Sono
un prete e nell'esercizio del mio ministero incontro spesso persone molto
anziane e persone ammalate.
Mi
capita anche di assistere moribondi e agonizzanti.
Così
ho potuto notare come l'opinione dell'ammalato sulla sua vita cambi
notevolmente a seconda della percezione che egli ha del mondo che lo circonda.
A
partire da queste esperienze quotidiane di incontro e ascolto, oggi mi chiedo
se la decisione di farsi uccidere, perché ci si sente un peso o uno scarto per
la società, si possa davvero considerare scelta libera del malato.
Io
credo di no.
Noi
siamo tutti figli di qualcuno (per essere concepiti c'è stato bisogno
dell'incontro di un uomo e di una donna) e nessuno di noi ha deciso se nascere
o non nascere, né abbiamo deciso dove e quando nascere.
Nessuno
di noi è stato libero di nascere.
Se
questo vale per la nascita di ogni uomo, dovrebbe valere per la vita intera:
non ho deciso quando nascere (si vede che non è in mio potere), non decido
quando morire.
Ogni
volta che un uomo sceglie di lasciarsi morire, è una sconfitta per tutta la
nostra società umana.
Ognuna
di queste morti ci ricorda quanto siamo stati incapaci di prossimità, solidarietà,
compassione, carità.
Ognuna
di queste morti ci ricorda quanto siamo stati incapaci di far sentire "a casa sua" una persona in
difficoltà.
Ognuna
di queste morti ci ricorda quanto siamo individualisti e poco inclini a
prenderci cura dei membri della comunità di cui facciamo parte, soprattutto dei
più deboli, dei più poveri, degli ultimi.
Per
me, poi, che sono cristiano, il dolore per ognuna di queste morti è ancora più
grande.
Sono
molto contento quando mi ritrovo con “il mondo a fianco” nella battaglia per l’accoglienza
e l’integrazione dei migranti, degli emarginati, dei più poveri e abbandonati.
Sarei
molto contento di ritrovarmi “il mondo a fianco” nella battaglia per il
rispetto della vita fin dal suo concepimento.
Sarei
molto contento di ritrovarmi “il mondo a fianco” nell’assistenza e nella
prossimità agli ammalati e agli agonizzanti.
San
Camillo, Santa Teresa di Calcutta e molti altri santi, che si sono segnalati
per la passione vissuta nelle corsie degli ospedali, hanno detto con la vita
che la differenza la fa l’amore: «Più
cuore in quelle mani», diceva san Camillo ai suoi discepoli!
I
malati e gli agonizzanti non possono essere lasciati soli!
Con
loro noi, e tutto il mondo, dovremmo essere, non per aiutarli a morire, ma per far loro sentire
quanto ci sono cari e indispensabili!
Ho
scritto questo perché so bene che solo il malato conosce le sofferenze fisiche
o morali che sta attraversando e non mi permetterei mai di giudicarlo per le
sue opinioni e volontà.
don Gian Luca Rosati, prete