venerdì 17 novembre 2017

Testimoni di una parola più forte di qualsiasi spada

«Una spada se ne stava nell’angolo di una stanza. La superficie lucente della lama d’acciaio, toccata dal raggio del sole, brillava d’un bagliore rossastro. Con fierezza la spada si guardò intorno; vide che tutto si pasceva del suo splendore. Tutto? Eppure no! Là sul tavolo, appoggiata inoperosa a un calamaio, c’era una penna, a cui non passava neanche per la mente di inchinarsi davanti alla maestà scintillante di quell’arma. La spada si indispettì e incominciò dunque a parlare…» (da R. M. Rilke, I racconti, Guanda, p. 9).

Inizia così un gustoso dialogo tra “penna e spada” che mi porta a riflettere sulla facilità con cui oggi si maneggiano armi e si tirano pugni. Sarà forse perché abbiamo dimenticato la penna? Non intendo con questo squalificare pc, tablet e strumenti vari, ma denunciare il progressivo abbandono della parola, del dialogo, della trattativa non violenta, del rispetto dell’altro,… dell’amore per la pace!

Nel racconto di Rainer Maria Rilke, una penna ha il coraggio di non inchinarsi davanti alla spada; questo atteggiamento della penna non è dovuto a spavalderia, ma alla coscienza del suo valore. Il dialogo vede addirittura la penna proporre una sfida alla spada:

«Vorresti proporre a me una scommessa?» rise insolente la spada.
«Purché ti arrischi ad accettarla.»
«Eccome se l’accetto!»
«Cosa scommettiamo?»
La penna si tirò su, assunse un contegno rigido e grave e cominciò: «Scommettiamo che se voglio sono capace di impedirti di andare al tuo lavoro, in battaglia?»
«Oh, oh, suona proprio audace!»
«Siamo d’accordo?»
«Accetto»
«Bene» disse la penna. «Stiamo a vedere» (da R. M. Rilke, I racconti, Guanda, p. 10).

La sfida mi fa tornare in mente un film sulla storia di una campionessa di scacchi ugandese. Nel film il gioco degli scacchi viene proposto ai ragazzi poveri dal coach come un’occasione di riscatto. Non ci sono armi, né violenza: tutto si svolge su una scacchiera, ma chi guarda il film si accorge che per i protagonisti non si tratta solo di un gioco. Una bambina, spiegando come un pedone durante la partita può diventare regina se riesce ad arrivare in fondo alla scacchiera, dice alla compagna di gioco: «Negli scacchi il piccolo ha la possibilità di diventare grande e questo mi piace».

Noi adulti, proprio come quel coach, dovremmo acquisire la capacità di mostrare ai nostri piccoli vie di crescita, possibilità di riscatto; dovremmo trovare il modo di testimoniare il valore dei gesti virtuosi, che non producono un profitto materiale, ma fanno tanto bene a chi li compie e a chi li riceve.

Anche l’istruzione scolastica rischia di essere vista in funzione di un immediato impiego e le parole che si imparano sono solo quelle strettamente necessarie. A che serve leggere libri, quando quello di cui c’è bisogno è a portata di click?
Si procede per abbreviazioni e ci si accontenta di informazioni parziali. E guai ad approfondire le questioni o a verificare le fonti di informazione, perché “approfondire” e “verificare” sono percepiti come sinonimi di “perdere tempo”. Invece, bisogna sbrigarsi, bisogna correre, perché sbrigandosi, aumenta il tempo libero.

Così, camminando per le strade, possiamo ammirare alte montagne di tempo libero. Ma il tempo libero, quando è troppo, annoia e l’ozio resta sempre il padre dei vizi. E se le colline ben lavorate ci affascinano e ci ricordano la vocazione dell’uomo alla custodia del creato, le montagne di tempo libero ci inquietano, ci rattristano, ci fanno star male, non ci fanno dormire: scritte sui muri, cassonetti incendiati, auto danneggiate, ragazzi picchiati, persone violentate,…

Alla radio si lamenta la mancanza di allenatori di calcio che abbiano a cuore la crescita e la formazione dei giovani; si lamenta la mancanza di fantasia negli esercizi che vengono proposti ai piccoli calciatori. Ricordo il Mister dell’Unione Sportiva Folgore che ci raccomandava sempre di andare a dormire presto la sera, di condurre una vita regolata e anche di andare a messa la Domenica! Ma adesso qualcuno penserà che erano altri tempi!

I ragazzi si lamentano dell’inutilità del greco e del latino studiati a scuola. Effettivamente, dopo qualche anno, si rischia di dimenticare queste lingue, ma la capacità di ragionare, l’attenzione a scegliere, tra tante, la parola più appropriata per tradurre un’espressione e il gusto per la ricerca, acquisito spaginando per ore i dizionari, restano per sempre e si possono applicare in ogni campo, di gioco o di impiego.

Le cose belle nella vita si fanno per amore, non per guadagno. Indottrinare i nostri piccoli in modo da creare dei piccoli consumatori non è sano, non è un bel favore che gli facciamo. Aiutarli a pensare, offrire loro dei vocaboli perché possano esprimere le loro ragioni, le loro passioni, i loro sogni, e anche le loro rabbie e delusioni, tutto questo è compito di chi li ama, di chi sente forte nel cuore la passione educativa.

Il consumismo non ama i cuccioli d’uomo, il materialismo non ama i cuccioli d’uomo. Consumismo e materialismo non amano l’uomo; vogliono ridurlo a un consumatore e tutto ciò che riduce l’uomo, non è per il bene dell’uomo! Noi siamo uomini, non consumatori!

È inutile oggi parlare di bullismo, se non si offrono alla vittima le parole e il coraggio per denunciare, ma anche per perdonare.
È inutile oggi parlare di bullismo, se non si offrono al bullo le parole per ammettere le sue colpe, dire la verità, chiedere perdono e provare a cambiare.

Limitarsi a condannare e a mettere in punizione, continuando a dividere i ragazzi in “buoni e cattivi”, “educati e maleducati”, “giusti e sbagliati”, “santi e peccatori”, significa anestetizzare la nostra coscienza perché non ci ricordi le nostre responsabilità di adulti nei confronti dei più piccoli.

Mi piacerebbe che a scuola si leggesse questo racconto di penna e spada.
Mi piacerebbe che Rilke e altri suoi colleghi, maestri d’umanità e di buoni pensieri, tornassero a parlare a figli e genitori! [dGL]

Ps: Stavo dimenticando la parte finale del racconto…

«Erano passati pochi minuti dalla conclusione della scommessa, quando fece ingresso un giovane in una preziosa cotta d’arme e, afferrata la spada, la allacciò al fianco. Quindi contemplò compiaciuto la lama folgorante. Fuori risuonavano squilli di tromba, rulli di tamburo… si andava in battaglia. Il giovane stava per abbandonare la stanza quando entrò un uomo che, a giudicare dai ricchi fregi, doveva occupare un’alta posizione. Il giovane gli fece un inchino profondo. Il dignitario si era frattanto avvicinato al tavolo, aveva preso la penna e scritto in fretta qualcosa. «Il trattato di pace è già firmato» disse sorridendo. Il giovane ripose la spada nell’angolo ed entrambi lasciarono la stanza.
Ma sul tavolo era posata la penna. Il raggio di sole giocava con lei e il metallo inumidito riluceva splendente.
«Non ti appresti alla battaglia, mia cara spada?» chiese sorridendo. Ma la spada rimase silenziosa nell’angolo buio. Credo che abbia smesso di darsi arie» (da R. M. Rilke, I racconti, Guanda, p. 11).

[Il racconto nella sua versione integrale – qui ho riportato solo alcune parti necessarie alla trattazione – potete leggerlo in R. M. Rilke, I racconti, Guanda]

Nessun commento:

Posta un commento