giovedì 30 marzo 2017

Dio aiuta

L’esperienza come assistente di acr è iniziata in modo del tutto inaspettato poco più di sei anni fa e mi sta regalando la straordinaria possibilità di stupirmi nel guardare Dio all’opera nella vita dei piccoli. Il ritiro di Quaresima (25-26 marzo), proposto dall’acr della nostra Diocesi ai ragazzi dai 12 ai 14 anni, mi ha offerto tanti motivi di meraviglia e tanti spunti di riflessione.

È stato un bel ritiro per merito del predicatore, don Pino, giovane sacerdote della nostra Diocesi, e per l’impegno dell’equipe diocesana e degli educatori delle diverse parrocchie che hanno scelto di partecipare. Terminato il ritiro e ricevuto come segno un vasetto contenente olio profumato (simbolo del profumo della Risurrezione), i ragazzi si sono alzati dalle sedie e si sono avviati verso casa, quasi dimenticando di recuperare i loro telefoni cellulari. Nel 2017 può capitare di vivere un’esperienza talmente intensa e coinvolgente, da dimenticarsi del cellulare! Durante una bella esperienza di vita comune si può essere così connessi con il mondo circostante, da non sentire l’esigenza di altre connessioni! Capitava qualcosa di simile anche qualche anno fa, quando i cellulari non erano stati inventati: si partecipava al campo-scuola o a una gita scolastica e ci si dimenticava di telefonare a casa. E, puntualmente, si veniva raggiunti dalla chiamata preoccupata dei genitori: «Stavamo in pensiero! Non ti sei fatto sentire nemmeno per dire che eri arrivato!». In realtà non ci si era dimenticati dei genitori, ma si stava così bene e ci si sentiva così coinvolti e partecipi, da non pensare ad altro!

Il ritiro acr aveva come tema il brano del Vangelo di Giovanni in cui si racconta la risurrezione di Lazzaro. Fin dalla prima meditazione, Lazzaro, grazie alle parole di don Pino e alla creatività di educatrici ed educatori, appariva davanti ai nostri occhi nel momento della sua uscita dal sepolcro: una grande sagoma di cartone tutta avvolta con le bende e con il viso avvolto da un sudario. La sagoma rendeva evidente che Lazzaro non poteva muoversi agevolmente.

Lazzaro mi stava davanti e il pensiero dei suoi movimenti, quasi impediti dalle bende, se all’inizio mi aveva fatto sorridere, ora mi suscitava una certa inquietudine. Come se non bastasse, la pietra del sepolcro, realizzato per creare nel salone la giusta ambientazione, era stata spostata e lasciava intravvedere un accesso possibile, una porta da cui si può passare, come Lazzaro, per uscire, ma anche per entrare.

Il sepolcro di Lazzaro, aperto davanti ai miei occhi, e la sagoma di Lazzaro che cammina, tutto avvolto nelle bende, mi fanno pensare a quel sepolcro come a una grotta in cui è possibile ritrovarsi a vivere, ancora prima di essere morti. Possiamo vivere con le mani e i piedi avvolti in bende e il volto coperto da un sudario, proprio come Lazzaro vivo all’uscita del sepolcro: «Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario» (Gv 11, 44).

Può capitarci di essere morti viventi che attendono la risurrezione ad opera di un amico che passi di lì e ci dica: «Lazzaro, vieni fuori!» (Gv 11, 43). Tante sono le bende che ci legano e non ci lasciano liberi di godere la bellezza della vita e alla fine arriviamo a trascorrere giorni interi nel sepolcro, scambiando la morte con la vita. Un giorno, però, arriva qualcuno e ci fa uscire fuori; allora alziamo lo sguardo verso il cielo e ci accorgiamo di quanto è azzurro e staremmo lì a guardare il cielo beati, senza più pensare ad altro! Quando il cielo è sereno, ti sembra di starci dentro, di essere abbracciato dalla sua intensa purezza. Usciti fuori dal sepolcro e liberati dalle bende, possiamo cominciare una vita nuova, possiamo tornare a muoverci e a vedere bene. Fuori dal sepolcro respiriamo la leggerezza della libertà, la gioia dell’amore, siamo presi dalla colorata allegria della vita.

La visione delle bende sulla sagoma di cartone, mi fa pensare alle bende che portiamo addosso senza accorgercene. Le bende di Lazzaro sono i nostri peccati, i vizi, le cattiverie, i rancori, le paure, l’egoismo,… Le bende di Lazzaro sono il fumo di veleni legali o di droghe definite leggere e consumate per noia o per distrarsi dal presente, sostanze nocive al corpo e allo spirito, che invece di liberare, incatenano in gravi dipendenze. Le bende di Lazzaro sono l’alcool, per alcuni compagno irrinunciabile nelle serate di festa, come se l’allegria fosse l’effetto di un minestrone di sostanze e non di una vita bella e di buone relazioni. Le bende sono le varie dipendenze a cui ci si aggrappa di volta in volta per saziare la nostra fame di amore, di accoglienza, di comprensione, di attenzione, di perdono,… E poi, al tramonto della notte, svanita l’ebbrezza e spente le luci delle illusioni, ci si ritrova a brancolare nel buio puzzolente di un sepolcro.

Ognuno nel suo sepolcro, ognuno con il suo vestito di bende, pensiamo di essere liberi, più liberi degli altri perché abbiamo avuto il coraggio di trasgredire, di fare ciò che non è lecito,… Ma se avessimo la possibilità di guardarci come in un film, saremmo presi dall’inquietudine per una libertà che ci appare irrimediabilmente compromessa o perduta e saremmo noi stessi i primi a cercare un amico che ci liberi, che ci aiuti a uscire, che ci dia la possibilità di un nuovo inizio.

Quell’amico è Gesù. La sua Parola ci fa risorgere da ogni sepolcro, ci libera da ogni benda che può essersi attorcigliata alla nostra vita perché possiamo vivere da risorti. Gesù non ha paura di rischiare la vita per la nostra salvezza, per la nostra liberazione; gli stessi discepoli ne sono meravigliati: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» (Gv 11, 8). Non dobbiamo temere che sia troppo tardi, che sia troppo il tempo che abbiamo trascorso nel sepolcro: non c’è ostacolo che possa impedire a Dio di salvarci.

Lazzaro è un nome che alla lettera significa «Dio aiuta» (cfr. Messaggio del Papa per la Quaresima 2017). Lasciamoci aiutare da Dio!

mercoledì 22 marzo 2017

La gratuità nella missione


Ieri sera ho proposto ai catechisti della parrocchia di soffermarsi qualche minuto su due numeri tratti da Evangelii Gaudium, l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. I numeri 278 e 279, contenuti nel quinto capitolo della lettera, mi sembrano molto importanti. Le parole del Papa sono come un bicchiere d’acqua per l’assetato, come il desiderato riposo dopo una grande fatica. Egli ci aiuta a sintonizzarci sull’essenziale: la nostra fede in Dio, la nostra adesione al Vangelo, il nostro essere discepoli dell’unico Maestro, Gesù Cristo. Inviati da Lui a evangelizzare, siamo chiamati a vivere la missione con uno stile di gratuità, l’unico stile che ci permette di tenere il cuore al riparo dalla dipendenza dagli effetti della nostra azione. L’evangelizzazione, infatti, rischia di essere condizionata pesantemente dall’attenzione che diamo ai risultati ottenuti: potremmo volare sulle ali dell’entusiasmo per i buoni risultati, oppure essere abbattuti per il fallimento delle nostre aspettative. Ascoltare il magistero del Papa ci fa recuperare la giusta dimensione: siamo a servizio del Signore e la nostra missione consiste nel seminare con generosità la Sua Parola, non nel quantificare i frutti ottenuti dopo una serie di eventi o di iniziative. Non aggiungo altro e semplicemente condivido qui sotto il testo integrale dei numeri 278 e 279 in modo tale che ciascuno, leggendoli, possa sentirsi incoraggiato a continuare con passione e generosità la sua missione.

278. La fede significa anche credere in Lui, credere che veramente ci ama, che è vivo, che è capace di intervenire misteriosamente, che non ci abbandona, che trae il bene dal male con la sua potenza e con la sua infinita creatività. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia insieme con «quelli che stanno con lui … i chiamati, gli eletti, i fedeli» (Ap 17,14). Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: come il piccolo seme che può arrivare a trasformarsi in una grande pianta (cfr Mt 13,31-32), come una manciata di lievito, che fermenta una grande massa (cfr Mt 13,33) e come il buon seme che cresce in mezzo alla zizzania (cfr Mt 13,24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito. È presente, viene di nuovo, combatte per fiorire nuovamente. La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano. Non rimaniamo al margine di questo cammino della speranza viva!

279. Poiché non sempre vediamo questi germogli, abbiamo bisogno di una certezza interiore, cioè della convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché «abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4,7). Questa certezza è quello che si chiama “senso del mistero”. È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo (cfr Gv 15,5). Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita. A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato, ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure un’organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda; è qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai. Lo Spirito Santo opera come vuole, quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Impariamo a riposare nella tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione creativa e generosa. Andiamo avanti, mettiamocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui.

Qui potete trovare il testo dell’Evangelii Gaudium: