martedì 25 dicembre 2018

Notte di Natale

Ora siamo davanti alla mangiatoia, tu e io.

C’è la luce calda della stella cometa,
ci sono gli angeli, i pastori, i re magi,
le pecorelle, l’asino, il bue,
Giuseppe, Maria, Gesù.

Noi siamo lì con loro e, mentre guardiamo Gesù,
ci prende una gioia irresistibile!

È così bello Gesù!
Tutto è bello qui!

Il Bambino Gesù ci guarda e dice a te e a me:
«Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti tengo per la destra
e ti dico: “Non temere, io ti vengo in aiuto”» (Isaia 41,13).

«Non temere, io ti vengo in aiuto».
Dio si fa uomo per venire in mio aiuto.
Com’è possibile questo?

Non ha nemmeno un posto riservato per nascere,
non ha un vestitino adatto all’occasione,
non sta in una culla ben rifinita,
non c’è un fuoco acceso,…

«… io ti vengo in aiuto».

Casomai sarà Lui ad aver bisogno del mio braccio forte,
della mia disponibilità economica,
della mia parola,
dei miei sacrifici,
del mio talento,…
del mio aiuto.
«Vedrai, Gesù: sarò io a venire in tuo aiuto!».

Ma il mistero di questa notte,
il mistero di ogni notte
sta proprio qui davanti ai miei e ai tuoi occhi:
sono io, grande e grosso, ad aver bisogno che Lui,
un bambino, venga in mio aiuto.

È tutto il mondo ad aver bisogno di Lui e del Suo aiuto!

Qui, davanti al Bambino Gesù appena nato,
me ne accorgo ancora una volta:
è nato per me il Salvatore.

E ogni giorno della mia vita,
potrò riconoscere tra le tante voci
la Sua inconfondibile voce:
«Non temere, io ti vengo in aiuto».

Santo Natale, cari amici!
Buon Natale, cari figli!

martedì 18 dicembre 2018

Goccia (53)

«Non si può condividere il Pane del cielo, se non si condivide il pane della terra» (Marcello Candia).

lunedì 17 dicembre 2018

La lettera di B. Natale


Caro Gesù,
da qualche giorno molte persone di tutte le età sono impegnate a scrivermi le loro letterine.

È sempre un bel momento per me, quando seduto comodamente davanti al presepe, Ti leggo ad alta voce tutte le lettere che arrivano.
Mi commuovo pensando di essere uno strumento per la gioia di tanti e sono contento di essere al Tuo servizio, Gesù, per moltiplicare la gioia di quella Notte Santa e far sì che ogni persona possa ricevere un po’ del Tuo immenso amore, attraverso il segno di un piccolo dono.

I più preziosi regali di Natale sono quelli semplici: un sorriso, una stretta di mano, la presenza accanto a una persona che vive da sola, la visita a un ammalato o a un amico,… una candelina colorata, una statuina del presepe, l’allegria nel ricevere e fare gli auguri, una preghiera,… Possono sembrare piccoli doni, ma in realtà sono la manifestazione visibile di un amore straordinario!

In questi giorni ho acceso la TV e mi sono distratto a guardare le pubblicità, interrotte di tanto in tanto, da qualche spezzone di film o telefilm.

«Come faranno grandi e piccini a resistere a un tale bombardamento?», mi chiedevo preoccupato. Ma poi mi sono ricordato che gli uomini e le donne hanno sempre la capacità di pensare e riconoscere l’essenziale: «… non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi», diceva la volpe al Piccolo Principe.
E tutti noi lo sappiamo; occorre solo ricordarcelo ogni tanto.

Domenica, come sempre, sono andato a messa e ho ascoltato Giovanni Battista!
Che voce forte aveva! Mentre parlava, sentivo il mio cuore muoversi: tutto quello che diceva Giovanni era vero. Quante volte ho due tuniche e mi lascio prendere dalla tristezza e dall’egoismo, come se non ne possedessi nemmeno una? Quante volte ho da mangiare in abbondanza, ma sembra che non mi basti mai?
E nella mia mente faccio mille propositi di bene: «Se avessi una tunica in più, certo che la darei a quel povero che ne ha bisogno. Se avessi più ricchezze, farei sicuramente generose elemosine,…».
Ma nel frattempo sto fermo con i pugni chiusi e le braccia conserte.

La mia coscienza approvava le parole di Giovanni e sentivo crescere in me un bel desiderio di conversione. Ero in mezzo a una folla che ascoltava. Alla fine della messa, sono uscito dalla chiesa convinto che insieme avremmo invertito la rotta e saremmo tornati a gioire dell’essenziale, a condividere il poco per la gioia di molti, a credere nel miracolo dell’amore!

Tutte le lettere che arrivano qui nella mia casa contengono richieste di amore, di amicizia, di buone parole, di fiducia, di belle relazioni, di concordia, di affetto, di gentilezza e tenerezza!

Caro Gesù,
in questi ultimi giorni di Avvento sarà molto impegnativo, per me e per i miei collaboratori, preparare i regali e girare il mondo per distribuirli.
Faccio tutto per amor tuo, Gesù e lo scrivo perché voglio che tutti lo sappiano! Voglio che tutti lo ricordino!

Perché se Tu, Gesù, non ci sei, come far festa?
Perché fare festa?
Per chi fare festa?
Con chi fare festa?

E se Tu non ci sei, io che sono nato dopo di Te e ho preso il nome dalla Tua festa, come potrò continuare a esserci?
Andrò in pensione?
Mi metteranno da parte?
Quanti pensieri… e quanta fredda tristezza…

Alzo gli occhi e guardo il presepe.
Tu sei lì tra Giuseppe e Maria.
E chi ti può togliere da lì?
Quello che è successo nella Notte Santa è storia, la nostra storia, la mia storia: il Natale è incancellabile!
Tu, Gesù, sei per sempre
e, grazie a Te, ogni uomo è per sempre!

Ritrovo coraggio, caro Gesù, e sento forte la gioia di donare a ciascuno tutto il Tuo amore!

Con affetto e gratitudine intramontabile,
tuo affezionatissimo,
Babbo Natale

Goccia (52)

«Nella chiesetta del Carmelo Marcello si ritirava ogni giorno per la sua “ora di preghiera” durante la quale sembrava non esistesse nient’altro, per lui. Se lo raggiungevano per qualche urgenza, quasi non riuscivano a farsi ascoltare, talmente era e rimaneva assorto.
Poi si alzava dal suo banco e diceva tutto soddisfatto: “Adesso me ne vado contento perché la preghiera mi ha rafforzato”.
E diceva sorridendo che lui era “il novizio delle carmelitane”.
Più l’azione diventava travolgente, più la contemplazione lo assorbiva. A chi si meravigliava di questo bisogno di preghiera (e voleva che tutti i suoi amici lo condividessero) spiegava che, quanto più il bisogno dei poveri diventa urgente e struggente, tanto più ci si sente “al di sotto delle loro speranze”; allora si coltiva l’obbligo cocente di un miglior servizio, di una costante dedizione, di una vittoria piena e definitiva su qualunque stato di crisi”, e si capisce che c’è un solo luogo dove ogni bisogno può essere raggiunto e ogni dono può essere offerto: la preghiera, l’unione con Dio, che tutto abbraccia e a tutto dà risposta» (Antonio Maria Sicari, Il grande libro dei ritratti di santi, Marcello Candia).

Al termine della Terza Domenica di Avvento, leggo una pagina del libro di Antonio Maria Sicari e mi imbatto nell’esperienza di Marcello Candia, un sant’uomo, un bel cristiano! Mentre leggo una testimonianza sulla sua vita di preghiera, mi tornano in mente le parole di un’udienza di Papa Francesco, ascoltata nel pomeriggio alla radio.

Il Papa, nella prima catechesi sul Padre nostro, ha esortato tutti i cristiani:
«Perciò, iniziando questo ciclo di catechesi sulla preghiera di Gesù, la cosa più bella e più giusta che tutti quanti dobbiamo fare è di ripetere l’invocazione dei discepoli: “Maestro, insegnaci a pregare!”. Sarà bello, in questo tempo di Avvento, ripeterlo: “Signore, insegnami a pregare”. Tutti possiamo andare un po’ oltre e pregare meglio; ma chiederlo al Signore: “Signore, insegnami a pregare”. Facciamo questo, in questo tempo di Avvento, e Lui sicuramente non lascerà cadere nel vuoto la nostra invocazione» (Papa Francesco, Udienza Generale di mercoledì 5 dicembre 2018).

Mancano pochi giorni a Natale e obbedendo al Santo Padre, chiedo a Gesù: «Signore, insegnami a pregare».

sabato 15 dicembre 2018

Il porto e il mare

Vicino al magazzino di mio nonno, ci sono i cantieri navali.

Ricordo le passeggiate durante le quali il nonno spiegava a noi nipotini che nei cantieri le barche venivano riparate per essere pronte un giorno a tornare in mare.
La manutenzione era necessaria per consentire all’equipaggio una navigazione sicura.

Oggi ripenso ai racconti del nonno e, guardando la parrocchia, la vedo come un porto con i suoi cantieri navali. Ogni giorno entrano in parrocchia tante persone per diversi motivi: una preghiera, una domanda sul Vangelo, un incontro di catechesi, una partita di calcio o di pallavolo, un pasto caldo, un alloggio, una benedizione, un consiglio, una confessione, un saluto, un certificato,…

In parrocchia c’è lo stesso traffico che si trova nella zona del porto.
Si arriva e, ormeggiata la barca, ci si può concedere un tempo di riposo.
Poi si scende sulla banchina e si cerca un cantiere navale che provveda alle riparazioni necessarie.
L’obiettivo è rimettere a posto la barca per spingersi sempre più a largo, sempre più in alto mare!

Per questo, al termine della messa, è emozionante benedire i fedeli e congedarli dicendo: «Nel nome del Signore, andate in pace!».
È il momento di uscire dal “porto”.
È il momento di prendere il largo e gettare le reti per la pesca.
È il momento di comunicare a tutti la grazia ricevuta partecipando all’Eucaristia!

Con la meraviglia di un bambino, ogni volta guardo le persone mentre levano l’ancora e riprendono il mare. Tutti hanno issato il gran pavese, segno della festa, e navigano con la certezza di essere accompagnati da Cristo e con la gratitudine per le cure amorevoli ricevute in “porto”. [dGL]

mercoledì 12 dicembre 2018

Il moretto

Ieri sera sentivo il desiderio di esserci e, come se ci fossimo dati appuntamento, ci siamo trovati insieme preti e persone di tutte le età per celebrare l’anniversario di un giovane santo nostro compaesano: il venerabile padre Giovanni dello Spirito Santo.

Ogni anno nella chiesa di San Benedetto Martire, il 12 dicembre si ricorda un uomo che seguì la sua vocazione alla santità e partì per diventare passionista. Di lui mi colpiscono l’umiltà e la mitezza, come ha ricordato il parroco don Guido nell’omelia.
Per questo sono salito al Paese alto: volevo chiedere a padre Giovanni la grazia d’essere mite e umile di cuore.

Manca un quarto d’ora alla messa e siamo in pochi.
Ma, a un tratto, la porta si apre e cominciano a entrare alcuni ragazzi.
Alla fine diventano tanti.

Partecipano alla messa e fissano lo sguardo sull’immagine del santo.
Il volto è quello di un giovane.
Il sorriso comunica una pace che sa di eternità.
Il vestito ricorda l’appartenenza a un ordine religioso.
Il grande cuore, simbolo dei passionisti, fa pensare alla possibilità che il nostro cuore sia come quello di Gesù: pieno di Dio, pieno del prossimo.

C’è la bellezza nel volto di padre Giovanni.
E la bellezza infonde speranza: Dio compie nella vita di ciascuno meraviglie che attendono soltanto di essere riconosciute.

Guardo l’assemblea e facilmente ritrovo nelle persone i tratti di quella bellezza. Essa è proprio di tutti: è la bellezza del Cristo, il Figlio di Dio a cui noi tutti assomigliamo.

Ognuno di noi ha la possibilità di far diventare questa bellezza il tratto caratteristico della sua esistenza, o di nasconderla per paura di perderla, per paura di essere considerato debole, povero, ultimo.

Padre Giovanni non ebbe paura e fece brillare la luce di Cristo nella sua vita!
Così sia anche per me e per te! [dGL]

martedì 11 dicembre 2018

#Cantamore

In una libreria suona un cellulare.
La suoneria è "Il pescatore" di De Andrè.
Una persona sente la canzone e dice con un velo di malinconia: «Sta scomparendo pure De Andrè».

Esco dalla libreria e annoto un pensiero: «De Andrè non scomparirà, perché cantò per amore e non per soldi o per successo. I soldi e il successo sono di questo mondo e scompariranno, l'amore è di Dio e come Dio è per sempre!» #cantamore #pescacuore #cantautore #pescatore #eternità #cuore

sabato 10 novembre 2018

La vera e perfetta letizia

Stamattina entrando in chiesa, incoraggiato da un bel silenzio, ho riletto le parole di frate Francesco a frate Leone sulla vera letizia. Mi sono soffermato in modo particolare sulla domanda: «Ma quale è la vera letizia?». La risposta di frate Francesco fa intuire che aveva trovato un tesoro così bello e prezioso che la sua gioia non poteva essere scalfita da alcuna delusione che poteva provenirgli dall’esterno. Che cosa ha trovato Francesco?
O meglio, da chi è stato trovato?

Penso che il Vangelo della pecorella perduta ci possa aiutare a capire qual è il motivo della vera letizia:
«4"Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta". 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,4-7).

Gesù racconta una parabola per aiutare i farisei e gli scribi a gioire per il ritrovamento di pubblicani e peccatori che si erano perduti, ma allo stesso tempo ricorda a farisei e scribi che a ognuna delle cento pecore può capitare di smarrirsi.

Gesù ci assicura che il pastore esce a cercare ogni pecorella e la ricerca termina solo quando finalmente egli ritrova la sua pecorella. A quel punto, il pastore, pieno di gioia, chiama gli amici e i vicini: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta» (Lc 15, 6).

La vera letizia di frate Francesco e la vera letizia di ognuno di noi sta nel poter essere certi che il nostro Dio è come un pastore: Egli si prende cura di noi e ogni volta che ci allontaniamo o ci perdiamo, esce e si mette a cercare finché non ci trova. La nostra gioia sta nell’aver incontrato Dio, nell’essere stati presi sulle sue spalle sicure, quando ormai sembrava perduta ogni speranza di salvezza: pastore e gregge erano talmente lontani da non poterli ritrovare ed eravamo in giro impauriti e senza meta.

Frate Francesco è stato ritrovato dal buon pastore e riportato con le altre pecorelle. Poi si è scatenata l’allegria della festa! Per questo la sua gioia è vera, perché non dipende dalle circostanze esteriori e temporanee, ma dall’amore di Dio, un amore che rimane per sempre. L’esperienza di Francesco è per ogni uomo: Dio ci chiama tutti a conoscerlo e a lasciarci conoscere perché possiamo anche noi fare esperienza della sua bontà e del suo amore ed essere felici.

E allora ringraziamo il Signore per il dono di San Francesco d’Assisi e scopriamo insieme a lui qual è la vera letizia:
«Il beato Francesco, presso Santa Maria degli Angeli, chiamò frate Leone e gli disse: “Frate Leone, scrivi”. Questi rispose: “Eccomi, sono pronto”. “Scrivi – disse – quale è la vera letizia”.
“Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell’Ordine; scrivi: non è vera letizia. Così pure che sono entrati nell’Ordine tutti i prelati d’Oltr’Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d’Inghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia”.
“Ma quale è la vera letizia?”
“Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che all’estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d’acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: “Chi è?”. Io rispondo: “Frate Francesco”. E quegli dice: “Vattene, non è ora decente, questa, di andare in giro, non entrerai”. E poiché io insisto ancora, l’altro risponde: “Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te”.  E io sempre resto davanti alla porta e dico: “Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte”. E quegli risponde: “Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là”.
Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima» (San Francesco d’Assisi, «Della vera e perfetta letizia»).

venerdì 9 novembre 2018

Incontro educatori delle parrocchie Cristo Re – Annunziata – Sacra Famiglia

Dal Vangelo secondo Marco (4, 35-41)
In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Oggi non ho intenzione di proporvi un incontro su come impostare l’azione educativa o sulle tecniche di animazione di un gruppo. Desidero solo condividere con voi un brano del Vangelo. Ieri sera, mentre stavo proponendo una riflessione sull’icona biblica dell’anno (Lc 10, 38-42) agli adulti della parrocchia, ascoltando le parole che Marta dice a Gesù: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10, 40), mi è tornato in mente questo brano di Marco e così ho pensato di fermarmi un po’ stasera a guardare con voi questa nostra barca, questo nostro mare, questo nostro navigare sicuri sotto la guida di Gesù!

Penso che essendo cristiani ed essendo animati dallo stesso desiderio di comunione con Dio, riceviamo da Lui, se gliela chiediamo con fede, la sapienza necessaria per farci prossimi alle persone che incontriamo: siano essi i nostri familiari, i nostri fratelli in Cristo, i ragazzi che ci sono affidati, gli uomini e le donne con cui entriamo in relazione come preti, suore, consacrati, catechisti, catechiste, educatori, educatrici, animatori, animatrici.

Nel rispondere ogni giorno alla mia vocazione, cerco di tenere sempre a mente la bellissima preghiera del giovane re Salomone; nell’episodio raccontato in 1Re 3, alla domanda di Dio: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda» (3, 5), Salomone risponde: «[…] Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può né calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?» (1Re 3, 7-10). Penso sia una preghiera che possiamo fare nostra, perché spesso non ci sentiamo adeguati alle situazioni che ci troviamo ad affrontare. Se, però, cominciamo a prendere coscienza che siamo continuamente alla presenza del Signore, troviamo pace sapendo che tutto è nelle sue mani (Sal 15) e che Egli provvede alle esigenze, alle necessità del suo popolo. Noi gli apparteniamo, siamo preziosi ai suoi occhi ed Egli ci custodisce!

«Passiamo all’altra riva» (4, 35). Coloro che seguono Gesù sono i discepoli, quelli che stanno con lui (Mc 3, 14: «Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare»). Essi sentono il desiderio di stare con Gesù, come noi quando vorremmo trascorrere ore interminabili con qualcuno (Mc 1, 36: «Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce»; Gv 6, 67-69: «Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”»). I discepoli desiderano corrispondere al desiderio di Gesù: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione» (Lc 22, 15). È stato Lui a chiamarli ed essi hanno imparato a conoscerlo, riconoscendo gradualmente quel desiderio di gioia, di comunione, di vita piena che c’è nel nostro cuore.

«Lo presero con sé, così com’era, nella barca» (4, 36). Nella vita siamo in cerca di un equilibrio, di una stabilità, di una felicità duratura, imperturbabile, ma, forse, aiutati anche dalla nostra esperienza marittima, abbiamo intuito che sulle onde non si è mai troppo stabili e questo equilibrio non sarà mai assenza di desiderio, di sacrificio, di una croce da portare. Forse egoisticamente desideriamo una vita senza alcun tipo di preoccupazione, richiesta dall’esterno, fatica,… ma la barca, anche su un mare calmo, non può far a meno di muoversi galleggiando. Prima o poi, la nostra pretesa di stabilità diventa qualcosa che ci turba o ci rende impazienti di fronte alla realtà che dobbiamo affrontare.

A volte, accetto di stare sulla barca, ma con riserva: voglio essere io il comandante, quello che imposta la rotta, quello che pianifica la sua vita dall’inizio alla fine. Così, però, vivo con fastidio tutto ciò che esce dal programma. Questo mi rende difficile affrontare un’eventuale tempesta, un qualche imprevisto. Costruisco un bel progetto pastorale, lo studio nei minimi dettagli, mi confronto con gli altri educatori e poi, nel bel mezzo della navigazione, mi accorgo che la nave fa fatica, i ragazzi non seguono il discorso, la proposta va registrata meglio,… Stabilità, equilibrio è trovare la forza per ritornare ad ascoltare, ritrovare la disponibilità e la docilità necessarie per ripensare un cammino già pianificato; è avere pazienza nei confronti della lentezza di chi percorre la strada con noi.

«Ci fu una grande tempesta di vento» (4, 37). Quando ci coglie la tempesta? Quando siamo particolarmente stanchi, provati, quando le condizioni esterne sono sfavorevoli e non ci consentono di sperare, quando siamo annoiati da ciò che continuiamo a fare per abitudine, quando ci sentiamo oppressi, incompresi, non ascoltati, quando permettiamo all’impazienza di vincere e di condizionare il nostro modo di relazionarci con le persone che incontriamo. La nostra barca sembra, allora, riempirsi inesorabilmente di acqua e non ce la fa a prendere il largo per arrivare all’altra riva.

La tempesta ci spaventa, la mancanza di vie di fuga, di un approdo a cui attraccare, ci blocca. Restiamo fermi senza più sapere cosa sia meglio fare. È allora che nel completo disorientamento, svegliamo il Signore perché si accorga della situazione e ci salvi.

«Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva» (4, 38). Gesù dorme tranquillo in una barca agitata dentro e fuori! Emerge un netto contrasto tra il comportamento di Gesù e quello dei discepoli. Nel Vangelo di Marco, prima dell’episodio della tempesta sedata, c’è il Battesimo di Gesù, con la manifestazione dello Spirito e la voce dal cielo (1, 9-11), c’è la guarigione di un indemoniato a Cafarnao (1, 21-28), c’è la guarigione della suocera di Pietro (1, 29-31), ci sono molti altri miracoli (1, 32-34), c’è la guarigione di un lebbroso (1, 40-45) e quella di un paralitico (2, 1-12), c’è la guarigione di un uomo dalla mano paralizzata (3, 1-6). Al momento di passare all’altra riva, Gesù non è, dunque, uno sconosciuto per i discepoli che sono con lui. Essi hanno intuito che è un Maestro straordinario: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (dopo la guarigione di un indemoniato a Cafarnao: 1, 27); «Non abbiamo mai visto nulla di simile» (dopo la guarigione del paralitico a Cafarnao: 2, 12). I Dodici hanno fiducia in lui ma la paura non consente loro di valutare ciò che sta accadendo. Anche a noi capita di svegliare Gesù; lo preghiamo con insistenza ma sembra dormire tranquillo, sembra non essere interessato. Arriviamo a convincerci che non si prenda a cuore i nostri bisogni, la nostra vita: come si può dormire in una tale tempesta?

Come i discepoli, rischiamo continuamente di perdere di vista un particolare importante, rivoluzionario: Gesù è sulla barca e dorme. Non basta notare che sta dormendo tranquillo a poppa, non basta fermarsi a considerare che non interviene, dobbiamo fissare l’attenzione sulla sua presenza a bordo. Gesù sta sulla mia barca! A me questo dice davvero tanto! Non è sulla riva a guardarmi mentre sono in balìa delle onde, sta proprio lì con me; l’affondamento della barca sarebbe un problema anche per Lui che ha deciso di condividere con me la Sua vita. È qui che trovo la stabilità, l’equilibrio, la giusta dimensione delle cose, la rotta da seguire. I discepoli seguono il Maestro, è Lui a decidere la strada da percorrere, è Lui a fare l’andatura. E questo pastore è talmente buono che si preoccupa di ogni pecorella come se fosse l’unica. Chi lascerebbe novantanove pecore nel deserto – un vero capitale – per tornare indietro a cercarne una? Solo Lui o uno dei Suoi discepoli!

«Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (4, 38). Gli importa eccome! Questa tempesta atmosferica mi fa pensare alla tempesta della Passione vissuta da Gesù e dai Suoi discepoli. Nel Vangelo di Luca ci sono due versetti che è essenziale custodire come un tesoro perché testimoniano l’amore di Gesù per la vita di ciascuno di noi, ci tolgono ogni dubbio sui pensieri di Gesù nella tempesta: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (22, 31-32). Nelle prove che affrontiamo quotidianamente, Gesù ci vede e ci sostiene con la preghiera; in termini sportivi, Gesù fa il tifo per noi, ci incoraggia a non fermarci, a sostenerci gli uni gli altri, ad amare questa vita!

«Minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”» (4, 39). La parola di Gesù è autorevole ed efficace: «Il vento cessò e ci fu grande bonaccia» (4, 39). L’esperienza segna un momento di crescita, è educativa per i discepoli. E Gesù non perde l’occasione favorevole per spostare la loro attenzione su ciò che è alla base dell’esperienza del discepolato. Lo fa con una domanda perché ciascuno possa prendere coscienza di ciò di cui ha bisogno, di cosa è mancante: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (4, 40). La fede in Gesù vince le nostre paure, anche quelle motivate da vere e proprie tempeste. Punto di partenza per il cristiano è l’incontro con Gesù, è un affidamento a Lui. Quando seguo una persona di cui mi fido, cerco di attenermi ai suoi insegnamenti, le faccio spazio nella mia vita. Qui non si tratta di seguire un personaggio famoso, di diventare fan di qualcuno. Si tratta di scegliere la Vita, Colui senza il quale forse posso sopravvivere, ma certo non posso vivere!

«Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (4, 41). Il miracolo a cui hanno assistito, suscita una domanda sull’identità di Gesù. Solo Dio ha il potere di comandare al vento e al mare, alle forze della natura. L’esperienza di Dio stupisce e fa crescere il desiderio di conoscerlo meglio, di continuare il cammino.

Nella vita del cristiano e ancora più in quella dell’educatore, non possono mancare l’amicizia con Gesù, l’Eucaristia, l’ascolto della Parola di Dio nella meditazione ma anche nella lettura continua del Vangelo o della Bibbia, la carità e il servizio gratuito ai fratelli.
Occorre cominciare a pensare una regola di vita per non essere soggetti alle emozioni del momento; non basta fermarsi al “mi piace”. Amore non è soltanto trasporto spontaneo; c’è bisogno di fedeltà, coraggio, responsabilità e disponibilità al sacrificio!
Nel percorso abbiamo, inoltre, bisogno di una guida che ci aiuti a fare discernimento, uno che sia sempre pronto a incoraggiarci ad alzare lo sguardo verso Gesù che chiama e cammina con noi! Scegliamo un padre spirituale a cui confidare ciò che viviamo, un uomo di fede sempre in ascolto di Dio e degli uomini; non uno che prenda le decisioni al posto nostro, ma uno che ci aiuti a incontrare Gesù nella nostra storia. [dGL]

martedì 30 ottobre 2018

Colazione con…

Stamattina ho preso un caffè con Seneca.
Seduti al tavolo, parlavamo da buoni amici.

A un certo punto ho pensato di chiedergli un parere sull’uomo, tanto preso a rincorrere il proprio benessere, eppure così insoddisfatto da sembrare infelice.

Ci ha pensato un po’ il nostro filosofo e poi mi ha regalato un ottimo cioccolatino fondente, raccomandandomi di gustarlo per tutta la giornata: «Nessuno può vivere felice se bada solo a se stesso, se volge tutto al proprio utile: devi vivere per il prossimo, se vuoi vivere per te» (Seneca, Lettere a Lucilio, Libro V, lettera 48, p. 229, Garzanti, Milano 2018).

«Non solo per una giornata; spero di gustarlo per tutta la vita!», gli risposi salutandolo e ricordandogli l’appuntamento per il caffè di domani! [dGL]

sabato 27 ottobre 2018

La cura



Una scopa, una paletta e un cartello che invita: «In questa casa a tutti il compito di far tutto».

Scelgo questi tre oggetti per descrivere lo spirito che potrebbe animare tutti noi che abitiamo questo mondo. Scopa e paletta sono strumenti semplici: per usarli non occorre un manuale di istruzioni, solo umiltà e tanta buona volontà.

Il cartello esprime una bellissima idea: essendo il mondo la nostra casa comune, a ciascuno il compito di prendersene cura.

E davvero quella scopa e quella paletta, diventano espressione della cura per l’ambiente in cui viviamo.

I tre oggetti si trovano nel giardino della nostra parrocchia e sono ben visibili a chi passa. Il giardino è molto grande e le persone che lo frequentano sono tante, a tutte le ore della giornata.

C’è sempre qualcosa da raccogliere o da pulire e, immancabilmente, c’è qualcuno che prende in mano scopa e paletta e si dà da fare.

È bello notare come questi strumenti passino di mano in mano.
Al mattino li vedi nelle mani del custode del giardino che raccoglie le foglie cadute dagli alberi, dopo pranzo li trovi nelle mani dei volontari che mettono in ordine la mensa dopo la distribuzione dei pasti, nel pomeriggio sono nelle mani delle persone che frequentano il circolo ricreativo per gli anziani, la sera in quelle di qualche uomo di buona volontà che raccoglie tutto ciò che è stato “dimenticato” intorno al campo da calcio.

Così scopa e paletta diventano testimoni di una passione e di un’umiltà senza fine: «In questa casa a tutti il compito di far tutto».

Come sarebbe bello se, anche fuori dal nostro giardino, ciascuno sentisse come proprio compito quello di fare del suo meglio per il bene di tutti! [dGL]

venerdì 19 ottobre 2018

Gesù

«… e una donna, di nome Marta, lo ospitò» (Lc 10, 38)

Ospitare è aprire la porta e introdurre qualcuno all’interno di un ambiente, di un mondo, di una storia, di alcune relazioni. Si apre la porta della casa di Marta, Gesù entra e conosce la sorella Maria e il fratello Lazzaro.

Si apre la porta della casa di Marta e Gesù vede quali sono le sue occupazioni, ma anche le sue preoccupazioni e gli affanni.

L’accoglienza che Gesù riceve nella casa di Marta, mi fa pensare a come la nostra vita è arricchita dall’ospitalità. Aprire la porta vuol dire offrire a qualcuno la possibilità di entrare in relazione con noi, di conoscerci e di condividere una parte del nostro vissuto. Aprire la porta vuol dire offrire a qualcuno la possibilità di sorprenderci e di farci dono di qualcosa: «L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli», raccomanda ai cristiani l’autore della lettera agli Ebrei (13, 1-2).

Marta ospita Gesù. Gesù entra e si coinvolge nella vita di Marta. La sua presenza trasforma Marta, ne guarisce l’affanno indicandole «la parte migliore» (Lc 10, 42). E la parte migliore è l’amore che Dio offre ai suoi figli! «Ricordati che Dio ti ama! Ricordati che sei preziosa ai Suoi occhi!», sembra dire Gesù a Marta. «Ricordati e sta’ in pace!».

Maria, sorella di Marta, vive già di questo amore.
La troviamo in casa, seduta ai piedi di Gesù, in ascolto attento della sua Parola. Non è la differenza delle occupazioni a rivelare l’adesione a Cristo, ma la pace del cuore che sentiamo incontrando Maria; una pace che non è ancora di Marta. Quest’ultima si affanna e si agita per molte cose (cfr. Lc 10, 41) e il suo affanno genera risentimento nei confronti della sorella: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?» (Lc 10, 40). Sono queste sue parole a rivelarci che, pur avendo ospitato Gesù, ella è «distolta per i molti servizi» (Lc 10, 40); ella non tiene il suo sguardo fisso su Gesù.

Può capitare anche a noi di essere cristiani da una vita, ma di perdere di vista Gesù. Poi arriva il momento in cui incontriamo una Maria di Betania e rimaniamo colpiti dal suo amore per Gesù. Allora ci mettiamo in ascolto della sua testimonianza e scopriamo che s’è sentita amata da Gesù e, piena di gioia, s’è messa d’impegno per ricambiare il suo amore!

Stando ogni giorno un po’ di tempo con Maria, seduti ai piedi del Signore Gesù, impareremo a seguirlo e a servirlo con gioia! [dGL]

domenica 14 ottobre 2018

Calcio d'inizio

Parrocchia Cristo Re
14 ottobre 2018
«… e una donna, di nome Marta,
lo ospitò» (Lc 10, 38)

Cari genitori, cari ragazzi,
come state?
Vorrei entrare in dialogo con voi per conoscervi meglio.

Intanto vi comunico la mia gioia: la squadra è bella e ci sono i presupposti per una stagione che ci vedrà tutti protagonisti. Certamente si può far parte della nostra squadra anche facendo il tifo sugli spalti, ma vorrei invitarvi tutti a scendere in campo, a giocare la partita. C’è una maglia per ciascun parrocchiano: per quello appena nato e per l’ultracentenario! Gesù ci ama e ci chiama tutti a stare con Lui!

La catechesi, che iniziamo stamattina, non ha la pretesa di dire tutto e di riconsegnarvi, dopo la Cresima, un cristiano completo che ha imparato tutto ed è pronto a tutto.
La catechesi svolge un ruolo di iniziazione, accompagnamento e sostegno alla vita cristiana dei vostri figli. Vita cristiana che non si esaurisce nell’ora di catechesi o nella messa domenicale, ma interessa tutto il tempo che viviamo dal giorno del nostro Battesimo in poi.

I nostri ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo in famiglia.
Non abbiate paura di questo tempo; approfittatene per stare un po’ con loro, ascoltarli, dialogare, interessarvi di loro senza giudicarli, senza ingabbiarli dentro schemi e pensieri da adulti. Soprattutto, non deludete la fiducia che ripongono in voi, nella vostra esperienza, nella vostra saggezza, nella vostra fede, nel vostro amore, nella vostra presenza. I ragazzi guardano a noi per imparare, per trovare un punto di riferimento sicuro, un esempio. Proviamo almeno a impegnarci a essere coerenti con quei valori che ci piacerebbe trasmettere loro: onestà, lealtà, mitezza, umiltà, magnanimità, pazienza, fedeltà, coraggio, generosità, solidarietà!

Da più parti arrivano lamentele sulla poca partecipazione dei ragazzi alla messa. Capita anche che a lamentarsene siano adulti che non vanno a messa, o che ci vanno solo a Natale e a Pasqua. Come se la messa fosse una cosa per bambini e ragazzi, o per signori e signore di una certa età. Come se l’adulto avesse cose più importanti da fare e quindi fosse assente giustificato.

Cominciamo come famiglie a prenderci a cuore la partecipazione alla messa domenicale! La messa della Domenica è il momento dell’incontro col Signore Gesù e con la comunità cristiana di cui facciamo parte. Una comunità che cammina insieme al suo Signore, una comunità fatta di fratelli che cercano di essere ben disposti gli uni verso gli altri, una comunità di uomini e donne che si soccorrono a vicenda nei momenti di maggiore fatica o difficoltà e che sanno fare festa insieme nei momenti di gioia, una comunità di fratelli che imparano a collaborare condividendo gratuitamente i talenti che hanno, valorizzando quello che unisce e mettendo da parte, se c’è, ciò che divide.

Oltre alla messa domenicale (da vivere qui o nelle chiese che preferite), potremmo provare a partecipare agli altri momenti che coinvolgono la nostra comunità: feste, incontri di formazione, attività di servizio e di carità (il coro, i chierichetti, il gruppo catechisti, l’UNITALSI, la Casa di accoglienza, la Conferenza di San Vincenzo,…), attività di catechesi e di oratorio,...

Spetta a noi vigilare ed essere pronti a cogliere le occasioni di crescita umana e spirituale che ci vengono offerte!

Le attività di oratorio, la catechesi del sabato e della domenica, qualche ritiro, il campo-scuola,… sono occasioni importanti per imparare a stare insieme, a rispettarsi e a incarnare la Parola di Dio nel quotidiano. Partecipando, i ragazzi sperimentano «com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!» (salmo 132/133).

A proposito del nostro oratorio, vorrei condividere con voi un decalogo scritto dall’Arcivescovo di Milano in occasione della festa per l’apertura degli oratori. Sono parole che ci aiutano a mantenere vivo il senso di questi spazi parrocchiali: non semplici luoghi di aggregazione, non sale da gioco, né centri sociali o ricreativi, ma luoghi di incontro con Gesù Cristo, luoghi di vita buona, santa, spazi di crescita umana e spirituale!!!

«1. L’oratorio accoglie tutti, per insegnare a tutti la via della vita.

2. L’oratorio è la casa dove la Comunità educante accompagna le giovani generazioni sui cammini della fede, della speranza, della carità.

3. L’oratorio organizza il tempo, per celebrare le feste e per vivere lieti i giorni feriali.

4. L’oratorio non basta a se stesso: accoglie le proposte che la Diocesi offre tramite la FOM, vive un rapporto necessario con la Parrocchia, la Comunità Pastorale, le proposte diocesane e il Decanato.

5. L’oratorio è per rivelare che la vita è una vocazione. Tutti sono in cammino verso la stessa meta, ma non tutti percorrono la stessa strada.

6. Tutti sono chiamati alla felicità e alla santità, ma diversa è la via dei piccoli e quella dei grandi, diversa la via dei ragazzi e quella delle ragazze. L’oratorio offre per ciascuno una proposta adatta.

7. L’oratorio insegna che si possiede veramente solo quello che veramente si dona.

8. L’oratorio è scuola di verità: tu non sei tutto, tu non sei il centro del mondo, tu non sei fatto per morire, tu non vivi solo per te stesso.

9. L’oratorio è per tutti, ma non è tutto. In oratorio si favorisce il convergere di tutte le forme di attenzione educativa presenti nel territorio: i gruppi cristiani, la scuola, le associazioni sportive, i gruppi culturali, musicali, teatrali, per l’unità nella pluralità.

10. L’oratorio è per tutti, ma non per sempre. L’oratorio educa ragazzi, adolescenti per introdurre alla giovinezza cristiana, tempo di responsabilità da vivere negli ambienti adulti, portando a compimento la propria vocazione» (mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano).

Ora mi fermo, perché altrimenti rischio di scrivere tutto!

Sarei contento di sapere cosa ne pensate.
Potete scrivermi e lasciare le vostre lettere nella cassetta della posta della casa parrocchiale, oppure possiamo incontrarci e parlarne.

Infine ringrazio gli educatori e i catechisti, che ogni anno si rendono disponibili con gioia ad accompagnare ragazzi, giovani e adulti nel loro cammino di fede, e auguro a tutti voi una buona Domenica e un buon cammino con Gesù!

La pace sia con voi!

don Gian Luca

mercoledì 10 ottobre 2018

Il volontariato [da Don Pino Puglisi, Se ognuno fa qualcosa si può fare molto, a cura di Francesco Deliziosi, Bur]

«Il volontariato è un servizio stabile, reso gratuitamente senza scopo di lucro, deve essere un servizio qualificato, organizzato, non occasionale. Coloro che si dedicano al volontariato non devono essere spinti solo dal sentimento ma da un reale desiderio di aiutare il prossimo. Non si aiuta l’altro per auto gratificarsi, per sentirsi meglio, ma per mostrare quel reciproco amore che esiste tra l’uomo e Dio. Aiutare il prossimo significa mettere in pratica quei valori contenuti nel Vangelo. Non dobbiamo aiutare a parole ma con i fatti e nella verità: non si può amare Dio che non si vede se non si ama il fratello che si vede (San Giovanni, prima lettera, cit. libera)» (Padre Pino Puglisi).

martedì 9 ottobre 2018

Che senso ha la nostra vita

«Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo Amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo costruttori di un mondo nuovo» (Padre Pino Puglisi).

lunedì 8 ottobre 2018

L’unica regola

«Domandati in ogni cosa: "Che avrebbe fatto nostro Signore" e fallo. È questa la tua unica regola, ma è la tua regola assoluta» (Beato Charles de Foucauld).

lunedì 1 ottobre 2018

Mi piacerebbe...

Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male» (Gb 1,8).

Mi piacerebbe avere i tuoi occhi, Signore!
Sì, perché i tuoi occhi sono capaci di percorrere la terra e di porre attenzione al bene che c’è nelle tue creature.

Mi piacerebbe avere il tuo tempo, Signore!
Sì, perché Tu sai prenderti il tempo di guardare ciascuno, anche il più piccolo.

Mi piacerebbe avere la tua fede, Signore!
Sì, perché nonostante Satana provi in tutti i modi a convincerti di aver sbagliato a rallegrarti per il tuo servo, Tu continui a credere in Giobbe,
continui a credere in me…

Mi piacerebbe avere la tua benevolenza, Signore!
Sì, perché Tu non ti stanchi mai dei miei discorsi, delle mie azioni, dei miei tentativi di sostituirmi a Te.

Mi piacerebbe avere la tua speranza, Signore!
Sì, perché Tu vuoi che anche Satana, l’invidioso più ostinato, guarisca e possa finalmente riconoscere la bontà del prossimo!

Mi piacerebbe avere il tuo cuore, Signore!
Sì, perché vedendo il tuo servo Giobbe nella prova, il tuo cuore avrà sofferto come il cuore di una mamma che vede soffrire suo figlio.

Signore,
mi piacerebbe
prendere sul serio la mia vocazione di cristiano
e così scoprire
come in ogni occasione posso avere
i tuoi occhi,
il tuo tempo,
la tua fede,
la tua benevolenza,
la tua speranza,
il tuo cuore! [dGL]

sabato 29 settembre 2018

Un riflesso di Gesù

«Tutta la nostra vita, per quanto muta essa sia, la vita di Nazareth, la vita del deserto, così come la vita pubblica, devono essere una predicazione del Vangelo mediante l’esempio; tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere deve gridare il Vangelo sui tetti; tutta la nostra persona deve respirare Gesù, tutti i nostri atti, tutta la nostra vita devono gridare che noi apparteniamo a Gesù, devono presentare l’immagine della vita evangelica; tutto il nostro essere deve essere una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia vedere Gesù, che risplenda come un’immagine di Gesù…» (Charles de Foucauld).

Stamattina comincio la giornata con queste parole del beato Charles de Foucauld, un uomo che ha trascorso la vita seguendo Gesù. Mi ricordano qual è la mia vocazione di cristiano: vivere per Gesù. Il Vangelo che mi è stato annunciato è una persona viva che mi accompagna per tutta l’esistenza e che cammina con me indicandomi una strada diversa da quella del mondo.

Il bello è che quando mi fido di Gesù e compio scelte evangeliche, faccio sempre esperienza della gioia vera! La vita di fratel Carlo mi parla dell’amore di Dio e della possibilità di rispondere a questo amore con il mio amore.
Vivere d’amore e per amore non è un’idea, ma una possibilità reale per ogni uomo e per ogni donna: Gesù ci dona di avere in noi i suoi stessi sentimenti, i suoi stessi pensieri, la sua stessa forza per amare fino alla fine. Noi apparteniamo a Gesù! Lasciamo trasparire questa nostra appartenenza a Lui!

Proviamo a fare nostra questa preghiera di fratel Carlo e faremo esperienza di una grande pace:

«Padre, mi abbandono a te,
fa’ di me ciò che ti piace.
Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio.
Sono pronto a tutto,
accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature:
non desidero nient’altro, mio Dio.
Rimetto l’anima mia nelle tue mani,
te la dono, mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore,
perché ti amo.
È per me un’esigenza di amore
il donarmi a te,
l’affidarmi alle tue mani, senza misura,
con infinita fiducia:
perché tu sei mio Padre».