«Una spada se ne stava nell’angolo
di una stanza. La superficie lucente della lama d’acciaio, toccata dal raggio
del sole, brillava d’un bagliore rossastro. Con fierezza la spada si guardò
intorno; vide che tutto si pasceva del suo splendore. Tutto? Eppure no! Là sul
tavolo, appoggiata inoperosa a un calamaio, c’era una penna, a cui non passava
neanche per la mente di inchinarsi davanti alla maestà scintillante di quell’arma.
La spada si indispettì e incominciò dunque a parlare…» (da R. M. Rilke, I racconti, Guanda, p. 9).
Inizia così un gustoso dialogo tra “penna
e spada” che mi porta a riflettere sulla facilità con cui oggi si maneggiano
armi e si tirano pugni. Sarà forse perché abbiamo dimenticato la penna? Non
intendo con questo squalificare pc, tablet e strumenti vari, ma denunciare il
progressivo abbandono della parola, del dialogo, della trattativa non violenta,
del rispetto dell’altro,… dell’amore per la pace!
Nel racconto di Rainer Maria Rilke, una
penna ha il coraggio di non inchinarsi davanti alla spada; questo atteggiamento
della penna non è dovuto a spavalderia, ma alla coscienza del suo valore. Il
dialogo vede addirittura la penna proporre una sfida alla spada:
«Vorresti proporre a me una scommessa?» rise insolente la
spada.
«Purché ti arrischi ad
accettarla.»
«Eccome se l’accetto!»
«Cosa scommettiamo?»
La penna si tirò su,
assunse un contegno rigido e grave e cominciò: «Scommettiamo che se voglio sono
capace di impedirti di andare al tuo lavoro, in battaglia?»
«Oh, oh, suona proprio
audace!»
«Siamo d’accordo?»
«Accetto»
«Bene» disse la penna. «Stiamo
a vedere» (da R. M. Rilke, I racconti,
Guanda, p. 10).
La sfida mi fa tornare in mente un film
sulla storia di una campionessa di scacchi ugandese. Nel film il gioco degli
scacchi viene proposto ai ragazzi poveri dal coach come un’occasione di riscatto. Non ci sono armi, né violenza:
tutto si svolge su una scacchiera, ma chi guarda il film si accorge che per i
protagonisti non si tratta solo di un gioco. Una bambina, spiegando come un
pedone durante la partita può diventare regina se riesce ad arrivare in fondo
alla scacchiera, dice alla compagna di gioco: «Negli scacchi il piccolo ha la
possibilità di diventare grande e questo mi piace».
Noi adulti, proprio come quel coach, dovremmo acquisire la capacità di
mostrare ai nostri piccoli vie di crescita, possibilità di riscatto; dovremmo
trovare il modo di testimoniare il valore dei gesti virtuosi, che non producono
un profitto materiale, ma fanno tanto bene a chi li compie e a chi li riceve.
Anche l’istruzione scolastica rischia di
essere vista in funzione di un immediato impiego e le parole che si imparano
sono solo quelle strettamente necessarie. A che serve leggere libri, quando quello
di cui c’è bisogno è a portata di click?
Si procede per abbreviazioni e ci si
accontenta di informazioni parziali. E guai ad approfondire le questioni o a
verificare le fonti di informazione, perché “approfondire” e “verificare” sono
percepiti come sinonimi di “perdere tempo”. Invece, bisogna sbrigarsi, bisogna
correre, perché sbrigandosi, aumenta il tempo libero.
Così, camminando per le strade, possiamo
ammirare alte montagne di tempo libero. Ma il tempo libero, quando è troppo,
annoia e l’ozio resta sempre il padre dei vizi. E se le colline ben lavorate ci
affascinano e ci ricordano la vocazione dell’uomo alla custodia del creato, le
montagne di tempo libero ci inquietano, ci rattristano, ci fanno star male, non
ci fanno dormire: scritte sui muri, cassonetti incendiati, auto danneggiate, ragazzi
picchiati, persone violentate,…
Alla radio si lamenta la mancanza di
allenatori di calcio che abbiano a cuore la crescita e la formazione dei
giovani; si lamenta la mancanza di fantasia negli esercizi che vengono proposti
ai piccoli calciatori. Ricordo il Mister
dell’Unione Sportiva Folgore che ci raccomandava sempre di andare a dormire
presto la sera, di condurre una vita regolata e anche di andare a messa la
Domenica! Ma adesso qualcuno penserà che erano altri tempi!
I ragazzi si lamentano dell’inutilità
del greco e del latino studiati a scuola. Effettivamente, dopo qualche anno, si
rischia di dimenticare queste lingue, ma la capacità di ragionare, l’attenzione
a scegliere, tra tante, la parola più appropriata per tradurre un’espressione e
il gusto per la ricerca, acquisito spaginando per ore i dizionari, restano per
sempre e si possono applicare in ogni campo, di gioco o di impiego.
Le cose belle nella vita si fanno per
amore, non per guadagno. Indottrinare i nostri piccoli in modo da creare dei piccoli
consumatori non è sano, non è un bel favore che gli facciamo. Aiutarli a
pensare, offrire loro dei vocaboli perché possano esprimere le loro ragioni, le
loro passioni, i loro sogni, e anche le loro rabbie e delusioni, tutto questo è
compito di chi li ama, di chi sente forte nel cuore la passione educativa.
Il consumismo non ama i cuccioli d’uomo,
il materialismo non ama i cuccioli d’uomo. Consumismo e materialismo non amano
l’uomo; vogliono ridurlo a un consumatore e tutto ciò che riduce l’uomo, non è
per il bene dell’uomo! Noi siamo uomini, non consumatori!
È inutile oggi parlare di bullismo, se
non si offrono alla vittima le parole e il coraggio per denunciare, ma anche
per perdonare.
È inutile oggi parlare di bullismo, se
non si offrono al bullo le parole per ammettere le sue colpe, dire la verità, chiedere
perdono e provare a cambiare.
Limitarsi a condannare e a mettere in
punizione, continuando a dividere i ragazzi in “buoni e cattivi”, “educati e
maleducati”, “giusti e sbagliati”, “santi e peccatori”, significa anestetizzare
la nostra coscienza perché non ci ricordi le nostre responsabilità di adulti
nei confronti dei più piccoli.
Mi piacerebbe che a scuola si leggesse
questo racconto di penna e spada.
Mi piacerebbe che Rilke e altri suoi colleghi,
maestri d’umanità e di buoni pensieri, tornassero a parlare a figli e genitori!
[dGL]
Ps: Stavo dimenticando la parte finale del
racconto…
«Erano passati pochi minuti
dalla conclusione della scommessa, quando fece ingresso un giovane in una
preziosa cotta d’arme e, afferrata la spada, la allacciò al fianco. Quindi contemplò
compiaciuto la lama folgorante. Fuori risuonavano squilli di tromba, rulli di
tamburo… si andava in battaglia. Il giovane stava per abbandonare la stanza
quando entrò un uomo che, a giudicare dai ricchi fregi, doveva occupare un’alta
posizione. Il giovane gli fece un inchino profondo. Il dignitario si era
frattanto avvicinato al tavolo, aveva preso la penna e scritto in fretta
qualcosa. «Il trattato di pace è già firmato» disse sorridendo. Il giovane
ripose la spada nell’angolo ed entrambi lasciarono la stanza.
Ma sul tavolo era posata la
penna. Il raggio di sole giocava con lei e il metallo inumidito riluceva
splendente.
«Non ti appresti alla
battaglia, mia cara spada?» chiese sorridendo. Ma la spada rimase silenziosa
nell’angolo buio. Credo che abbia smesso di darsi arie» (da
R. M. Rilke, I racconti, Guanda, p. 11).
[Il racconto nella sua versione integrale – qui
ho riportato solo alcune parti necessarie alla trattazione – potete leggerlo in
R. M. Rilke, I racconti, Guanda]
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