seguivo il gioco delle due squadre, ho sentito dietro di me una voce che mi sembrava di conoscere.
Mi sono girato e chi mi sono ritrovato davanti? Il papà del bambino!
L'ho guardato e sorridendo gli ho detto: "E me lo potevi dire che era perché dovevi venire a vedere la Samb! Lo vedi che avremmo fatto in tempo? Sono qui anch'io!"».

martedì 12 novembre 2024

Salvezza


«È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini...» (Tt 2,11).
Oggi questa frase di S. Paolo a Tito mi ha rapito e portato indietro nel tempo e poi avanti fino al presente e oltre verso il futuro.
È stato un viaggio bellissimo in compagnia della grazia di Dio che è apparsa e rimane con noi per sempre!
Ho ricordato come mi ha raggiunto, illuminato, guidato e come ancora oggi mi guida e mi accompagna, facendo di tutto perché io non mi perda.
Ho considerato e apprezzato come la grazia di Dio è apparsa per non scomparire più e questo mi ha dato una grande gioia!
Ho provato a condividerla con i fedeli della Messa delle 9.00, ricordando loro che quando è stata costruita questa nostra chiesa, intorno c'era solo campagna e pochissimi edifici (così mi raccontano i più anziani) e che, dopo la costruzione della chiesa, sono sorte le case, come una fonte d'acqua irriga e rende fertile tutto ciò che bagna.
Ho ricordato loro che il cuore pulsante è sempre il Cristo (la Sua Parola e l'Eucaristia) e che noi, Sue membra, dopo la Messa portiamo ovunque la grazia che abbiamo ricevuto, come dal cuore s'irradia la vita per raggiungere tutte le periferie del corpo umano e farle vivere!
Che meraviglia poter iniziare la giornata così!