lunedì 21 novembre 2016

«Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore» (Salmo 31,25)



Il terremoto ha tolto improvvisamente il velo
ed è apparso il vero.

Soddisfatti delle nostre cose, vivevamo come anestetizzati grazie a tutta una serie di illusioni che noi stessi, aiutati dai sacerdoti della cultura mondana, ci eravamo costruiti. C’è voluto un po’ di tempo, ma tutta una campagna culturale, che incoraggiava a vivere come se Dio non esistesse, forse stava riuscendo a convincerci che le cose di questo mondo avrebbero potuto farci beati.

Il Vangelo della Domenica non stonava nemmeno più rispetto alla musica mondana, perché la fede s’era talmente staccata dalla vita da poter procedere tranquillamente su binari paralleli. Così, noi che ci dicevamo cristiani, noi che impugnavamo i crocifissi, pronti alle crociate, noi che, beati, stavamo a contemplare le nostre radici cristiane, improvvisamente ci siamo accorti che non serve a nulla dirci cristiani se non siamo cristiani. Il terremoto ha spazzato via tutti gli idoli e ci siamo ritrovati insicuri e disorientati. Nemmeno la nostra casa è in grado di difenderci. E vaghiamo come naufraghi tra le onde di un mare in tempesta, cercando un appiglio a cui aggrapparci…

La cantilena governativa ripete come una litania il versetto: «Ricostruiremo».
Ma ricostruiremo che cosa? Una casa, una chiesa, un monumento? Certamente si possono rimettere in piedi gli edifici, ma come si può ricostruire la serenità, la speranza?

«Ricostruiremo», ma per chi? Se il terremoto che non cessa, sta già rendendo deserti i luoghi di aggregazione, le scuole, le manifestazioni religiose e civili, le iniziative a cui eravamo abituati a prendere parte? E chi può assicurarci che le scosse siano finite? E poi se succede un terremoto, che facciamo? Dove scappiamo?

Il dio denaro parla e continua a distrarre.
Poveretto, di più non può fare: le sue mani sono legate di fronte alla terra che trema. Nemmeno il dio denaro può spegnere il tremore o dare stabilità.

La dea tecnica non sa cosa rispondere a chi oggi si presenta al tempio e chiede di essere salvato, o almeno rassicurato. Nemmeno in quel tempio, oggi tanto frequentato, possiamo trovare la certezza di non morire mai.

Viene tolto il velo e appare il vero:
tra gli idoli costruiti da mani d’uomo, non c’è un dio che possa salvarci; non c’è un dio che possa rassicurarci; non c’è un dio che possa darci pace.

E allora, che fare?

Possiamo accorgerci che il nostro Dio ci è venuto a cercare. Possiamo convertirci e lasciarci abbracciare, coccolare, rincuorare. Possiamo ascoltare il Vangelo e ricordarci della passione, morte e risurrezione di Gesù, e scoprire che la morte è qualcosa che tutti vivremo, ma non è l’ultima parola: Egli ha vinto la morte! Possiamo scoprire che questa vita a cui tanto ci siamo attaccati, non è tutto, anzi è un piccolo granello di polvere a confronto con quell’eternità, quel paradiso verso il quale tutti siamo incamminati!

Solo la fede in Dio ci farà tornare a vivere!

In questi giorni la fede ha fatto miracoli e in tanti si sono messi a disposizione per accogliere, soccorrere, consolare, aiutare quanti nel terremoto hanno perso i propri cari, le proprie case, i propri ricordi, i propri sogni,... Tanta solidarietà e tanto calore umano sono l’espressione visibile di una fraternità che tutti ci lega: tutti ci siamo sentiti chiamati a testimoniare la nostra vicinanza e il nostro affetto.

Il terremoto, la sofferenza, il dolore sono eventi negativi, che mettono a dura prova il corpo e lo spirito di ciascuno di noi; sono eventi che giustamente tutti noi vorremmo evitare, ma non dipendono da noi. Da noi dipende il far fronte, il restare in piedi coscienti che non siamo soli. Se ci lasciamo portare dal dolore, ci ritroviamo nella disperazione; se, invece, ci sforziamo di portare il nostro e l’altrui dolore, si apre davanti a noi la via della Pasqua, una via di luce, una via di vita che non tramonta mai!

So che tra un mese è Natale e quindi le mie parole sembreranno fuori tempo, ma oggi mi sento di augurare a tutti: «Buona Pasqua di Risurrezione!». [dGL]

mercoledì 16 novembre 2016

E con la fantasia intrecciare letteratura e realtà...



Capitolo ***

Di come don Chisciotte e Sancio Panza incontrarono un uomo di Atri e gli prestarono Ronzinante per onorare la Madonna di San Giovanni.

Dopo aver vagato a lungo per le colline marchigiane, don Chisciotte e il suo inseparabile scudiero Sancio, giunsero nei pressi di una città e incontrarono un uomo, in piedi vicino al suo carro, che fece loro cenno di fermarsi.
Il suo cavallo s’era azzoppato e non era in grado di affrontare la salita che dalla valle del Tesino conduceva alla città.
Don Chisciotte prontamente si offrì di prestargli la sua cavalcatura e legò Ronzinante al carro.
I tre si avviarono verso la città. L’uomo veniva da Atri per la festa in onore della Madonna di San Giovanni e spiegò ai due compagni di viaggio che l’infortunio del suo cavallo sarebbe stato un problema serio per lo svolgimento della festa: infatti la tradizione voleva che lui lanciasse i fuochi artificiali dal suo cavallo mentre correva su e giù per la piazza principale.

«Siete stato molto fortunato a incontrarci!», cominciò a dire don Chisciotte, mentre Sancio si metteva una mano davanti alla faccia in segno di disperazione.

«Dovete sapere che io sono un cavaliere e vado in giro per il mondo con il mio scudiero per soccorrere chi si trova in qualche genere di difficoltà. Saremo ben lieti di fermarci in città per la durata della festa; così voi potrete utilizzare Ronzinante per lanciare i vostri fuochi artificiali. È un cavallo abituato alle battaglie e non avrà certo paura di scintille colorate!».

L’idea piacque al mercante, un po’ meno a Sancio, che già sentiva odore di guai; meno di tutti piacque a Ronzinante, ma nessuno si sognò di chiedere il suo parere.

Il mercante, in segno di riconoscenza, si offrì di provvedere a sistemarli per i giorni della festa in una locanda della città.
A sentir parlare di cibo e di accoglienza, Sancio si rincuorò e, per un momento, smise di pensare ai fuochi artificiali.

«Mi hanno parlato molto bene di questa città. Il cibo è buono e il vino è dei migliori», disse lo scudiero rivolgendosi al mercante.

«Sì», confermò l’uomo, «Sono anni che partecipo a questa festa e sono stato sempre accolto bene; la gente è generosa e ospitale. Vi sentirete a casa vostra! E poi non potete immaginare quanti onori tributeranno al vostro cavallo! Vedrete che entusiasmo: una stalla tutta per lui, fieno di prima qualità,… e il giorno della festa, dopo aver onorato la Madonna con grande solennità, gli occhi della gente saranno tutti su di lui».

«Possibile che un cavallo sia così importante?», chiese don Chisciotte, manifestando il suo stupore.

«Cavaliere, voi siete molto famoso e la vostra fama avrà sicuramente preceduto il nostro ingresso in città. Ma per una sera, solo per quella sera, il vostro cavallo sarà più importante di voi. è per via della festa: se non ci fosse il cavallo, non ci sarebbero i fuochi artificiali. È uno spettacolo unico e anche voi, che avete girato tanto per il mondo, sicuramente non avete mai visto una cosa simile!», disse il mercante con gli occhi che luccicavano per l’entusiasmo.

A don Chisciotte tutta questa storia sembrava strana e cominciava a sospettare che ci fosse sotto qualche incantamento ad opera di oscuri nemici, ma il mercante di Atri sembrava sincero.

Sancio, invece, non aveva seguito il discorso perché era tutto concentrato a guardare il paesaggio e i campi ben lavorati e i calanchi, fenomeno assai suggestivo. Salire a piedi verso la città permetteva di godersi il panorama e tutto era così bello che gli sembrava non aver posto nella mente per altri pensieri: nessun fuoco artificiale avrebbe potuto eguagliare la bellezza di quella meraviglia naturale. Se ne era talmente convinto, che aveva deciso di chiedere a don Chisciotte di fermarsi lì ad abitare.

lunedì 14 novembre 2016

Un pezzo della mia storia



Ricordo la riapertura della chiesa di Santa Lucia a San Benedetto del Tronto.
Ero bambino e accompagnai mio nonno Giuseppe alla cerimonia. Fu un bel momento di festa. Lo ricordo perché, tornati a casa, scrissi una breve e semplice cronaca per il giornale diocesano. Ricordo, poi, l’attesa di ricevere il settimanale per sfogliare quella carta stampata così particolare, perché era un giornale diverso da tutti gli altri giornali: era il nostro giornale.

E, finalmente, ritrovare tra gli altri articoli, scritti da persone “grandi”, anche il mio piccolo scritto,…
Fu un’emozione straordinaria!
Mi sembrava di aver raggiunto un traguardo eccezionale e impensabile: uno spazio sul giornale diocesano.

Da lì in avanti, incoraggiato dai miei genitori, ho continuato a scrivere…

Ricordo che qualche anno dopo – ormai ero alle scuole superiori – un mio compagno di classe, che curava per il giornale diocesano le sintesi delle catechesi di Papa Giovanni Paolo II, un giorno mi chiese di sostituirlo per qualche settimana. Così, compravo L’Avvenire del giovedì, leggevo con attenzione la catechesi settimanale e cercavo di sintetizzare il pensiero del Papa…

Ho detto che cercavo di sintetizzare, perché le parole del Papa mi sembravano sempre troppo importanti per essere riassunte e quindi a volte mi dilungavo… Poi stampavo l’articolo, lo rileggevo un’infinità di volte per essere sicuro che non ci fossero errori, uscivo di casa e andavo alla cartolibreria Urania di San Benedetto, dove lo consegnavo al prof. Pietro Pompei per la pubblicazione.

Non sono mai stato un collaboratore vero e proprio, né ho mai preso il patentino; sono solo uno a cui ogni tanto piace scrivere. Nel mio caso è importante l’ogni tanto, perché, non avendo un impegno fisso, ho la possibilità di scrivere solo quando mi sembra di avere qualcosa da scrivere!

Adesso ho un blog ed è molto più facile pubblicare i miei pensieri, ma, come ho avuto modo di dire durante gli incontri di Vicaria, in cui noi preti abbiamo parlato de L’Ancora, il giornale diocesano è stato per tanti l’occasione per raccontare, l’occasione per coltivare la passione per la scrittura, l’occasione per raggiungere le persone con un pensiero buono, con una riflessione,… Tutto questo continuerà a essere assicurato dalla versione online (www.ancoraonline.it), ma non sarà la stessa cosa: c’è tanta gente che non va su internet e tanta gente che continua a preferire la carta stampata. Pazienza!

Quest’anno della Misericordia mi ha visto impegnato nella scrittura di alcune riflessioni sulle opere di Misericordia. Ho pubblicato le sette opere di misericordia corporale e poi mi sono preso un po’ di tempo per scrivere quelle di misericordia spirituale. Nel frattempo non pubblicavo nulla sul giornale diocesano e le nonne della parrocchia, preoccupate, sono venute a cercarmi per dirmi: «Ma non pubblica più? Che succede? Perché non scrive più?».

Il buon direttore Pietro Pompei, il caporedattore Simone Incicco e i lettori mi scuseranno per quest’opera rimasta a metà, ma dovevo pur lasciare qualcosa di inedito per il primo numero cartaceo, che uscirà alla ripresa della pubblicazione del nostro giornale, no?

Il nostro giornale si chiama L’Ancora e l’ancora è l’immagine con cui si raffigura la virtù teologale della speranza; e allora, come non sperare in un ritorno alla stampa?

Arrivederci, amica,
arrivederci! [dGL]

venerdì 21 ottobre 2016

What do you mean with “sinodo”?

La costruzione di un modello aiuta a capire meglio come funziona una certa realtà. Mi ci sono voluti anni, anni in cui mi sono portato dietro la domanda senza perdere la certezza che prima o poi avrei trovato la risposta che cercavo…

Sento parlare di sinodo da quando ho partecipato al Sinodo diocesano e quindi sono ormai più di sette anni che cerco di capire cosa voglia dire la parola sinodo e cosa sia lo stile sinodale. Stamattina, ripensando alla partita di calcio vista domenica scorsa, finalmente ho potuto esclamare il mio eureka! (Ho trovato!).

Cosa vuol dire sinodo?
Vuol dire scoprirsi parte di una grande squadra, vuol dire tutti per uno e uno per tutti in vista di una mèta comune. La rosa di una squadra di calcio è formata da tanti giocatori che in campo ricoprono diversi ruoli e hanno caratteristiche tecniche diverse gli uni dagli altri. In ogni squadra c’è un allenatore che mette in campo i giocatori in modo da valorizzare i talenti di ciascuno. Ogni squadra ha, infine, un obiettivo comune a tutti i giocatori: fare goal nell’unica porta avversaria.

Eh sì! Può sembrare scontato, ma è necessario che prendiamo coscienza che la porta avversaria è unica; in campo non ci sono undici porte avversarie, una per ciascun giocatore!

Per raggiungere l’obiettivo comune, ciascuno mette a disposizione il suo talento impegnandosi al massimo per il bene della squadra.

Le cose funzionano quando gli undici in campo sono un cuore solo e un’anima sola, giocano gli uni per gli altri e si sacrificano per il bene della squadra.

Le cose non funzionano quando ogni giocatore interpreta la partita come uno sport individuale e si perde in giochetti e azioni personali, come se ognuno avesse una sua mèta da raggiungere indipendentemente dal resto della squadra e dalle indicazioni dell’allenatore.

Sinodo vuol dire aver scoperto che c’è un amore che ci chiama tutti quanti: l’amore di Cristo. Sinodo vuol dire essere contenti che i tanti compagni di squadra con i loro talenti tutti belli, tutti differenti, ma tutti utili alla causa comune, siano con noi al servizio dello stesso Cristo. In una squadra di calcio c’è l’allenatore che ha il compito di incoraggiare i giocatori e di aiutarli con le sue indicazioni a giocare insieme; in una Diocesi c’è il Vescovo; in una comunità parrocchiale il Parroco.

Ovviamente, il mio modello non ha la pretesa di coincidere in modo perfetto con la realtà da spiegare o da descrivere, ma penso che sia di aiuto a noi persone semplici per comprendere un termine che, altrimenti, rischierebbe di essere interpretato da ciascuno in un modo diverso. A volte, infatti, ci capita di dimenticare che la porta avversaria è unica e pensiamo che ognuno abbia la sua mèta e giochiamo la partita come se fosse il tutti contro tutti, che giocavamo da bambini nelle piazzette o nei campetti comunali. Erano sfide in cui uno poteva contare solo su se stesso e sul suo talento personale.

Ma la Chiesa non è un campetto in cui si gioca da soli contro tutti e a vincere è il più forte; la Chiesa è, invece, il luogo in cui vince chi si mette umilmente al servizio degli altri. [dGL]

lunedì 17 ottobre 2016

Fede e vita

Penso che l'importante nella vita sia dire "Sì" alla vocazione alla santità, vocazione ricevuta da Dio e riconosciuta attraverso l'ascolto della Sua Parola! È un "Sì" che rende luminosa tutta l'esistenza!

giovedì 29 settembre 2016

Il tuo volto, Signore, io cerco

Camminano, camminano,
le pecorelle smarrite
… camminano, camminano, camminano,…
… cercando il loro pastore.

Non cercano un pastore qualsiasi;
cercano il buon pastore,
quello a cui appartengono,
quello che le conosce e le chiama per nome,
quello che per il loro bene è disposto a patire,
quello che per la vita di ciascuna
è disposto a dare la Sua vita

…e camminano, camminano
le pecorelle…
…e cercano, cercano, cercano,…

E il buon Dio, che tutto vede,
si serve di noi preti
per andar loro incontro

martedì 28 giugno 2016

Ave Maria

La vecchietta recitava Ave Marie per tutti quelli che le offrivano un passaggio e per le loro famiglie; così era difficile trovare in paese un'anima che non fosse stata raccomandata a Dio per intercessione della Beata Vergine Maria.

venerdì 24 giugno 2016

Una Parola al giorno (97)

"I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei" (Lc 1,57-66.80).
Ci rallegri la tua misericordia, Signore!

giovedì 23 giugno 2016

mercoledì 22 giugno 2016

domenica 19 giugno 2016

Misericordia solo chi osa farlo!

«Che anno è?», chiesi al mio amico mentre passeggiavamo al molo Sud.

«È il 2016», mi rispose subito.

«Lo so che è il 2016! Ma che anno è per noi cattolici?», lo incalzai.

«E che anno deve essere per noi cattolici? Il 2016, no?», disse con un po’ d’impazienza.

«Certo che è il 2016, ma è anche l’anno della misericordia!», esclamai svelando la risposta che mi aspettavo.

«Ah, già. Lo sapevo, ma non avevo capito bene la domanda. E che cosa sarebbe questa misericordia?», mi chiese incuriosito.

«La misericordia è incamminarsi verso casa e già da lontano cominciare a scorgere la luce calda delle finestre e il fumo che esce dal caminetto della sala. E poi percorrere il vialetto, arrivare alla porta, aprirla e accorgersi che si era aspettati da qualcuno, trovare la tavola apparecchiata con cura e una buona minestra fumante nel piatto. È sentire la voce di chi ti ama e ti invita a metterti comodo e ristorarti un po’ dopo le fatiche di un viaggio. È sedersi e riposarsi. È cominciare a raccontare e a condividere avventure ed esperienze fatte per strada, senza la paura di essere giudicato, frainteso, condannato. Una volta a casa, si può sorridere anche delle esperienze più brutte: ora si è al sicuro, tra persone amiche, in famiglia. La misericordia è sapere che qualcuno ti vuole bene sempre!», provai a spiegare aiutandomi con alcune immagini.

«Quello che dici è molto bello! Ma a che mi serve un anno della misericordia?», ribatté dubbioso.

«Ti serve a scoprire che hai un estremo bisogno della misericordia di Dio,… e della misericordia dell’uomo!», continuai.

«Ora mi ricordo: a catechismo ci hanno fatto imparare le opere di misericordia corporale e spirituale. Quest’anno bisogna impegnarsi a praticarle: occorre passare dalla teoria imparata a memoria, alla pratica; dal dire al fare. Giusto?», mi chiese.

«Non solo: la misericordia bisogna anche impegnarsi a riceverla!», dissi sorridendo.

«Che devo ricevere?», mi chiese.

«La misericordia! Tu, io, tutti abbiamo bisogno di misericordia, di sentirci amati», gli risposi.

«A me piacerebbe avere amici che mi ascoltano e mi apprezzano per quello che sono», mi confidò.

«Piace anche a me! Prima di tutto, però, è bene imparare a guardare noi stessi come ci guarda Dio: occorre imparare ad avere misericordia di noi stessi. Non siamo quello che vorremmo essere, non sempre riusciamo a realizzare i nostri sogni e i nostri desideri, non siamo perfetti, non bastiamo a noi stessi; magari ci siamo impegnati perché le cose andassero bene e poi ci siamo ritrovati a constatare un fallimento totale, o quasi… E ci arrabbiamo con Dio, con il mondo, con la società, con gli altri,… in realtà siamo pieni di delusione e di rabbia verso noi stessi. Ma davanti agli occhi di Dio non c’è l’elenco dei nostri successi: davanti a Dio ci siamo noi ed Egli è contento di vederci, di stare con noi, di rialzarci, di abbracciarci, di prenderci sulle spalle. A volte ho la chiara impressione che Dio sia contento di me, più di quanto io sia contento di me stesso. Io ho bisogno di misericordia, della misericordia di Dio, della misericordia tua e della mia misericordia. Ne ho bisogno perché solo la misericordia può darmi pace! E allora questo è un anno in cui mi accorgo di quanto Dio si prenda cura di me, di quanto io gli stia a cuore, di quanto tu e ogni uomo gli stiate a cuore. Questo è un anno in cui collaboro con Dio e diffondo la sua misericordia prestandogli anche le mie mani, i miei talenti, le mie forze, le mie parole. Questo è un anno in cui non mi accontento di riconciliarmi con Dio, ma provo a riconciliarmi con ogni fratello e sorella. Questo è un anno in cui mi sforzo di perdonare me stesso, accettandomi per quello che sono, con i miei pregi, difetti, successi, fallimenti, malattie, gioie, affanni, povertà. Sì: sono un povero e lo accetto perché è proprio questa mia povertà a far innamorare Dio!», dissi. Poi rimasi in silenzio.

Il mio amico disse: «La misericordia non è un’esperienza solo di un anno. Se la misericordia è quello che dici, il mio passato è segnato dalla misericordia fin dal momento del concepimento: qualcuno si è preso cura di me fin dall’inizio! Di volta in volta questo qualcuno aveva le mani di un padre e di una madre, di amici e parenti, di maestri e professori, di preti e suore, di una fidanzata, di una moglie, di un medico, di un infermiere,… E sarà così per tutta la vita: la misericordia di Dio mi accompagna!». Sorrideva e sembrava pieno di meraviglia, come dopo una scoperta eccezionale.

Eravamo arrivati davanti al monumento al gabbiano Jonathan. Il mio amico continuò: «Questo anno è per me come il momento in cui il gabbiano si è reso conto di poter aprire le ali e volare: lanciatosi nel volo, poi ha conquistato il volo e ha continuato a volare. Magari l’anno santo mi farà scoprire che sono capace di perdonare, che è bello perdonare ed essere perdonati, che la misericordia mi dona gioia, che la misericordia libera e mi rende libero… ma tutte queste belle scoperte che potrò fare, dovranno diventare conquiste per la mia vita e caratterizzare il mio agire. Altrimenti sarei come un gabbiano che ha le ali buone per volare, vorrebbe volare, ma non vola perché non osa farlo!».

«Credo proprio che tu abbia ragione, amico mio: misericordia solo chi osa farlo!».
  
don Gian Luca

sabato 18 giugno 2016

Una Parola al giorno (92)

Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena (Mt 6,24-34).

giovedì 16 giugno 2016

Una Parola al giorno (91)

"Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male" (Mt 6,7-15).

mercoledì 15 giugno 2016

Una Parola al giorno (90)

"Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elìa, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano. Prese il mantello, che era caduto a Elìa, e percosse le acque, dicendo: «Dov'è il Signore, Dio di Elìa?». Quando anch'egli ebbe percosso le acque, queste si divisero di qua e di là, ed Elisèo le attraversò" (2 Re 2,1.6-14).
Oggi il testimone della fede è arrivato nelle nostre mani e siamo noi che dobbiamo percorrere il nostro tratto di pista perché la fede venga tramandata! A sostenerci è il nostro Dio che continua a manifestare la Sua misericordia e a compiere le Sue meraviglie come ai tempi di Elia ed Eliseo! Contenti per la fiducia che Dio ripone in noi, corriamo ad annunciare il Vangelo!
Dio ti benedica!

martedì 14 giugno 2016

Una Parola al giorno (89)

"Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5,43-48).

lunedì 13 giugno 2016

Una Parola al giorno (88)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio” e “dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio... (Mt 5,38-42)
"Ma io vi dico..." e io Te seguo, Signore e non quelli che hanno detto prima di Te! E Tu mi testimoni che è possibile aver misericordia di chi mi perseguita, di chi mi è nemico, di chi mi crocifigge, di chi mi fa del male,... Tu mi testimoni che sempre si può vincere il male con il bene!
Dio ti benedica, amico/a che, scegliendo la via della Verità, vivi il Vangelo anche quando questo significa andar controcorrente!

domenica 12 giugno 2016

Una Parola al giorno (87)

Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!» (Lc 7,50).
Essere cristiano vuol dire incontrare Gesù e fare esperienza del perdono di Dio e della pace che dal perdono scaturisce. Essere cristiano è poi riconoscere che il Cristo è la vita che ci riempie di gioia, come ci insegna la bellissima preghiera eucaristica v/b nel suo prefazio: «Il Cristo, tua Parola vivente,
è la via che ci guida a te,
la verità che ci fa liberi,
la vita che ci riempie di gioia» (dalla preghiera eucaristica v/b).

venerdì 10 giugno 2016

Una Parola al giorno (85)

"Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi" (Salmo 26).
Cerchiamo di riconoscere la bontà del Signore che si manifesta nel nostro quotidiano!
Dio ti benedica!

Noi siamo presente!

Iniziamo ad aiutare ragazzi e giovani a prendere coscienza che anche loro sono il presente della Chiesa, perché tutti noi cristiani, piccoli e grandi, giovani e adulti, della prima o dell'ultima ora, siamo il presente e non il futuro della Chiesa.
Adulti e anziani lo sanno già; ragazzi e giovani, invece, sono ormai abituati a sentirsi ripetere in continuazione: «voi siete il futuro della Chiesa».

giovedì 9 giugno 2016

Una Parola al giorno (84)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20-26).
La giustizia degli scribi e dei farisei si può superare solo se viviamo dell'amore di Dio e siamo disposti a lasciare che, attraverso di noi, l'amore di Dio raggiunga ogni uomo.
Oggi accogliamo con gioia l'amore di Dio e portiamo con gioia l'amore di Dio!
Dio ti benedica!

mercoledì 8 giugno 2016

Una Parola al giorno (83)

"Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare" (Salmo 15).

martedì 7 giugno 2016

Una Parola al giorno (82)

"Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele;
il Signore mi ascolta quando lo invoco" (Salmo 4).

lunedì 6 giugno 2016

Una Parola al giorno (81)

"Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre" (Salmo 120).

domenica 5 giugno 2016

Una Parola al giorno (80)

"Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre" (Salmo 29).

sabato 4 giugno 2016

Una Parola al giorno (79)

Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,38-44).
«L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore» (1Sam 16,7).
Forse già stiamo dando tutto quel che abbiamo per il bene e la felicità dell'altro, forse ancora no.
Confidiamo nel Signore e camminiamo dietro a Lui, cercando di cogliere le occasioni che ci sono date per dimenticare noi stessi e prenderci a cuore il bene dell'altro!
Dio ti benedica e ti conceda di avere nel tuo cuore i sentimenti del Suo cuore!

venerdì 3 giugno 2016

Una Parola al giorno (78)

“Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta” (Lc 15, 3-7).
Impariamo a rallegrarci con Dio per la Sua misericordia verso di noi e verso ciascuno dei nostri fratelli!
Dio ti benedica!

giovedì 2 giugno 2016

Una Parola al giorno (77)

"Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza" (Salmo 24).

mercoledì 1 giugno 2016

Una Parola al giorno (76)

"Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timòteo, figlio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro" (2 Tm 1,1-3.6-12).
Grazia, misericordia e pace anche a te, amico/a!

martedì 31 maggio 2016

Una Parola al giorno (75)

In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te
è un salvatore potente.
Gioirà per te,
ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia» (Sofonia 3,14-18).
Gesù è la nostra gioia! La visitazione di Maria ci incoraggia a vivere la carità portando a tutti quel Gesù che ci ha fatto passare dal pianto alla gioia, dalla morte alla vita!
Dio ti benedica!

lunedì 30 maggio 2016

Una Parola al giorno (74)

«Lo libererò, perché a me si è legato,
lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome.
Mi invocherà e io gli darò risposta;
nell'angoscia io sarò con lui.
Lo libererò e lo renderò glorioso.
Lo sazierò di lunghi giorni
e gli farò vedere la mia salvezza» (Salmo 90).
Confida nel Signore!
Dio ti benedica!

Ascoltando s’impara

Ogni tanto fa bene tornare in seminario…
E non importa se il seminario in cui ritorni non è quello dove hai trascorso gli anni della formazione. È sempre un seminario: si respira aria di discepolato, si nota una cura per la liturgia che ti ristora l’anima e il corpo, si vedono la passione educativa dei formatori e gli occhi luminosi dei seminaristi, giustamente pieni di entusiasmo per il cammino di sequela intrapreso.

Ogni tanto fa bene tornare in seminario!
Per questo ho accolto con gioia l’invito di Silvio a partecipare al suo lettorato il 23 maggio, giorno in cui don Tiziano e io abbiamo ricevuto l’ordinazione diaconale. E sono partito da Ripatransone nel primo pomeriggio per avere il tempo di una visita al Santuario di Loreto. Tante le preghiere che mi passavano per la testa, mentre mi trovavo nella Santa Casa, ma una in particolare mi ha accompagnato per tutta la giornata: Signore, aiutaci a conoscere e fare la Tua volontà. Mi passano davanti agli occhi i volti di tanti parrocchiani, di tante situazioni, di tante valli oscure difficili da attraversare. Eppure dentro e fuori è pace. Qualcuno si inginocchia e le lacrime gli rigano il volto.

In seminario è festa e alle 19.00 comincia la celebrazione eucaristica. A presiedere è il Vescovo di Jesi, monsignor Gerardo Rocconi. La liturgia è semplice, ben animata. Dopo la proclamazione delle letture e del Vangelo, avviene la presentazione dei cinque candidati: quattro lettori e un accolito. Nell’omelia il Vescovo si sofferma su alcune parole tratte dalla prima lettera di San Pietro apostolo e sull’importanza per il prete di saper essere in comunione con i propri confratelli. Poi è il momento dell’istituzione del nostro lettore: il Vescovo gli consegna la Bibbia dicendo: «Ricevi il libro delle sante Scritture e trasmetti fedelmente la parola di Dio, perché germogli e fruttifichi nel cuore degli uomini».

Qual è il compito del lettore? Essere in ascolto della parola di Dio perché germogli e fruttifichi nel suo cuore e impegnarsi a trasmettere fedelmente la parola di Dio perché germogli e fruttifichi nel cuore di ogni uomo.

Ogni tanto fa bene tornare in seminario…
… perché ti ricordi per quale motivo hai lasciato la tua casa per seguire Gesù. E il motivo sta tutto in un versetto della prima lettera di Pietro: «Voi lo amate» (1Pt 1,8). Ce lo ha ricordato nella sua omelia mons. Rocconi. Me lo hanno ricordato anche i seminaristi che ho incontrato desiderosi di imparare prima di tutto a confidare nel Signore.

Ogni tanto fa bene tornare in seminario…
… perché ti ricordi che, finito il corso di formazione, non sei un superuomo, ma un povero che s’è accorto della misericordia di Dio, un povero che s’è accorto di non essere mai solo!

Ogni tanto fa bene tornare in seminario…
… perché ti si fa chiaro il motivo di ogni gioia: l’amore di Cristo e la Sua presenza viva in mezzo a noi!

Buon cammino, Silvio e grazie per aver condiviso con me questo momento di festa!


don Gian Luca Rosati

domenica 29 maggio 2016

Una Parola al giorno (73)

Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,11-17).
Il miracolo è questa chiamata di Gesù: Egli ci dà la possibilità di avere in noi i Suoi stessi sentimenti, di condividere con Lui la missione, il desiderio di salvare ogni uomo!
«Fate questo in memoria di me», sentiremo dire anche oggi, come tutte le domeniche, apriamo il cuore e obbedendo al Signore mettiamo a Sua disposizione quei cinque pani e due pesci che abbiamo e che siamo!
Dio ti benedica!

sabato 28 maggio 2016

Una Parola al giorno (72)

"O Dio, tu sei il mio Dio,
dall'aurora io ti cerco,
ha sete di te l'anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz'acqua" (Salmo 62).

venerdì 27 maggio 2016

Una Parola al giorno (71)

"Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta" (Salmo 95).

mercoledì 25 maggio 2016

Una Parola al giorno (69)

"Dopo aver purificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna" (1Pt 1,18-25).

martedì 24 maggio 2016

Una Parola al giorno (68)

"Perciò, cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà. Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell'ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: «Sarete santi, perché io sono santo»" (1Pt 1,10-16).

lunedì 23 maggio 2016

Una Parola al giorno (67)

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,17-27).
Ti seguo, Gesù, perché sei libero e voglio che mi insegni la tua libertà.

Seppellire i morti

Mi è capitato diverse volte di essere cercato da un parrocchiano per benedire l’iniziativa di un gruppo di amici in favore di un altro amico. In questi anni mi è successo di conoscere amici che si mobilitano per i vivi, ma anche per i morti. La solidarietà, l’amicizia, la pietà cristiana, la misericordia si risvegliano in noi al momento opportuno e ci suggeriscono le scelte più umane.

A noi, poi, rimane la libertà grande di ascoltare la voce che ci chiama al bene o di far finta di non sentirla. Ci resta sempre la possibilità di accostare a essa tante buone ragioni fino a zittirla, fino a seppellirla e dimenticarla.

Quando ascoltiamo la voce che ci chiama al bene, ci muoviamo, ci organizziamo, ci mettiamo in gioco e la misericordia di Dio trova collaborazione nelle nostre mani.

Così uno corre a chiedermi di coinvolgere la comunità parrocchiale per aiutare una famiglia in difficoltà, a causa di un grave infortunio del capofamiglia e la parrocchia è esemplare nella generosità e si stringe attorno ai fratelli nel bisogno; viene un altro a dire che con gli amici sta organizzando una colletta per dare una sepoltura dignitosa a un amico, morto senza aver potuto pensare al suo funerale. Viveva da solo, ma era un amico per tanti passanti, una presenza amichevole e sorridente.

L’idea mi piace e mi ricorda che tra noi mortali è possibile un legame immortale, una simpatia che continua anche dopo la morte. Non cammini da solo mentre vivi e non resti solo quando muori: chi ti ha incontrato, chi ti ha amato si muove a compassione e agisce in tuo favore, provvedendo alla tua sepoltura.

Che corrispondenza: sono le mani amorevoli di una mamma, quelle che ci accolgono al nostro ingresso nel mondo; saranno le mani amorevoli di qualche persona di buona volontà, quelle che ci auguriamo ci accolgano al momento della nostra morte.

Mi ha sempre colpito nella lettura della Passione di Gesù la figura di Giuseppe di Arimatea:

50Ed ecco vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto. (Lc 23,50-56)

Giuseppe di Arimatea entra in scena e, come Simone di Cirene, fa ciò che è in suo potere, continuando quelle azioni buone verso Gesù (cfr. Mc 14,6), che erano iniziate con l’unzione di Betania nella casa di Simone il lebbroso (Mc 14,8).

Me lo immagino Giuseppe, che va da Pilato, depone con attenzione il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolge in un lenzuolo e lo mette all’interno del sepolcro.

La scena mi riporta al momento della nascita di Gesù: «Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,6-7).

C’è la tenerezza di Maria nei gesti di Giuseppe di Arimatea.
C’è la tenerezza di una madre nel gesto di chi si prende cura del corpo di un morto.

La nascita e la morte sono due momenti in cui il nostro corpo è nelle mani di altri uomini e il pensiero che a quel punto non potremo più dire la nostra, aumenta l’inquietudine generata dal fatto che un giorno moriremo.

Se vogliamo vivere nella pace, conviene che ci alleniamo ad aver fiducia nel prossimo: sarà lui, infatti, a prendersi cura del nostro corpo. Il pensiero della morte ci aiuta a impiegare bene il tempo che ci è dato e a dare il giusto valore a quello che siamo e a quello che possediamo. Può essere un esercizio utile quello di immaginarsi ciò che accadrà dopo la nostra morte. Mi lascio aiutare dalle parole di don Francesco Fuschini, un prete con la passione per la scrittura:

[…] Mi metto supino nel letto e faccio memoria locale, come consiglia sant’Ignazio di Lojola: ecco, sono morto, mortuus sum; e via quei fiori dal catafalco che da qui si sentono putire come una menzogna. Ogni volta che faccio questo gioco della morte, mi viene in mente Lazzaro di Betania che dal buio varco è passato due volte. Solo mi riesce arduo rifare il momento spaccato in due tra il «prima» e il «dopo», perché è lì che si apre il gorgo in cui rifiata il sentore del nulla; lì si annida l’ultima paura. La mano lunga della fede abbassa il lume su questo vortice di vuoto esistenziale.
Dalla morte-ombra guardo con straordinario interesse il mio funerale. C’è una finestra ritagliata sull’umorismo che l’inquadra tutto. Attorno al carro funebre s’azzuffano le voci delle oranti governate dalla Beata. Dietro quelle voci viaggiano pensieri interessati, vani: pollai, lucidatrici, amori spezzati; è incredibile come un funerale dia ala a tutto il sottosuolo umano. Le consorelle dell’Addolorata mettono in mostra i rilievi naturali stringendo le fasce di seta viola di cui vanno cinte; vengono i contadini, ed è tutto un discorrere di trattori e di anticrittogamici. Baragnòcul non ha posto fermo. Fa la spola dalla testa alla coda del corteo: lui vive la sua ora quando può fare il servizio d’ordine ai morti. La presenza della morte eccita un acuto senso della vita.
L’anarchico lo vedo distaccato e solo: a causa delle gambe che lo servono malvolentieri, ma più per l’orrore di contaminarsi col branco dei credenti. Per tagliare il sospetto alla radice, fuma a pipa calda e scaracchia da oriente a occidente. Recita le sue litanie alla sgherra: «Ste vigliac, sta canaja, st’assasen»: prete vigliacco, prete canaglia, prete assassino; è tutta roba che va al prete, perché a me come uomo l’anarchico vuole un bene forte e romagnolo. È l’ultimo degli anarchici di antica “teologia”.
Intanto gli parlo dal finestrino che guarda la vita: «Fai pure come ti pare, anarchico, ma non la scampi. Ti vedo da qui tal quale ti vedevo da sotto: sei un uomo che cavalca paradossi evangelici; sei un «puro di cuore»: e chi ti salverà dal Paradiso?» (brano tratto da don Francesco Fuschini, L’ultimo anarchico e altri racconti, Edizioni del Girasole).

«La presenza della morte eccita un acuto senso della vita», scrive don Francesco.
Mi rendo conto che è vero: quando mi lascio toccare dalla morte di qualcuno, inevitabilmente mi ritrovo a esaminare come sto vivendo, se mi sto prendendo cura di chi mi sta intorno, se sto dando il giusto peso alle situazioni, se sto impiegando bene i talenti che mi sono stati affidati, se l’incontro con tanti fratelli mi mantiene sulla strada con loro in un atteggiamento di prossimità, o se mi separa da loro come un giudice è distante da un imputato,…

Mio nonno mi raccontava che un tempo i marinai portavano un prezioso orecchino che doveva servire da ricompensa a chi, in caso di naufragio, avrebbe dato sepoltura al loro corpo. Oggi nel partecipare ai funerali e alla sepoltura di parenti o amici, riceviamo molto più di un orecchino: quei morti che accompagniamo ci fanno dono delle loro preghiere, ma anche di un rinnovato senso della nostra vita!

don Gian Luca Rosati

domenica 22 maggio 2016

Una Parola al giorno (66)

"Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (Rm 5,1-5).
Ecco: stiamo in pace e in gioia con Dio e con ogni uomo!
Dio ti benedica!

sabato 21 maggio 2016

Una Parola al giorno (65)

"Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio" (Mc 10,13-16).
Ho pensato di accostare a queste parole di Gesù un pensiero di papa Giovanni XXIII perché nella sua semplicità dice una verità essenziale e portatrice di pace, la pace di chi come un bambino impara a confidare nella buona provvidenza di suo padre: "Il Signore sa che ci sono. E ciò mi basta".
Il Signore sa che ci sei. Stai contento/a!

venerdì 20 maggio 2016

Una Parola al giorno (64)

"Egli perdona tutte le tue colpe,  
guarisce tutte le tue malattie;  
salva dalla fossa la tua vita,  
ti corona di grazia e di misericordia" (Salmo 102).

giovedì 19 maggio 2016

mercoledì 18 maggio 2016

Una Parola al giorno (62)

«...chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,38-40).
Gesù ci insegna a guardare l'altro con benevolenza.
Siamo tutti fratelli, disarmiamoci dei pregiudizi e dei sospetti e tendiamo la mano a ogni uomo!
Dio ti benedica!

martedì 17 maggio 2016

Una Parola al giorno (61)

"Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti»" (Mc 9,30-37).
Bravo, Gesù! Hai capito qual è la mia aspirazione: essere il primo. A questo punto non mi resta che seguire le tue istruzioni e fare mio l'ultimo posto! Starò tra gli ultimi e cercherò di farmi servo di tutti!
Tu, Gesù, aiutami!

lunedì 16 maggio 2016

Una Parola al giorno (60)

"I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi" (Salmo 18).

domenica 15 maggio 2016

Una Parola al giorno (59)

"Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi" (Rm 8,8-17).
Buona solennità di Pentecoste!

sabato 14 maggio 2016

Una Parola al giorno (58)

"Poi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti,..." (At 1, 15-17. 20-26).
Quando le mie buone intenzioni non sono comprese, quando mi sembra che tanti si fermino all'apparenza e pochi cerchino di capire cosa c'è nel cuore, mi piacerebbe ricordare questo inizio di preghiera. Sono sicuro che mi darebbe pace, la stessa pace che mi dà stamattina leggerla e pregarla!
Buona festa di San Mattia, testimone, come noi, della Risurrezione di Gesù!
Dio, che conosce il cuore di tutti, ti benedica!

venerdì 13 maggio 2016

Una Parola al giorno (57)

"Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici" (Salmo 102).

giovedì 12 maggio 2016

Una Parola al giorno (56)

"La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma»" (Atti 22, 30.23, 6-11).
Nella notte il Signore ci viene accanto e ci dice: «Coraggio!». Questo è consolante: la notte, la solitudine, il buio, la paura,... sono realtà che, prima o poi, tutti dobbiamo affrontare. Ma non da soli: tra le persone che ci vogliono bene, ce n'è una infinitamente amorevole e fedele, il nostro Signore! Perciò, coraggio!
Dio ti benedica!

Visitare i carcerati

È Domenica.
Sto celebrando la messa ed è il momento della preghiera dei fedeli. Mentre vengono lette le intenzioni, scatta l’allarme in uno degli altari laterali. Il lettore si ferma e io, una volta disattivato l’allarme, rassicuro i fedeli: «Tranquilli, sarà stato il buon ladrone che, per avvicinarsi al Crocifisso, è entrato nella cappellina e ha fatto suonare l’allarme!».

Durante la Settimana Santa ho portato con me il buon ladrone, che tanto buono non doveva essere stato; è lui stesso ad ammetterlo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23,40-41).

Guardavo il buon ladrone appeso alla croce vicino a quella di Gesù e pensavo a come anche la crocifissione possa essere un tempo favorevole per incontrare la salvezza: in un momento normale, sarebbe stato molto difficile per il ladrone avvicinarsi a Gesù. E non soltanto perché avrebbero potuto arrestarlo, ma anche perché intorno a Gesù è facile trovare bigotti e ben pensanti che sanno chi può avvicinarsi e chi, invece, deve essere tenuto lontano, chi può parlare e chi, invece, deve stare zitto, dove Gesù può andare e dove è meglio che non vada,…

Oggi forse quell’uomo crocifisso vicino a Gesù non ci fa impressione, non ci scandalizza perché quell’aggettivo “buono” ci fa dimenticare il sostantivo “ladrone”, ci fa guardare con simpatia un uomo che i suoi contemporanei ritenevano pericoloso, tanto da doverlo crocifiggere.

Normalmente i “ladroni” dei nostri giorni non riscuotono la stessa simpatia e benevolenza che abbiamo per il buon ladrone.

Sul Golgota, nelle ultime ore della vita di Gesù, accade qualcosa di straordinario: uno dei ladroni esprime un desiderio ed è una preghiera sincera: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42).

Il buon ladrone ha condiviso con Gesù e con noi quello che c’era nel suo cuore e ha creato un ponte tra noi e lui, una intersezione. Con le sue parole ci ha rivelato qualcosa di sé che non ci saremmo aspettati: come noi, lui ha un cuore, dei sentimenti, degli affetti, delle emozioni, un senso di giustizia, una fede in Dio.

La sua preghiera ci ha fatto scoprire che i due ladroni sono due uomini e che, com’è ingiusto commettere reati, è ugualmente ingiusto identificare gli uomini con i crimini che hanno commesso o con l’elenco dei capi di accusa o con il curriculum vitae delle violenze di cui sono stati riconosciuti responsabili. C’è sempre la possibilità di una vita nuova, di una conversione, di una risurrezione! Essa passa attraverso il riconoscimento del proprio peccato, della propria miseria e l’accoglienza dalla misericordia di Dio.

Anche il ladrone ha paura; ha paura della morte e di quello che accadrà dopo la morte; ha paura di essere dimenticato: «Gesù, ricordati di me…».

Visitare i carcerati è un’opera di misericordia.

A prima vista potrebbe sembrare un’opera di misericordia difficilmente praticabile: un qualcosa di riservato ai cappellani del carcere, alla polizia carceraria e agli operatori e volontari che assistono i carcerati nella loro vita quotidiana.

Mi sono accorto, invece, che ciascuno di noi può visitare i carcerati.

Facilmente, aiutati dalla TV e dai media, noi cristiani ci lasciamo trascinare e prendiamo le distanze dai ladroni, ci armiamo e spariamo loro addosso senza pietà. È la paura che abbiamo di loro e delle violenze che hanno compiuto a renderci difficile provare sentimenti di compassione e di prossimità. I mezzi di comunicazione tendono a mettere il mostro in prima pagina e ad approfondire i particolari dei delitti, aumentando la tensione e allargando la differenza tra noi, i buoni, e loro, i cattivi. E un po’ questo modo di trattare la realtà ci tranquillizza: nel mondo c’è tanta corruzione, tanta violenza, ma noi siamo buoni, noi facciamo il bene, noi siamo cristiani…

Visitare i carcerati significa provare per loro sentimenti di compassione, pregare per la loro conversione, perché siano confortati dalla presenza di persone amiche, significa cercare di conoscerli meglio e non fermarsi ai reati commessi, significa sforzarsi di vedere l’umanità nascosta sotto una coltre di peccati,…

Visitare i carcerati è evitare di imprigionare le persone in schemi che abbiamo costruito su di loro; è liberare chi da troppo tempo è rinchiuso in giudizi e pregiudizi; è non rifiutare la compagnia degli emarginati, ma stare con loro, come faceva Gesù.

Visitare i carcerati è accorgersi che sono uomini come noi,… o che noi siamo uomini come loro...

Mentre scrivo, mi torna in mente una lettera che ho trovato in un libro di Fabio Scarsato; si tratta della testimonianza di un Gianluca come me:

«Guardi il cielo, fuori dagli scacchi disegnati dalle sbarre. Albeggia. Cominci a mettere in sequenza le operazioni quotidiane. Butti un’occhiata al compagno di cella per vedere se è sveglio. – Buongiorno! (Chissà se lo sarà veramente… lo si dice comunque). Intanto con la mente “vai” a casa. Forse i figli si stanno preparando per la scuola… avranno interrogazioni? Avranno studiato? Forse avevano bisogno di chiedere qualche consiglio… staranno pensando al papà? Quanto dolore darà loro questo pensiero?... e, alla fine – ma chi devo incolpare per tutto questo?! Già la risposta non puoi nasconderla al tuo cuore! Intanto ti sei alzato, hai acceso la moka e nell’attesa ti sciacqui il viso cercando d’intravedere una figura ancora umana sul rettangolo di plastica riflettente che qui chiamano specchio. Ti vesti secondo l’aria. Calda, fredda, non ha importanza, è l’aria che c’è fuori, è forse l’unica cosa uguale che c’è tra il “dentro” e il “fuori”. I blocchi di cemento armato che costituiscono la cella, trasfondono fedelmente l’umore meteorologico esterno. Qualcuno di noi si prepara per “lavorare”. Certo, il cosiddetto lavoro, qui è molto importante. Ti consente di non pesare sulla famiglia per quelle poche necessità che hai. E così, qui dentro, alcuni “ladroni” scoprono il lavoro onesto, dopo anni passati a inseguire la “bella vita”. […]
Qualcuno va a scuola… beh, ecco qui possiamo trovare, imparare idee o parole, prima sconosciute, che riescono a dare espressione ai nostri pensieri. Ci aiutano, in qualche modo, a definire meglio chi siamo, chi vogliamo essere, cosa vogliamo, come lo vogliamo… La parola in sé, è in grado di esprimere e trasmettere verità potenti e disarmanti. Capire il significato delle parole, capire come usarle nella nostra vita e, soprattutto nella nostra quotidianità può essere davvero un’esperienza che ti aiuta a salvarti la vita. […]
Ogni tanto la settimana è interrotta, per chi ha la fortuna, da un colloquio con un familiare. In una sala comune, seduti ad un tavolo con panche fissate a terra, ci si può urlare qualche parola d’affetto. Un’ora di affetto urlato! Quasi sempre il tempo finisce prima che tu te ne possa rendere conto e la preoccupazione più grande, da entrambe le parti, è immancabilmente quella di trasmettere rassicurazioni di benessere. Troppo poco tempo, troppo poca intimità per poter “scoprire” le proprie ferite, per permettere a chi ti vuol bene di aiutarti ad affrontare le tue fragilità e le tue responsabilità» (Fabio Scarsato, Wanted. Esercizi spirituali francescani per ladri e briganti, Edizioni Messaggero di Padova).

Un uomo come me, questo Gianluca; un fratello che ha tutta la mia solidarietà, la mia prossimità.

Leggendo lettere e testimonianze dal carcere, anche sul nostro settimanale diocesano, non posso che rubare le parole del ladrone: «Gesù, ricordati di me», perché anch’io, come lui, ho bisogno che Gesù mi dica: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43).


Don Gian Luca Rosati

mercoledì 11 maggio 2016

Una Parola al giorno (55)

"È lui, il Dio d'Israele, che dà forza e vigore al suo popolo.
Sia benedetto Dio!" (Salmo 67).

lunedì 9 maggio 2016

Una Parola al giorno (53)

"Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri" (Salmo 67).

domenica 8 maggio 2016

Una Parola al giorno (52)

"Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse" (Lc 24,46-53).
"Una lunga benedizione sospesa, in eterno, tra cielo e terra veglia sul mondo. La maledizione non appartiene a Dio, lo dobbiamo testimoniare. Il gesto definitivo di Gesù è benedire. Il mondo lo ha rifiutato e ucciso e lui lo benedice. Benedice me, così come sono, nelle mie amarezze e nelle mie povertà, in tutti i miei dubbi benedetto, nelle mie fatiche benedetto" (padre Ermes Ronchi).
Gioia e pace!

sabato 7 maggio 2016

Una Parola al giorno (51)

"... il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio" (Gv 16,23-28).

venerdì 6 maggio 2016

Una Parola al giorno (50)

"... il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia" (Gv 16,20-23).

giovedì 5 maggio 2016

Una Parola al giorno (49)

"Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia" (Salmo 97).
Stamattina leggendo la catechesi del Papa sull'immagine del Buon Pastore che si carica sulle spalle la pecorella smarrita, mi sono soffermato su alcune parole che vorrei condividere con te: "Proteso su quell'unica pecora [il pastore] sembra dimenticare le altre novantanove. Ma in realtà non è così. L'insegnamento che Gesù vuole darci è piuttosto che nessuna pecora può andare perduta. Il Signore non può rassegnarsi al fatto che anche una sola pecora possa perdersi. L'agire di Dio è quello di chi va in cerca dei figli perduti per poi fare festa e gioire con tutti per il loro ritrovamento. Si tratta di un desiderio irrefrenabile: neppure novantanove pecore possono fermare il pastore e tenerlo chiuso nell'ovile" (dall'udienza del 4/5/2016).
Il desiderio irrefrenabile di Dio è la mia salvezza!
Questo pensiero mi fa cantare di gioia e di gratitudine!
Dio ti benedica!

mercoledì 4 maggio 2016

Una Parola al giorno (48)

"In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future» (Gv 16,12-15).
Amico/a, prega con me: "O Dio, che in questo misterioso scambio di doni ci fai partecipare alla comunione con te, unico e sommo bene, concedi che la luce della tua verità sia testimoniata dalla nostra vita. Per Cristo nostro Signore" (dalla liturgia di oggi: orazione sui doni).

martedì 3 maggio 2016

Una Parola al giorno (47)

"Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre»" (Gv 14,6-14).

lunedì 2 maggio 2016

sabato 30 aprile 2016

Una Parola al giorno (44)

"Perché buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione" (Salmo 99/100,5).

venerdì 29 aprile 2016

Una Parola al giorno (43)

"In quel tempo, Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»" (Mt 11,25-30).
Stamattina ho celebrato la messa, ho fatto colazione e poi mi sono lavato i denti. Il sapore del caffè e latte se n'è andato subito, mentre quello della liturgia celebrata sta dando gusto a questa bella giornata.
Sull'onda del Vangelo di oggi, mi impegno a essere un "piccolo" che mendica e sta ben attento ad accogliere con gratitudine quanto gli viene dato, senza pretendere da Dio, dalla Chiesa e dal prossimo!
Dio ti benedica!

giovedì 28 aprile 2016

Una Parola al giorno (42)

"Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome" (dal Salmo 95/96).
Oggi vorrei accostare a questi versetti alcune parole di don Tonino Bello: "Se dentro vi canta un grande amore per Gesù Cristo e vi date da fare per vivere il Vangelo, la gente si chiederà: «Ma che cosa si cela negli occhi così pieni di stupore di costoro?»" (da "Fino in cima", Editrice AVE).
Dio ti benedica!

mercoledì 27 aprile 2016

Una Parola al giorno (41)

"Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv 15,1-8).
"Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5).
Gesù, Tu non dici che senza di Te possiamo fare poco, ma dici proprio che non possiamo fare nulla!
Liberaci dalla pretesa di poter fare a meno di Te!
Fa' che le nostre vite siano alimentate dalla linfa della tua mitezza e umiltà, perché possiamo essere miti agnelli anche quando all'orizzonte vediamo spuntare lupi minacciosi.
Dio ti benedica, amico/a!

Assistere gli ammalati

«Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita» (Gv 5,7).

Sto leggendo il Vangelo di Giovanni quando incontro queste parole di un paralitico che mi sconvolgono la mattinata. Prendo coscienza di botto che quel nessuno sono proprio io.

Io che, dall’alto della mia scontata salute fisica, non ho occhio per un uomo paralizzato.
Io che potrei fare il bene… e me ne guardo bene.
Io che potrei dare una mano a qualcuno, ma per paura che mi rallenti, passo a largo o mi dileguo in fretta.

«Vuoi guarire?», gli aveva chiesto Gesù.
«Signore, non ho nessuno…», fu la risposta dell’ammalato.

Più della paralisi è la possibilità di questa solitudine a farmi paura.
Potrei ammalarmi, aver bisogno di cure, non essere più autosufficiente; potrei diventare incapace di muovermi e di comunicare con il mondo esterno; potrei perdere la testa e non capire più niente,…

Mi basta pensarci per un momento e già sento arrivare l’angoscia!

Eppure, più di tutto quello che potrebbe capitarmi, mi fa paura la possibilità reale di dire: «Signore, non ho nessuno».

Visitando le famiglie il primo venerdì di ogni mese, o in occasione delle benedizioni pasquali, ho la possibilità di incontrare le persone nel loro ambiente quotidiano e rimango edificato da testimonianze di prossimità a persone malate o bisognose di tutto. Incontro uomini e donne che, nel nascondimento delle loro case, perdono la vita per il bene dell’altro e sono capaci di una tenerezza straordinaria!

Anche se l’altro è ormai incapace di riconoscerle, esse gli restano accanto. Imparano un nuovo linguaggio fatto di carezze, attenzioni, strette di mano, sorrisi, sguardi.

Avverto qualcosa di sacro in quelle case, avverto chiara la presenza di Gesù. Lo riconosco vicino all’ammalato, poi lo vedo nella persona dell’ammalato, ma anche nel barelliere, nel suo angelo custode, nell’amorevole badante.

Mi rendo conto che la vera malattia, la vera sofferenza è quella sensazione d’esser soli e abbandonati davanti a un nemico troppo grande; è la paura di non avere alleati, compagni di battaglia verso cui poter volgere uno sguardo d’intesa, prima di balzare fuori dalla trincea per l’ultimo assalto.

La vera malattia si chiama solitudine, si chiama indifferenza.

Ed è una malattia che si vince solo avvicinandoci ai fratelli, solo sforzandoci di restare accanto all’amico nel momento della prova.
Scopriremo, così, d’essere sostenuti dalla forza di Dio; ci accorgeremo che, pur non essendo medici, abbiamo da offrire la medicina che vince ogni morte: l’amore. «L’amore guarisce», diceva il santo medico Giuseppe Moscati.

Mentre scrivo, mi vengono in mente le parole di un bellissimo prefazio:
«è veramente giusto lodarti e ringraziarti, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, in ogni momento della nostra vita, nella salute e nella malattia, nella sofferenza e nella gioia, per Cristo tuo servo e nostro Redentore.
Nella sua vita mortale egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Ancora oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. Per questo dono della tua grazia, anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale del tuo Figlio crocifisso e risorto. E noi, insieme agli angeli e ai santi, cantiamo con voce unanime l’inno della tua gloria…» (Prefazio comune VIII).

Gesù sta lì, vicino a quell’uomo, prigioniero da trentotto anni.
Gli rivolge la parola e riaccende in lui il desiderio di una condizione diversa: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6).

Forse il paralitico si sarà chiesto che cosa potesse ancora significare per lui guarire. Forse dopo trentotto anni di malattia, si era rassegnato a doversi accontentare di quel minimo che gli veniva riconosciuto da chi gli stava intorno.
Forse, dopo svariati tentativi inutili, non trovava più la voglia di provare a rialzarsi: «C’è sempre qualcuno che scende nella piscina prima di me».

E mentre stai fermo a guardare quell’acqua che s’agita, lì davanti, a portata di mano… e fai i conti con la tristezza di vederla vicina e di non poterla raggiungere… Mentre piano piano viene meno il desiderio di una guarigione che, col passare del tempo, appare sempre meno probabile… Quando ti fermi e non attendi più nulla...

…lì ti incontra Gesù.
Cerca proprio te e risveglia i tuoi bei sogni, quelli che le circostanze della vita ti avevano rapinato. Ti fa una domanda e ti ricordi che volevi guarire, che hai provato a guarire, ma poi ti sei seduto, non ti sei lasciato curare, non sei stato aiutato, non hai più cercato aiuto,…

Ora mi riconosco nel paralitico.
C’è voluto tutto quello che ho scritto prima, per arrivare a questa conclusione.
Sono io quel malato che s’è chiuso, che ha rinunciato ad affrontare le salite, che s’è scoraggiato, che ha perso la direzione e aspetta d’esser preso in braccio e portato. Sono io che ho bisogno dell’olio della consolazione e del vino della speranza.

Una volta che tu, Gesù, li avrai versati sulle mie ferite, sarò capace di guardare l’altro con misericordia e di fargli misericordia.

Poi, sarà lo slancio del Vangelo a darmi il coraggio di farmi prossimo e la forza per sollevare ogni paralitico e portarlo a incontrare Te, che mi hai guarito (Mc 2,1-12)!


don Gian Luca Rosati