Vicino al magazzino di mio nonno, ci
sono i cantieri navali.
Ricordo le passeggiate durante le quali
il nonno spiegava a noi nipotini che nei cantieri le barche venivano riparate
per essere pronte un giorno a tornare in mare.
La manutenzione era necessaria per
consentire all’equipaggio una navigazione sicura.
Oggi ripenso ai racconti del nonno e,
guardando la parrocchia, la vedo come un porto con i suoi cantieri navali. Ogni
giorno entrano in parrocchia tante persone per diversi motivi: una preghiera,
una domanda sul Vangelo, un incontro di catechesi, una partita di calcio o di
pallavolo, un pasto caldo, un alloggio, una benedizione, un consiglio, una
confessione, un saluto, un certificato,…
In parrocchia c’è lo stesso traffico che
si trova nella zona del porto.
Si arriva e, ormeggiata la barca, ci si
può concedere un tempo di riposo.
Poi si scende sulla banchina e si cerca
un cantiere navale che provveda alle riparazioni necessarie.
L’obiettivo è rimettere a posto la barca
per spingersi sempre più a largo, sempre più in alto mare!
Per questo, al termine della messa, è
emozionante benedire i fedeli e congedarli dicendo: «Nel nome del Signore, andate in pace!».
È il momento di uscire dal “porto”.
È il momento di prendere il largo e
gettare le reti per la pesca.
È il momento di comunicare a tutti la
grazia ricevuta partecipando all’Eucaristia!
Con
la meraviglia di un bambino, ogni volta guardo le persone mentre levano
l’ancora e riprendono il mare. Tutti hanno issato il gran pavese, segno della
festa, e navigano con la certezza di essere accompagnati da Cristo e con la
gratitudine per le cure amorevoli ricevute in “porto”. [dGL]
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