L’illusione si
rivela tale troppo tardi, quando ormai non possiamo far altro che accorgerci di
ciò che abbiamo perso. Il piacere se ne va frettoloso, forse perché un po’ si
vergogna di essere stato l’inconsapevole complice di un raggiro. Al suo posto
si fa strada un’amarezza che sarà difficile cancellare.
Ci lasciamo
conquistare dall’idea che tutto sia buono, che tutto sia lecito, che tutto
giovi, che tutto vada provato per essere in grado di conoscere e di saper
giudicare, quasi fossimo noi i primi uomini sulla terra e soltanto dalle nostre
esperienze dipendesse la nostra vita, il confine tra ciò che è bene e ciò che è
male.
Si parla di
memoria, di storia, di ricordo, di tradizione, di tesori che ci vengono
consegnati dal passato, di grandi uomini che ci hanno preceduto lasciando il
mondo migliore di come l’avevano trovato. Se ne parla, ma troppo tardi o in
luoghi poco frequentati.
è
questa la dolorosa sensazione che mi assale constatando una superficialità
dilagante che, se va bene, non produce grossi danni, solo qualche ubriacatura o
qualche colpo di testa; se va male, e ho l’impressione che spesso vada male, disorienta
e compromette la vita stessa.
A volte mi
capita di pensare ai primi uomini e a come abbiano imparato cos’era velenoso e
cos’era commestibile. Probabilmente qualcuno avrà pagato l’esperienza con la
vita e successivamente i suoi familiari avranno classificato quel determinato
cibo come un veleno, evitando di consumarlo. Se con i veleni funziona così, mi chiedo
perché sia poi così difficile applicare lo stesso principio anche ad altre
esperienze che genitori o amici ci indicano come nocive, inutili, pericolose,
dannose. Non dovrebbe essere complicato, eppure continuiamo ad avvelenarci!
Succede perché
il falsario fa bene il suo mestiere ed è abile a presentare i suoi prodotti
come quelli che garantiscono la felicità vera a buon mercato. La sua merce ci
sembra desiderabile, conveniente, a portata di mano e soprattutto così
accessibile da non richiedere sacrifici o attese. E poco importa che Dio ci
aveva messo in guardia, che gli amici ci avevano sconsigliato certe scelte, che
i nostri genitori erano contrari,…
Io stabilisco
cos’è bene e cos’è male per me!
Io ho il libero
arbitrio!
Io me la sento!
Io lo voglio!
Io…
… Io sta
diventando così grande che tra poco occuperà tutto il mondo.
A Io non basta
mai lo spazio che ha intorno.
Per Io ogni
altro è un intruso, un clandestino, uno che non ha diritto di abitare la terra,
la sua terra.
E non importa che
quell’altro sia un profugo,
un senzatetto,
un compaesano,
un vicino di
casa,
suo fratello o sua
sorella,
suo padre o sua
madre,
suo figlio,
un bambino
appena concepito,
un vecchietto,
un malato
terminale,
un povero:
Io sta molto
attento a non fare differenze; ogni altro è una minaccia da eliminare, un
problema da risolvere in poco tempo e con la minima spesa. Io deve essere solo
per essere libero di fare quello che vuole!
Io non si
interessa del bene comune, se non quando il bene comune coincide con il bene di
Io.
Quand’era
bambino, Io rideva; ora non ride più.
Quand’era
bambino, Io ascoltava; poi ha cominciato ad ascoltare solo ciò che gli era
utile ed è diventato sordo; così ora non sente più.
Io invecchia e
per quanti sforzi stia facendo per rimanere giovane e ritardare la morte, Io non
ci è ancora riuscito e vede accorciarsi i giorni, finire il suo tempo.
Io è sempre
triste e, da quando ha scoperto che anche i più ricchi muoiono, la sera fatica
a prender sonno.
Io ha un forte
bisogno di Tu, ma non lo sa perché il falsario e i suoi scagnozzi vigilano
notte e giorno in modo che non se ne accorga.
Ma Tu fin dall’inizio è opera di Dio (Gen 2,18)
e anche oggi ci sono apostoli che si mettono in cammino per raggiungere Io e
annunciargli il Vangelo! [dGL]
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