sabato 13 febbraio 2021

Riprendere, ma piano piano…

 


Ogni volta che c’è un’apertura, c’è il rischio di una frenesia nell’uscire, senza più tenere conto delle precauzioni, della sicurezza e dei gravi motivi che ci hanno tenuto chiusi in casa.
 
Se all’inizio prevaleva in me l’indignazione e la rabbia per atteggiamenti che mi apparivano irresponsabili, dopo qualche tempo, considerando che a fare assembramenti erano persone di tutte le età, ed essendomi trovato anch’io in qualche “circoletto” (sempre con la mascherina e sempre a distanza di sicurezza), ho cominciato a esaminare me stesso per cercare di capire cos’altro ci fosse dietro quella che immediatamente appariva come una mia colpevole imprudenza.
 
Ho riconosciuto in me diversi fattori che si sono sommati e che penso possano scatenare in tutti noi la fretta di riprenderci qualcosa che ci è stato tolto.
 
Un primo fattore è la poca disponibilità al sacrificio e alla rinuncia: abituato ad avere tutto e subito, mi sembra impossibile tornare indietro e accettare scelte che non producono un effetto immediato, ma richiedono tempo, pazienza, fiducia, rinuncia, sacrificio,…
 
Un secondo fattore è la scarsa capacità di apprezzare e farmi bastare l’essenziale: per stare bene, mi occorrono tante cose e anche il superfluo mi è diventato caro, forse addirittura necessario. Così quando qualcosa mi viene a mancare, mi sento perso o disorientato e divento irritabile, lamentoso, impaziente (succede anche quando la rete internet non funziona e non posso avere accesso immediato all’informazione che mi serve).
 
Un terzo fattore è la sfiducia nelle istituzioni: è diventato ricorrente e diffuso il dubbio sulla reale attenzione che i governanti hanno per il bene comune, sulla loro lungimiranza e competenza, e sulla loro capacità di gestire le risorse per il bene di tutti e non di singole parti.
 
Un quarto fattore è il sospetto di essere stato chiuso in gabbia. Questo sospetto viene alimentato quotidianamente da chi sceglie di diffondere fake news e teorie del complotto. E, poiché questi professionisti della falsità vengono ospitati anche in TV, le loro strampalate teorie riescono a intaccare e minare la fiducia di milioni di persone.
 
Un quinto fattore – forse il più importante – è che siamo esseri sociali e non possiamo fare a meno della dimensione sociale per troppo tempo.
Uno potrebbe pensare che un anno non è troppo tempo, ma in realtà abbiamo cominciato a fare a meno della dimensione sociale da molti anni.
Privilegiando il mondo virtuale e social, le relazioni istantanee legate a un like o a un click, abbiamo iniziato a pensare che i follower fossero l’equivalente degli amici, e che i profili social bastassero a farci conoscere realmente com’è una persona e a metterci in relazione.
Così abbiamo trascurato le relazioni con le persone che abitano il nostro quotidiano: famiglia, colleghi di lavoro, amici, concittadini, conoscenti,… e ci siamo sentiti appagati da tante connessioni a tempo rese possibili dai social.
E ci sembrava di essere tutti felici e contenti,…
 
Ora, la paura di perdere tutto, la scelta obbligata di stare a distanza di sicurezza e di privilegiare chat, video-chiamate, mail, telefonate,… ci ha rivelato che un emoticon non è come un abbraccio, che una voce non è come la presenza, che fare un aperi-video (aperitivo fatto in videoconferenza) non è lo stesso che essere in piazza, in ufficio, al bar, e che tanti follower non fanno un amico,…
E così c’è come una frenesia in noi perché vogliamo recuperare quello che in vent’anni, piano piano, abbiamo scelto – più o meno consapevolmente – di perdere.
 
Mi ha fatto molto riflettere, a questo proposito, il caso degli anziani nelle RSA: improvvisamente sono diventati il centro delle attenzioni affettive di tutti, quando, fino a un anno fa, le persone ricoverate, e anche gli ammalati e gli anziani nelle loro case, non erano così cercati da parenti e amici.
 
E chissà quanti altri fattori potrei ancora elencare…
 
Ora è certamente il tempo di smettere di puntare il dito e colpevolizzare!
 
È, invece, il tempo di cominciare ad accogliere, comprendere, accompagnare,
ricordando quello che ci succedeva da piccoli,
quando, assetati in una caldissima giornata d’estate,
finalmente potevamo dissetarci a una fonte di acqua fresca,
e chi ci voleva bene ci raccomandava:
«Bevi piano, ché ti fa male!». [dGL]

Nessun commento:

Posta un commento