Dal Vangelo secondo Marco (4, 35-41)
In quel medesimo giorno, venuta la sera,
disse loro: «Passiamo all'altra riva». E, congedata la folla, lo presero con
sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Ci fu una
grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai
era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo
svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». Si
destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci
fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora
fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è
dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Oggi non ho intenzione di proporvi un
incontro su come impostare l’azione educativa o sulle tecniche di animazione di
un gruppo. Desidero solo condividere con voi un brano del Vangelo. Ieri sera,
mentre stavo proponendo una riflessione sull’icona biblica dell’anno (Lc 10,
38-42) agli adulti della parrocchia, ascoltando le parole che Marta dice a Gesù:
«Signore, non t’importa nulla che mia
sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10, 40), mi è tornato in
mente questo brano di Marco e così ho pensato di fermarmi un po’ stasera a guardare
con voi questa nostra barca, questo nostro mare, questo nostro navigare sicuri
sotto la guida di Gesù!
Penso che essendo cristiani ed essendo
animati dallo stesso desiderio di comunione con Dio, riceviamo da Lui, se
gliela chiediamo con fede, la sapienza necessaria per farci prossimi alle
persone che incontriamo: siano essi i nostri familiari, i nostri fratelli in
Cristo, i ragazzi che ci sono affidati, gli uomini e le donne con cui entriamo
in relazione come preti, suore, consacrati, catechisti, catechiste, educatori,
educatrici, animatori, animatrici.
Nel rispondere ogni giorno alla mia
vocazione, cerco di tenere sempre a mente la bellissima preghiera del giovane
re Salomone; nell’episodio raccontato in 1Re 3, alla domanda di Dio: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda»
(3, 5), Salomone risponde: «[…] Ora,
Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio
padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in
mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può
né calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia
rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti
chi può governare questo tuo popolo così numeroso?» (1Re 3, 7-10). Penso
sia una preghiera che possiamo fare nostra, perché spesso non ci sentiamo
adeguati alle situazioni che ci troviamo ad affrontare. Se, però, cominciamo a
prendere coscienza che siamo continuamente alla presenza del Signore, troviamo
pace sapendo che tutto è nelle sue mani (Sal 15) e che Egli provvede alle
esigenze, alle necessità del suo popolo. Noi gli apparteniamo, siamo preziosi
ai suoi occhi ed Egli ci custodisce!
«Passiamo
all’altra riva»
(4, 35). Coloro che seguono Gesù sono i discepoli, quelli che stanno con lui
(Mc 3, 14: «Ne costituì Dodici – che
chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare»).
Essi sentono il desiderio di stare con Gesù, come noi quando vorremmo
trascorrere ore interminabili con qualcuno (Mc 1, 36: «Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce»;
Gv 6, 67-69: «Disse allora Gesù ai
Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da
chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto
che tu sei il Santo di Dio”»). I discepoli desiderano corrispondere al
desiderio di Gesù: «Ho tanto desiderato
mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione» (Lc 22, 15). È
stato Lui a chiamarli ed essi hanno imparato a conoscerlo, riconoscendo
gradualmente quel desiderio di gioia, di comunione, di vita piena che c’è nel
nostro cuore.
«Lo
presero con sé, così com’era, nella barca» (4, 36). Nella vita siamo in cerca di
un equilibrio, di una stabilità, di una felicità duratura, imperturbabile, ma,
forse, aiutati anche dalla nostra esperienza marittima, abbiamo intuito che
sulle onde non si è mai troppo stabili e questo equilibrio non sarà mai assenza
di desiderio, di sacrificio, di una croce da portare. Forse egoisticamente
desideriamo una vita senza alcun tipo di preoccupazione, richiesta dall’esterno,
fatica,… ma la barca, anche su un mare calmo, non può far a meno di muoversi
galleggiando. Prima o poi, la nostra pretesa di stabilità diventa qualcosa che
ci turba o ci rende impazienti di fronte alla realtà che dobbiamo affrontare.
A volte, accetto di stare sulla barca, ma con
riserva: voglio essere io il comandante, quello che imposta la rotta, quello
che pianifica la sua vita dall’inizio alla fine. Così, però, vivo con fastidio
tutto ciò che esce dal programma. Questo mi rende difficile affrontare
un’eventuale tempesta, un qualche imprevisto. Costruisco un bel progetto
pastorale, lo studio nei minimi dettagli, mi confronto con gli altri educatori
e poi, nel bel mezzo della navigazione, mi accorgo che la nave fa fatica, i
ragazzi non seguono il discorso, la proposta va registrata meglio,… Stabilità,
equilibrio è trovare la forza per ritornare ad ascoltare, ritrovare la
disponibilità e la docilità necessarie per ripensare un cammino già
pianificato; è avere pazienza nei confronti della lentezza di chi percorre la
strada con noi.
«Ci fu
una grande tempesta di vento» (4, 37). Quando ci coglie la tempesta?
Quando siamo particolarmente stanchi, provati, quando le condizioni esterne
sono sfavorevoli e non ci consentono di sperare, quando siamo annoiati da ciò
che continuiamo a fare per abitudine, quando ci sentiamo oppressi, incompresi,
non ascoltati, quando permettiamo all’impazienza di vincere e di condizionare
il nostro modo di relazionarci con le persone che incontriamo. La nostra barca
sembra, allora, riempirsi inesorabilmente di acqua e non ce la fa a prendere il
largo per arrivare all’altra riva.
La tempesta ci spaventa, la mancanza di vie
di fuga, di un approdo a cui attraccare, ci blocca. Restiamo fermi senza più
sapere cosa sia meglio fare. È allora che nel completo disorientamento, svegliamo
il Signore perché si accorga della situazione e ci salvi.
«Egli
se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva» (4, 38). Gesù dorme tranquillo in una
barca agitata dentro e fuori! Emerge un netto contrasto tra il comportamento di
Gesù e quello dei discepoli. Nel Vangelo di Marco, prima dell’episodio della
tempesta sedata, c’è il Battesimo di Gesù, con la manifestazione dello Spirito
e la voce dal cielo (1, 9-11), c’è la guarigione di un indemoniato a Cafarnao
(1, 21-28), c’è la guarigione della suocera di Pietro (1, 29-31), ci sono molti
altri miracoli (1, 32-34), c’è la guarigione di un lebbroso (1, 40-45) e quella
di un paralitico (2, 1-12), c’è la guarigione di un uomo dalla mano paralizzata
(3, 1-6). Al momento di passare all’altra riva, Gesù non è, dunque, uno
sconosciuto per i discepoli che sono con lui. Essi hanno intuito che è un
Maestro straordinario: «Che è mai questo?
Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e
gli obbediscono!» (dopo la guarigione di un indemoniato a Cafarnao: 1, 27);
«Non abbiamo mai visto nulla di simile»
(dopo la guarigione del paralitico a Cafarnao: 2, 12). I Dodici hanno fiducia
in lui ma la paura non consente loro di valutare ciò che sta accadendo. Anche a
noi capita di svegliare Gesù; lo preghiamo con insistenza ma sembra dormire
tranquillo, sembra non essere interessato. Arriviamo a convincerci che non si
prenda a cuore i nostri bisogni, la nostra vita: come si può dormire in una
tale tempesta?
Come i discepoli, rischiamo continuamente di
perdere di vista un particolare importante, rivoluzionario: Gesù è sulla barca
e dorme. Non basta notare che sta dormendo tranquillo a poppa, non basta
fermarsi a considerare che non interviene, dobbiamo fissare l’attenzione sulla
sua presenza a bordo. Gesù sta sulla mia barca! A me questo dice davvero tanto!
Non è sulla riva a guardarmi mentre sono in balìa delle onde, sta proprio lì
con me; l’affondamento della barca sarebbe un problema anche per Lui che ha
deciso di condividere con me la Sua vita. È qui che trovo la stabilità,
l’equilibrio, la giusta dimensione delle cose, la rotta da seguire. I discepoli
seguono il Maestro, è Lui a decidere la strada da percorrere, è Lui a fare
l’andatura. E questo pastore è talmente buono che si preoccupa di ogni
pecorella come se fosse l’unica. Chi lascerebbe novantanove pecore nel deserto
– un vero capitale – per tornare indietro a cercarne una? Solo Lui o uno dei
Suoi discepoli!
«Maestro,
non t’importa che siamo perduti?» (4, 38). Gli importa eccome! Questa tempesta
atmosferica mi fa pensare alla tempesta della Passione vissuta da Gesù e dai
Suoi discepoli. Nel Vangelo di Luca ci sono due versetti che è essenziale
custodire come un tesoro perché testimoniano l’amore di Gesù per la vita di
ciascuno di noi, ci tolgono ogni dubbio sui pensieri di Gesù nella tempesta: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati
per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non
venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (22,
31-32). Nelle prove che affrontiamo quotidianamente, Gesù ci vede e ci sostiene
con la preghiera; in termini sportivi, Gesù fa il tifo per noi, ci incoraggia a
non fermarci, a sostenerci gli uni gli altri, ad amare questa vita!
«Minacciò
il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”» (4, 39). La parola di Gesù è
autorevole ed efficace: «Il vento cessò e
ci fu grande bonaccia» (4, 39). L’esperienza segna un momento di crescita,
è educativa per i discepoli. E Gesù non perde l’occasione favorevole per
spostare la loro attenzione su ciò che è alla base dell’esperienza del
discepolato. Lo fa con una domanda perché ciascuno possa prendere coscienza di
ciò di cui ha bisogno, di cosa è mancante: «Perché
avete paura? Non avete ancora fede?» (4, 40). La fede in Gesù vince le
nostre paure, anche quelle motivate da vere e proprie tempeste. Punto di
partenza per il cristiano è l’incontro con Gesù, è un affidamento a Lui. Quando
seguo una persona di cui mi fido, cerco di attenermi ai suoi insegnamenti, le
faccio spazio nella mia vita. Qui non si tratta di seguire un personaggio famoso,
di diventare fan di qualcuno. Si tratta di scegliere la Vita, Colui senza il
quale forse posso sopravvivere, ma certo non posso vivere!
«Chi è
dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (4, 41). Il miracolo
a cui hanno assistito, suscita una domanda sull’identità di Gesù. Solo Dio ha
il potere di comandare al vento e al mare, alle forze della natura.
L’esperienza di Dio stupisce e fa crescere il desiderio di conoscerlo meglio,
di continuare il cammino.
Nella vita del cristiano e ancora più in
quella dell’educatore, non possono mancare l’amicizia con Gesù, l’Eucaristia, l’ascolto
della Parola di Dio nella meditazione ma anche nella lettura continua del
Vangelo o della Bibbia, la carità e il servizio gratuito ai fratelli.
Occorre cominciare a pensare una regola di
vita per non essere soggetti alle emozioni del momento; non basta fermarsi al “mi piace”. Amore non è soltanto
trasporto spontaneo; c’è bisogno di fedeltà, coraggio, responsabilità e disponibilità
al sacrificio!
Nel percorso abbiamo, inoltre, bisogno di una
guida che ci aiuti a fare discernimento, uno che sia sempre pronto a
incoraggiarci ad alzare lo sguardo verso Gesù che chiama e cammina con noi!
Scegliamo un padre spirituale a cui confidare ciò che viviamo, un uomo di fede sempre
in ascolto di Dio e degli uomini; non uno che prenda le decisioni al posto
nostro, ma uno che ci aiuti a incontrare Gesù nella nostra storia. [dGL]