lunedì 29 febbraio 2016

Ancora

Vista l'esperienza che sto maturando nel campo delle riunioni,
su questo foglio ho pensato d'offrirvi alcune mie riflessioni...
Buona lettura!!! [dGL]

NB: 1) Per leggere il foglio, vi consiglio di salvarlo come immagine, così potete ingrandirlo.
2) Sotto l'immagine trovate il testo nella versione online.
Fraternamente
di Johannes de Silentio

Mondo Antico - Cari lettori, eccoci qua! O meglio: rieccoci qua! Comincia una nuova avventura editoriale e, anche se il nome della nostra testata giornalistica ricorda il glorioso giornale della Diocesi di San Benedetto del Tronto, vi prego di fare attenzione all’accento che cambia un’àncora in un ancóra! È vero che di questi tempi siamo un po’ trascinati verso una sistematica negazione delle differenze e, quindi, può essere pericoloso prestare troppa attenzione agli accenti, però nel nostro caso la differenza è molto evidente: l’àncora suggerisce sicurezza, l’ancóra, invece, fa pensare alla ripetitività. Per togliere ogni possibile dubbio anche al lettore più sospettoso, il sottotitolo è un famoso versetto di Qoelet che, nella sua interezza suona così: «Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole» (1,9). Niente di nuovo, dunque. Eppure, qualche novità deve esserci: altrimenti, dove sta la notizia? Questa è la sfida che vogliamo provare a vincere: raccontarvi una notizia, qualcosa di nuovo, qualcosa che prima di leggere il nostro foglio non sapevate… o lo sapevate, ma non ci avevate mai pensato… Sarete voi lettori a dirci, con la fiducia che vorrete accordare al prossimo numero, se avremo deluso le aspettative o se avremo vinto la sfida! Intanto, buona lettura!

Riunione che passione.
Poiché la maggior parte del nostro tempo trascorre in riunioni di vario genere, non ci è sembrata cosa superflua soffermarci un po’ sui personaggi che partecipano alle riunioni. Abbiamo, dunque, chiesto ad alcuni studiosi di elaborare un’accurata fenomenologia di ciascun tipo di membro di consiglio, consulta, collegio, sinodo, assemblea,… per consentire a te, illustre Teofilo, di non essere colto impreparato quando, nel bel mezzo di una riunione, ti si manifesteranno tali ecotipi.

Il primo personaggio che prendiamo in considerazione è il giocatore di Risiko. Dal momento in cui riceve la lettera o la telefonata di convocazione, il giocatore di Risiko si ritira in camera, chiude persiane, finestre, serrande, spegne il cellulare e appende sul muro la mappa della parrocchia o della diocesi o dell’associazione,… e sistema tutte le bandierine e i carri armati che ha a disposizione. Poi prende dal suo archivio personale le fotocopie dei verbali delle riunioni precedenti e con una meticolosità maniacale li rilegge, facendo attenzione alla punteggiatura e a tutte le sfumature. Terminata questa operazione, che a volte comporta il salto della cena o del pranzo, si ricorda che non ha mangiato e quindi si dirige verso il frigorifero, con le fotocopie ancora in mano, per trangugiare lo spuntino di mezzanotte. Si concede un paio d’ore di sonno e poi ricomincia lo studio strategico-tattico per raggiungere l’obiettivo.

Se all’ingresso della sala delle riunioni ci fosse la possibilità di effettuare una perquisizione, il giocatore di Risiko sarebbe subito identificato: infatti ha sempre in tasca un piccolo carro armato colorato, una bandierina e l’immancabile dado per attaccare o difendersi. Durante le riunioni, il giocatore di Risiko sta ben attento a non far scoprire il suo obiettivo, finge di non essere molto interessato agli argomenti in discussione, ma in realtà annota tutto sul suo piccolo quaderno. A volte, illustre Teofilo, potresti sentirgli dire: «Attacco con quattro carri armati!». Generalmente gli presterai poca attenzione, perché alle tue giovani orecchie inesperte, sembreranno frasi senza significato.

Il giocatore di Risiko è molto pericoloso perché ha un obiettivo e non lo rivela mai. Gioca ad apparire disinteressato, mentre in realtà sta curando i suoi interessi, all’insaputa di tutti gli altri. Seduti allo stesso tavolo potrebbero esserci diversi giocatori di Risiko. In tal caso è possibile che essi stringano alleanze ai danni degli altri. I giocatori che si alleano, trascorrono i giorni successivi alla riunione, effettuando febbrili telefonate per confrontarsi sulle intenzioni non espresse dagli altri membri di consiglio, consulta, collegio, sinodo, assemblea,… e sventare le possibili minacce.

Illustre Teofilo, sappi che proveranno anche a convincerti della bontà delle loro opinioni e sospetti. Agisci sempre con prudenza e non dare per scontato che attorno al tavolo ci siano solo miti agnellini indifesi: non è saggio camminare spensierati su un campo minato! Ascolta, sorridi, annuisci, ma non farti influenzare dai pensieri cattivi e dai giudizi che sapranno suggerirti: sono nocivi alla salute del tuo cuore e non ti aiuteranno ad affrontare con sapienza le varie questioni.

Tornato a casa, il giocatore di Risiko vive una giornata di isolamento nella sua stanza e trascrive gli aggiornamenti sulla mappa appesa alla parete, spostando bandierine e truppe per evidenziare le conquiste ottenute e compiacersi dell’avvicinamento all’obiettivo da raggiungere. Egli si convince, così, di essere un furbo stratega, ma in realtà è sempre più prigioniero della sua mappa e rimane impigliato nelle sue stesse trame.

lunedì 22 febbraio 2016

Apro a te

Una finestra può essere chiusa o aperta.

Possono esserci persiane, tende, vetri a specchio
per impedire di guardare dentro e, a volte, di guardare fuori.

Apro la finestra per vedere che succede fuori,
ma in fondo l’apro per farti vedere quello che c’è dentro;
e, poiché vorrei invitarti a entrare,
sistemo tutto perché si veda che dentro è bello, caldo, accogliente
così che tu vinca il disagio e la diffidenza che ti trattengono dal bussare, dal cercare.

Vorrei che tu entrassi nel mio mondo,
che vedessi quel che vedo, penso, provo, sento, vivo.

E per farlo, guardo fuori,
apro al mondo, ti rivolgo una parola,
ti chiedo se ti va di camminare con me sulla via di Dio.

Seguo Dio e solo Dio
perché Lui sa la strada e su quella strada mi accorgo che sono felice.

Vorrei che questa fosse anche la tua strada
e quella di ogni uomo.

Così, scosto un po’ la tenda e apro la finestra. [dGL]

giovedì 18 febbraio 2016

Dare da mangiare agli affamati

Racconta l’evangelista Marco:

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. 35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; 36congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». 37Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». 38Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». 39E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. 40E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. 41Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. 42Tutti mangiarono a sazietà, 43e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. 44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. (Mc 6,30-44)

Hanno bisogno di stare un po’ con Gesù i discepoli, di ritorno dalla prima missione. Ha bisogno di un pastore la folla che cerca Gesù perché ha sperimentato il suo amore.
Abbiamo bisogno di tutte e due le cose noi cristiani, chiamati a essere testimoni di Gesù e a seguirlo tenendo fisso lo sguardo su di Lui, come pecore che camminano dietro il pastore.

«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (6,31), è l’invito che Gesù rivolge a chi gli sta più vicino. Sono quelli che hanno lasciato tutto e lo hanno seguito; sono quelli che stanno iniziando a vivere come Lui. Da quando stanno con Lui (Mc 3,20), anche loro non hanno tempo di mangiare (6,31); da quando stanno con Lui (Mc 1,35), anche loro sentono il bisogno di cercare ristoro dopo la fatica, ritirandosi in un luogo deserto (6,31).

I discepoli seguono il maestro in un luogo deserto, ma questa loro decisione non li chiude all’ascolto di chi, inatteso, si presenta con le sue domande, con la sua vita da mettere sotto lo sguardo del maestro. La folla ha intuito in Gesù qualcosa di diverso da tutti gli altri: Egli guarda con amore. La folla ha, finalmente, trovato chi si prende a cuore le sue necessità, chi è disposto a dare la vita per il bene dell’altro.

Quello che accade dopo è un vero e proprio miracolo: la misericordia rende fecondi, fa fruttare quel poco che siamo a tal punto che il risultato è qualcosa di sovrabbondante. Capita ogni volta che non consideriamo la presenza dell’altro come un problema o come un elemento di disturbo, ma come un tesoro che ci viene affidato da Dio perché ce ne prendiamo cura, perché insieme impariamo ad affidarci alla divina provvidenza.

È Gesù a educare gli apostoli e noi attraverso l’esperienza quotidiana; Egli ci mostra il suo stile perché, come giovani apprendisti nella bottega di un esperto artigiano, possiamo guardarlo e “rubargli il mestiere”. Gesù non è geloso del suo talento, del suo cuore; Egli lo mette volentieri nelle nostre mani perché anche noi possiamo fare come Lui.

Gesù ci manda in missione col suo stesso sguardo, col suo stesso cuore: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5), raccomanda San Paolo.

Possiamo davvero guardare la gente con gli stessi occhi di Gesù, col suo stesso cuore!
Allora vedremo quello che Egli vede: «pecore che non hanno pastore».
Allora sapremo avere compassione.

La situazione della folla è grave: se il pastore è quello che conosce le pecore e si prende cura di loro (salmo 22), essere pecore senza pastore espone a ogni genere di pericolo, a uno stato di continuo bisogno, a una vita insicura. Gesù ha compassione della folla, come all’inizio del brano aveva avuto compassione dei suoi discepoli, comprendendo bene ciò di cui avevano bisogno.

Gesù è la risposta alla preghiera di Mosè contenuta in Nm 27,16-17: «Il Signore, il Dio della vita di ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore». Gesù è il pastore che dà la vita per le sue pecore (Gv 10,11). È il compimento della promessa contenuta in Ez 34,10-16, nella quale Dio stesso si fa pastore del suo popolo: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,15-16).

La prima azione che Gesù compie per la grande folla è «insegnare loro molte cose» (v. 34). Le pecore hanno bisogno di Vangelo, di ricevere da Gesù la Parola che fa vivere, hanno bisogno di conoscere Dio, la sua fedeltà e il suo amore.

Il tempo trascorre ed è ormai tardi. I discepoli si avvicinano a Gesù per invitarlo a congedare la folla perché ciascuno possa provvedere a comprarsi da mangiare. Gesù li sorprende con una risposta che vuole aprire il loro cuore alla compassione: «Voi stessi date loro da mangiare» (v. 37).

Dopo queste parole, i discepoli e noi smettiamo di essere spettatori e veniamo coinvolti in prima persona dal maestro. Noi che siamo con Lui, noi che ci diciamo cristiani, non possiamo rimanere indifferenti; tutto ciò che viviamo, lo viviamo come cristiani, lo facciamo cercando di somigliare a Gesù, cercando di rispondere come Lui risponderebbe, provando a fare come Lui farebbe,… Non si tratta di comprare duecento denari di pane o di sconfiggere la fame nel mondo; si tratta di condividere col fratello quello che siamo, si tratta di rispondere col Vangelo ai problemi che affrontiamo, si tratta di non essere indifferenti alla situazione del più piccolo tra quelli che incontriamo.

E ogni volta sarà Gesù stesso a prenderci per mano per farci scoprire quel che abbiamo: «Quanti pani avete? Andate a vedere».

Sarà una sorpresa anche per noi trovare quei pani e accorgerci che ci sono anche due pesci!

E la nostra meraviglia sarà ancora più grande quando vedremo il Signore prendere tra le sue mani il nostro poco e farlo fruttare il centuplo!

A questo punto, non resta che fidarci di Gesù e iniziare a fare la sua volontà: «Voi stessi date loro da mangiare».


don Gian Luca Rosati

lunedì 1 febbraio 2016

Introduzione ad alcune riflessioni sulle opere di misericordia

«Dopo l’Incarnazione del Verbo tutto è dominato dal volto, dal volto umano di Dio» (Pàvel Nikolàjevič Evdokìmov).

Questo volto abbiamo la possibilità di contemplarlo incontrando il Vangelo, incontrando il Cristo: infatti «la figura del Cristo è il volto umano di Dio; lo Spirito Santo riposa su di lui e ci rivela la Bellezza assoluta, divino-umana…» (P. Evdokìmov, Teologia della bellezza, San Paolo, p. 39). Noi cristiani possiamo compiere opere di misericordia solo se teniamo lo sguardo fisso sul volto di Dio, solo se guardiamo come Lui compie opere di misericordia nella vita di ciascuno dei suoi figli, nella storia del mondo. Il motto di questo giubileo ci aiuta: «Misericordiosi come il Padre». Ricevendo la misericordia dal Padre, siamo chiamati a comunicarla a ognuno dei fratelli che incontriamo.

Queste riflessioni sulle opere di misericordia vorrebbero essere un semplice tentativo di guardare Gesù e imparare da Lui. Ho provato a guardarlo mentre Egli compie le opere di misericordia. Penso sia essenziale fermarci a contemplarlo prima di agire, prima di metterci a correre per le strade, prima di intraprendere qualsiasi azione. È essenziale perché le nostre azioni parlino di Lui e non di noi, siano evangelizzazione e non propaganda, siano espressione di amore e non di potenza.

Il primo episodio che vorrei prendere in considerazione è tratto dal Vangelo di Matteo (9,35-38 – 10,1.6-8):

35Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
36Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
10,1Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. E li inviò ordinando loro: 6«Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Gesù è uomo che cammina e percorre «tutte le città e i villaggi».
Gesù è uomo che insegna nelle sinagoghe perché è animato da un’autentica passione educativa. Vuole insegnare all’uomo la verità più grande: Dio è amore!
Gesù è uomo che annuncia il Vangelo del Regno e il suo annuncio si fa guarigione di ogni malattia e infermità.
Gesù è uomo che vede e sente compassione.

Provo a immaginare i suoi occhi che, nel guardare le pecore stanche e sfinite, si riempiono di commozione. È necessario che i discepoli si imprimano negli occhi il Volto di Gesù che si commuove guardando le sue pecorelle, perché, da quel momento in poi, dovranno saper guardare ogni fratello attraverso il Volto di Gesù.

A volte mi capita di guardare il sole a occhio nudo. Quando distolgo lo sguardo, l’occhio rimane impressionato e non riesco subito a guardare le cose senza vedere sopra di esse anche una macchia luminosa lasciata dal sole. Vorrei che il mio occhio si impressionasse guardando Gesù, perché alla Sua luce sarei capace di vedere il fratello, di riconoscerlo e di aver compassione di lui.

Noi preti abbiamo il privilegio di avere a disposizione tanto tempo per stare davanti a Gesù. Gli altri devono ritagliarselo questo tempo. Eppure mi capita di trascorrere giornate intere senza trovare un momento per fermarmi a guardare Gesù. Sono giorni meno luminosi degli altri, giorni in cui faccio fatica a guardarmi con benevolenza, a guardare il fratello con simpatia, con compassione. Giorni in cui il fare ha un peso quasi insopportabile perché sembra ridursi a un’accozzaglia di azioni senz’anima, senza senso, senza costrutto… Senza Gesù non possiamo far nulla, senza la vite, siamo tralci che non portano frutto.

«La messe è abbondante» (Mt 9,37). Questo è motivo di gioia! Perciò, animo: non perdiamo tempo in chiacchiere, ma mettiamoci a pregare perché il Signore mandi operai; andiamo lieti a lavorare con Lui senza scoraggiarci. È il Signore a inviare ciascuno di noi; è Lui a darci i mezzi necessari e a suggerirci le parole: «Il regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7). La povertà dell’inviato, la sua radicale obbedienza a Dio sono segni di questa vicinanza del regno: ricco solo dell’annuncio, l’inviato è testimone della vita nuova che annuncia, è segno del tesoro che ha trovato.

Bellissima l’ultima frase: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Non inviati soltanto a dare, ma a dare ciò che si è ricevuto. La gratuità non è cosa scontata: oggi spesso si ha a che fare con le logiche di mercato, tutto è monetizzato, tutto si può comprare. Ciò che hai ricevuto da Dio non lo hai comprato; ti è stato dato gratuitamente. Ricevere e dare gratuitamente per restare umili: anche l’inviato ha qualcosa da ricevere, ha un punto di riferimento a cui tornare. Nell’andare in missione siamo chiamati a custodire il legame con chi ci manda: sapremo essere operatori di misericordia, se da Dio continuamente accoglieremo la misericordia.

«Pieni di forza, di grazia e di gloria», come dice un canto, seguiamo il Cristo Risorto per le strade del mondo annunciando a tutti la misericordia del Padre!

Buon Giubileo della misericordia! [dGL]