giovedì 28 agosto 2014

Il Samaritano – don Primo Mazzolari

Fasciar piaghe, versarvi sopra olio e vino, mettere il ferito sulla cavalcatura, menarlo a un albergo, non sono imprese degne degli eroi di Plutarco, sono però le cose che in quel momento importavano davvero.
Nulla è più stupido d’una grandezza dimentica di ciò che occorre per vivere e far vivere da uomo.
Il Samaritano opera coi mezzi di cui dispone lì per lì. Non attende una condizione ideale, una perfezione, neanche aiuti.
Quando un uomo muore, non si può attendere né pretendere.
L’esigenza della perfezione, nei mezzi come nell’animo, è un altro rifiuto della neghittosità.
Il santo non attende la perfezione prima di incominciare a fare il bene.
«Chi fa la verità viene alla luce». Chi rimane inerte di fronte alla sofferenza dell’ora non ha né fede né carità. Le sue giustificazioni salgono da un fondo di gretto materialismo o di presunzione «scordata». Egli è un borghese dello spirito, mentre l’uomo veramente spirituale sa essere, all’occorrenza, imprevidente e temerario, alla maniera del Vangelo.
«Non fate provvisione né d’oro, né d’argento, né di rame nelle vostre cinture, né di sacca da viaggio, né di due tuniche, né di calzari, né di bastone».
E la missione che il Cristo affidava agli apostoli, dopo averli così equipaggiati, non è una missione qualunque. «Sanate gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate i demoni e dite: il regno dei cieli è vicino» (Mt 10,8).
Sta bene che l’uomo senta nell’agire il tormento della propria imperfezione.
Forse è proprio questo tormento che non ci lascia pace, che ci spinge avanti di speranza in speranza, d’insuccesso in insuccesso, che spezza le radici dell’orgoglio, e ci mostra, proprio nel momento in cui moviamo in aiuto di un fratello, tutta la nostra miseria, forse è, dico, proprio questo senso di non poter compiere quello che si deve compiere, la cosa più divina in noi. Il pungolo che ci tiene fedeli alla vita. La fonte che ci abbevera eternamente. Che io aiuti, che io non aiuti, il male rinasce sempre, e mai, mai devo credermi al termine della mia fatica. Mai avrò compiuto perfettamente il mio dovere: eppure ci sarà sempre una voce che mi chiamerà all’opera, ancora, ancora. Non è questo il divino? Non è questo il cammino che porta a Dio?

Il Samaritano fa una cosa per volta: procede con calma e con ordine. Non ha fretta pur avendone molta. Chi crede non ha fretta, quantunque preghi ansiosamente: «Signore, vieni subito in mio aiuto».
Il tempo non è tempo per chi sa d’essere eterno e sa che non si può camminare davanti alla Provvidenza.
Nella calma dell’animo e dell’opera, la sollecitudine rimane ancor più viva e moltiplica energie e intelligenza. Il suo ufficio, in questo momento, ha confini precisi; egli vi si dedica interamente, badando di non oltrepassarli neppur col desiderio.
         Quello che può accadere par quasi non lo riguardi. Comunque riesca il suo sforzo, il bene ch’egli fa, vince il male degli altri, cioè il suo male di ieri. «E quando avete fatto ogni cosa dite: sono un servo inutile». [don Primo Mazzolari, Il Samaritano]

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